Trump all’Onu sul clima non ne ha detta una giusta

  • Postato il 7 ottobre 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un paio di settimane dopo che il “Ciclone Trump” si è abbattuto sulla sede dell’Onu a New York, possiamo cercare di fare il punto su cosa ha detto e perché. Tralascio la parte strettamente politica, mi concentro invece sulla parte scientifica in cui ha parlato di energia e cambiamento climatico, dove, nonostante tutto, i fatti dovrebbero contare qualcosa.

E qui non c’è dubbio che Trump non ne ha detta una giusta. Vi potete leggere il discorso completo, per esempio, a questo link e leggerete un massacro dei concetti più elementari di quello che sappiamo di energia, inquinamento e cambiamento climatico. Trump se l’è presa in particolare con le rinnovabili, con l’energia pulita, parlando del cambiamento climatico come “un imbroglio”.

Non mi metto qui fare un “debunking” dettagliato; sarebbe una cosa lunga e noiosa, sia per chi legge che per chi scrive. C’è chi ha sostenuto che Trump, a 79 anni, è andato fuori di testa e non ragiona più e straparla. Ma io non credo che sia questo il caso. Il discorso di Trump non è certamente un trattato scientifico; è quello che ti aspetti da qualcuno che è sostanzialmente un uomo d’affari abituato a vendere cose. E lo sappiamo tutti che vendere qualcosa non è mai un processo completamente razionale. Si vendono emozioni, sia in politica che nel mondo del commercio.

Come venditore di emozioni, non c’è dubbio che Trump sia un vero maestro. Nel suo discorso fate caso al ritmo, alle ripetizioni, alla struttura delle frasi. E’ una forma di rituale dove, come si sa, contano le ripetizioni per dare forza agli incantesimi. Trump è un incantatore nato.

Ma la politica non è solo questione di emozioni e di incantesimi. E’ un mondo in cui non succede mai niente per caso. Quindi, se Trump ha detto certe cose, vuol dire che c’erano delle ragioni per dirle. Trump si è fatto portavoce dell’industria dei combustibili fossili nello sforzo di mantenere il suo quasi monopolio sulla produzione di energia globale.

E’ uno sforzo che ha una ragione di essere: l’industria fossile macina ogni anno qualcosa come ottomila miliardi di dollari di introiti. Non sono noccioline, sono quasi il 10% del Pil mondiale. Comparando con il Pil italiano (meno di tremila miliardi), l’industria dei fossili si potrebbe comprare l’Italia quasi tre volte. Ma ovviamente, non hanno bisogno di comprarsi l’Italia intera. Basta che spendano molto meno per comprarsi un gruppetto di politici, giornalisti e “influencers” che sostengano le tesi dell’industria petrolifera. E in tutti i paesi del mondo si trova sempre qualcuno che crede alle peggiori fesserie, purché siano ripetute molte volte sui media (come dicevo, è così che funzionano i rituali).

Al momento, lo sforzo dell’industria petrolifera di rallentare la transizione energetica sta avendo un certo successo, ma non ovunque. Per esempio, subito dopo il discorso di Trump, il presidente cinese Xi Jinping ha parlato dicendo sostanzialmente l’opposto. I cinesi sanno benissimo che importare petrolio dagli Usa sarebbe per loro un suicidio strategico e quindi si stanno muovendo con decisione verso le rinnovabili. Le stesse considerazioni dovrebbero valere anche per noi in Italia, con la nostra economia che sta affondando sotto i costi delle importazioni di energia dall’estero. Purtroppo, però, la propaganda anti-rinnovabili da noi ha attecchito.

Tuttavia, questa fase non potrà durare per sempre. L’industria dei fossili si trova sempre più in difficoltà a mantenere la produzione di risorse sempre meno abbondanti e più costose. Prima o poi, finiremo per renderci conto che non ha senso insistere sui fossili che, già oggi, sono più cari delle rinnovabili. La transizione energetica la dobbiamo fare e la faremo perché ci conviene farla. E prima cominciamo, meglio sarà.

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Il Fatto Quotidiano

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