Ultimatum Usa all’Iran: “Arrendetevi o è guerra”
- Postato il 18 giugno 2025
- Notizie
- Di Quotidiano del Sud
- 1 Visualizzazioni

Il Quotidiano del Sud
Ultimatum Usa all’Iran: “Arrendetevi o è guerra”
Il Presidente Usa Donald Trump nella situation room valuta l’intervento diretto degli Stati Uniti nella guerra tra Iran e Israele
Una minaccia senza precedenti, uno scioccante ultimatum. È quello rivolto da Donald Trump alla dirigenza iraniana nel pomeriggio di ieri, dopo una tumultuosa giornata e mentre pesanti nubi della guerra si addensavano sopra il Medio Oriente. “Sappiamo esattamente dove si nasconde la cosiddetta ‘Guida suprema’. È un bersaglio facile, ma è al sicuro lì. Non abbiamo intenzione di eliminarlo (ucciderlo), almeno non per ora”, ha twittato Trump, rientrato precipitosamente nella capitale americana dal G7 canadese, aggiungendo che “La nostra pazienza si sta esaurendo”. Un secondo tweet ha seguito poi il primo, in cui – tutto in maiuscolo – il presidente americano ha intimato ai leader iraniani una perentoria “Resa incondizionata”.
Si è trattato per molti versi di un passo inaudito, non solo perché mai prima di allora l’America aveva alluso così apertamente all’assassinio di un leader stranieri – ancorché nemico – ma perché questo improvviso passo verso la guerra sembra contraddire la stessa parabola politica del tycoon. Eppure a quelle dichiarazioni Trump non arrivato come un fulmine a ciel sereno, perché nelle precedenti ventiquattr’ore il tycoon si era esercitato nel produrre una serie di sconcertanti affermazioni, tali da far dubitare che tutto questo potesse far parte di qualche abile strategia comunicativa.
TRUMP APRE A CINA E RUSSIA
Lunedì scorso, parlando a margine del G7, ha invitato Russia e Cina all’incontro, senza peraltro consultarsi con gli altri leader che stavano invece discutendo il varo di nuove sanzioni contro Mosca. Il leader americano è quindi ripartito, piantando in asso il summit e lasciando i suoi partecipanti all’oscuro delle sue intenzioni. Mentre il presidente francese cercava di spiegare che il tycoon stava tornando a Washington per cercare di conseguire una tregua in Medio Oriente, il presidente Usa lo ha seccamente smentito accusandolo di volersi solo fare pubblicità e alludendo in maniera sibillina a qualcosa «di molto più grosso» che doveva fare.
Subito dopo è iniziato un martellante lavoro di dichiarazioni incendiarie: Trump si è detto «non dell’umore giusto» per negoziare la pace, quindi ha ripetutamente intimato all’Iran la «resa incondizionata» pena la guerra. A quindi formulato la propria minaccia contro Khamenei, prima di pubblicare Trump un messaggio dell’ambasciatore americano in Israele, Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas e vicino alla destra religiosa americana, in cui il diplomatico definisce il presidente come un prescelto da Dio per questo momento storico.
Una convinzione che lo ha spinto a smentire subito dopo anche la propria direttrice dell’intelligence, Tulsi Gabbard, che aveva invece asserito come l’Iran non stesse cercando di procurarsi attivamente un’arma atomica da circa tre anni. Inseguito dal derisorio soprannome di “Taco” (Trump Always Chicket Out, Trump si tira sempre indietro), il tycoon arriva così sulla soglia di una crisi senza precedenti con la tentazione di un attacco militare dalle conseguenze imprevedibili.
LA SITUAZIONE INTERNA AL GRUPPO DI TRUMP
Ma farebbe bene a guardarsi in casa, prima di compiere azioni di cui potrebbe pentirsi. All’interno della cosiddetta “MAGA-sfera” – quel mondo di personalità costruitosi negli anni attorno al successo del candidato anti-sistema – sta emergendo una divisione crescente. Con l’allargarsi del conflitto si è evidenziata una spaccatura nella maggioranza trumpiana. La corrente più identitaria e nazionalista, in modo forse un po’ paradossale, è sempre stata ostile verso un maggior coinvolgimento internazionale e – in particolare – nei confronti delle guerre in Medio Oriente. Molti esponenti di punta, come il vicepresidente J.D. Vance, come giovani uomini hanno servito durante la guerra in Iraq toccando di prima mano quel senso di umiliazione che ha accompagnato la fallimentare Guerra al terrorismo.
Un senso di abbandono che ha legato molti veterani – presto cooptati a una retorica anti-governativa che nella destra americana risale a ben prima che il reduce Rambo debuttasse sul grande schermo – alla popolazione operaia bianca, creando quell’humus in cui è germogliato l’America First trumpista. Oggi molti volti di questo eterogeneo movimento hanno preso una posizione chiara. È il caso di Tucker Carlson, per esempio, uno dei più popolari conduttori televisivi conservatori e da sempre un ammiratore e un sostenitore di Trump. Carlson, già famoso per essere stato il primo giornalista occidentale a intervistare il presidente russo Vladimir Putin dall’invasione dell’Ucraina, ha criticato l’attacco israeliano contro l’Iran accusando contestualmente Trump di essere «un complice in un atto di guerra».
GLI USA COINVOLTI NELLA GUERRA ALL’IRAN? LE POLEMICHE DELLA STAMPA INTERNA
Carlson non ha esitato ad attaccare direttamente i collaboratori del presidente, accusandoli di essere dei «guerrafondai» che starebbero raggirando il tycoon per trascinarlo in una guerra contro l’Iran e tacciando la nota emittente conservatrice Fox News – per la quale Carlson ha lavorato per anni – di produrre soltanto «propaganda». Sulla stessa linea anche Steve Bannon, l’ex spin doctor e primo capo di gabinetto di Trump, che ha ribadito come sia importante che gli Stati Uniti rimangano fuori da questo conflitto. Anche Charlie Kirk, influencer di peso nel mondo giovanile trumpiano: Kirk ha ricordato come i cambi di regime operati in Medio Oriente dagli Stati Uniti (tra cui quello compiuto proprio in Iran negli anni cinquanta, che portò al potere la dittatura dello Scià poi rovesciata dai rivoluzionari islamici) si siano rivelati tutti dei buchi nell’acqua e che gli Usa non possano permettersi di farsi trascinare in un’altra guerra senza fine.
«Questa è la guerra d’Israele, non dell’America», ha concluso. Insomma, per molti suoi sostenitori della prima ora Trump ha ricevuto un mandato preciso per stare fuori dalle guerre all’estero, in linea con un sentimento ormai ampiamente prevalente tra i cittadini americani, pena essere ricordato come un altro Bush o un altro Biden. «Ciò che accadrà da adesso in poi definirà la presidenza Trump», ha avvertito Carlson.
Il Quotidiano del Sud.
Ultimatum Usa all’Iran: “Arrendetevi o è guerra”