Trump presenterà all’Italia il conto delle spese militari?
- Postato il 21 novembre 2024
- Difesa
- Di Formiche
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Il prossimo ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sta mettendo in agitazione le cancellerie europee, le quali si chiedono quante delle esternazioni della campagna elettorale si tradurranno in politiche effettive e azioni reali. Nel corso dell’ultimo anno, Trump ha più volte affermato che i rapporti tra gli Stati Uniti e i suoi Alleati non dovrebbero essere dati per scontati e che, soprattutto sul piano della Difesa, chi non rispetta gli impegni presi in sede Nato ne pagherà le conseguenze. Parola del tycoon stesso, il quale (durante un evento elettorale lo scorso febbraio) ha raccontato di quando un non meglio specificato leader di un Paese straniero gli chiese se gli Usa sarebbero intervenuti per proteggere uno Stato che non rispettava gli impegni di spesa. La risposta, in pieno stile Trump, fu decisa: “Se non avete pagato, non vi proteggeremo”. Assumendo che la conversazione in questione sia avvenuta durante il primo mandato Trump, quando egli era nella posizione di rispondere in quanto presidente e prima che l’invasione dell’Ucraina rendesse il tema della spesa militare non più rimandabile, è ragionevole pensare che, una volta (ri)assunto l’incarico, The Donald tornerà sul tema con ancora più forza di prima. È dunque naturale che gli Stati europei, incapaci di provvedere da soli alla loro stessa difesa, siano ora in allerta per capire se alle parole seguiranno i fatti. Questo vale in particolare per chi ancora fatica a rispettare gli impegni di spesa, tra cui spicca l’Italia.
Quanto spendono gli altri?
Va detto che, rispetto al primo mandato Trump (2016-2020), molte cose sono cambiate sul fronte delle spese militari alleate. Se fino al 2021 erano solo cinque su trenta gli Stati membri della Nato che rispettavano l’impegno, risalente al 2014, di investire il 2% del Pil nella Difesa, dall’invasione dell’Ucraina a oggi quel numero è passato a 23 su 32. Tra questi non figura l’Italia, la cui spesa per il 2024 ammonta al 1,49% e le cui proiezioni attuali stimano il raggiungimento dell’1,61% entro il 2027, al di sotto di quanto il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha definito il “minimum standard del 2%”. Con diversi Paesi che spendono già adesso più del 2% (la Polonia è arrivata persino al 4,12%) e dinanzi alle necessità di riempire gli stock e riammodernare i comparti militari, l’idea che questo target venga aumentato sta lasciando il dominio della possibilità per entrare in quello della probabilità. Insomma, mentre l’Italia fatica enormemente anche solo a raggiungere il 2%, in molti già parlano di alzare l’asticella al 2,5-3%. Davanti all’oggettiva impossibilità di Roma, costretta com’è tra spesa interna e vincoli di bilancio, a soddisfare queste richieste, cosa farà Donald Trump?
Per gli Usa l’Italia vale troppo
Ci sono diverse ragioni per ritenere che, alla fine dei conti, l’Italia riceverà un trattamento di riguardo nonostante le sue mancanze sulle spese militari, e non solo in virtù delle affinità politiche tra Trump e Meloni. Innanzitutto, il valore strategico della Penisola per le Forze armate Usa. Degli otto Paesi che non rispettano l’impegno del 2%, l’Italia è di gran lunga quella più rilevante sul piano geostrategico. Con circa 12mila militari statunitensi di stanza sul territorio nazionale, l’Italia è uno dei Paesi in cui la presenza militare Usa è più pronunciata, anche in virtù della sua posizione centrale nel Mediterraneo. Il valore del Paese sul piano militare non è dunque costituito unicamente dalla sua quota di partecipazione alle spese Alleate, ma anche (e forse soprattutto) dal suo intrinseco valore geostrategico, che la rende virtualmente indispensabile a Washington per mantenere le sue capacità di proiezione in Europa e Africa. Sul piano politico, Trump non può recriminare molto al governo Meloni, che negli anni ha dato prova della sua linea atlantista sia supportando l’Ucraina sia ritirandosi dal memorandum con la Cina sulla Belt and road initiative. Se anche Trump non approva quanto fatto dall’amministrazione Biden riguardo all’Ucraina, difficilmente criticherà un Paese perché ha appoggiato gli Stati Uniti, indipendentemente dal fatto che all’epoca questi ultimi erano guidati da un altro presidente. Infine, sul piano dell’impegno Alleato, l’Italia contribuisce in modo sostanziale alle attività operative della Nato. Con quasi seimila unità attivamente impegnate in operazioni che spaziano dai Balcani occidentali al Baltico, senza contare il personale impegnato nelle basi Alleate sul territorio nazionale, l’Italia è il primo contributore europeo alle attività militari dell’Alleanza. Inoltre, al di fuori del perimetro Nato, l’Italia partecipa anche alle missioni di protezione del traffico commerciale nel mar Rosso dalla minaccia degli Houthi.
I toni da campagna elettorale sono esagerati per loro stessa natura, persino quando a proclamarli è un personaggio atipico come Trump. Sebbene l’imprevedibilità del 47simo (nonché 45simo) presidente degli Stati Uniti sia innegabile, neanche Donald Trump può liquidare le esigenze strategiche del proprio Paese solo per tenere fede a quanto detto in campagna elettorale. Inoltre, la stabilità del governo italiano rispetto agli omologhi tedesco, francese e polacco contribuisce a rendere Roma un interlocutore europeo privilegiato per Trump e pertanto è possibile che la mannaia delle spese militari venga, se non rimossa, quantomeno sospesa nei confronti dell’Italia. Ciò non significa però che l’aumento di queste spese sia ulteriormente rimandabile e il dibattito, in Italia così come in Europa, dovrà presto accettarne l’inevitabilità. Piuttosto, la domanda che bisognerebbe porsi in attesa del 20 gennaio è: Trump sarà veramente interessato ad avere un dialogo con l’Europa o la lascerà in balìa di sé stessa?