Tracce per itinerari alternativi

  • Postato il 5 febbraio 2025
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  • Di Il Vostro Giornale
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Generico febbraio 2025

“L’anima è originariamente una tabula rasa nel senso più assoluto, senza alcuna traccia di vita o di rappresentazione: di conseguenza, non vi sono in essa né idee primitive, né predisposizioni a formarle. Tutte le idee, senza eccezione, sono prodotto del tempo e dell’esperienza” è quanto afferma Johann Friedrich Herbart (1776-1841), pensatore che si pone in dinamico confronto sia con la filosofia sia di Fichte, che di Hegel che del suo maestro e, in qualche misura, antagonista, Immanuel Kant. La sua riflessione parte dalla centralità dell’esperienza, lo si comprende dalla prospettiva in cui si pone e dalla quale è conseguente sostenere che “le contraddizioni non possono essere nelle cose, ma soltanto nella nostra insufficiente comprensione di queste”. Gli addetti ai lavori e i filosofi “laureati”, per dirla con Montale, avranno colto la polemica intorno alle categorie kantiane e la vicinanza all’approccio aristotelico, a noi, sostenitori di “un pensiero altro”, interessa argomentare intorno a una questione che riguarda tutti: la nostra comparsa nel mondo ci vede come una tabula rasa o siamo qualcosa di preesistente? Abbiamo possibilità di scegliere o siamo “gettati” come cosa in un mondo di cose? Le esperienze, in quanto “dati di fatto” sono oggettive o diventano qualcosa “di fatto” solo nel momento in cui il soggetto le rende tali con la sua stessa esistenza? A tal proposito mi piace riportare una citazione da Tiziano Terzani: “Ognuno deve cercare a modo suo, ognuno deve fare il proprio cammino, perché uno stesso posto può significare cose diverse a seconda di chi lo visita.” Il pensiero di Terzani illumina un aspetto fondamentale dell’assioma herbartiano: se il medesimo luogo diviene due realtà diverse in seguito all’esperienza che vive il soggetto che lo attraversa, l’esperienza stessa non può essere il mezzo grazie al quale si conosce il fenomeno ma solo lo strumento per determinare l’idea individuale relativa allo stesso. Per dirla in un linguaggio più specialistico, le “condizioni di possibilità dell’esperienza”, che in Kant sono universali ma divengono strumenti soggettivi, dovrebbero assurgere a verità assolute in quanto espressioni intrinseche al dato esperito.

Ma lasciamo a margine la sofisticata polemica del filosofo tedesco e torniamo a noi comuni mortali ma capaci di una riflessione originale: ammettiamo di essere una tabula rasa alla nascita, come sostiene Herbart, al momento di quel nostro “venire al mondo” che pian piano diviene un “venire a se stessi” poiché il mondo richiede che ognuno si confronti con lui, ne faccia esperienza, impari a viverlo e in tal modo si determini e si conosca; bene, intanto non abbiamo scelto di essere una tavoletta di cera, lo stesso varrebbe se fossimo una pagina intonsa o una lavagna immacolata, in ogni caso l’incontro con il mondo sarebbe diverso se il tratto impresso su di noi, cera, carta o lavagna, sia effettuato da un oggetto appuntito, una matita colorata o un gessetto, per esplicitare la metafora e aprire a una riflessione senza la presunzione, comune a troppi “intellettuali”, di essere i depositari di una qualche verità, sarà bene ricordare che l’oggetto appuntito lascerà ben diverse impronte sulle differenti superfici e lo stesso varrebbe per la matita o il gesso. Questo a indicare che la natura originaria di cui siamo costituiti, proprio quella che non possiamo scegliere, risulterà essere determinante per dare vita al testo che va scrivendosi sulla nostra superficie. Torniamo alla metafora di apertura e accettiamo l’idea di tabula rasa, già tanto cara anche a Locke, lasciando in sospeso le altre variabili accennate, che pure mi appaiono come discriminanti possibili e gravide, ebbene, anche in questo caso credo sia interessante sottolineare che colore e consistenza della cera, dimensione e spessore dello strato della stessa, temperatura e umidità “esistenziale” di ogni soggetto risulteranno determinanti per i caratteri di profondità del segno, leggibilità e persistenza dello stesso, insomma, la tabula rasa non può essere intesa come supporto omogeneo e universale sul quale si inscrivono le esperienze così da renderle identiche e necessarie.

Mi sembra possa essere utile contributo al nostro argomentare il lavoro di Steven Pinker che, osservando diversi esempi di gemelli, è arrivato a sostenere che il patrimonio genetico determina in una certa misura il comportamento di soggetti anche se separati e sottoposti a diverse esperienze come comunica in un saggio divulgativo, The Blank Slate, che evidentemente riporta a Locke e che tanta influenza ha esercitato sulla prospettiva moderna che attribuisce una fondamentale centralità della componente biologica nella formazione dell’intelletto e della personalità. Per esperienza diretta, essendo io stesso un gemello, ho potuto verificare come, pur vivendo nella stessa famiglia e frequentando i medesimi ambienti, gli esiti tra noi gemelli sono stati profondamente diversi. Ricordo alcuni esempi scolastici: confrontando tra noi un disegno copiato dalla lavagna, stessa classe stessa insegnante, i prodotti finali sembravano derivare da due soggetti assolutamente diversi. All’epoca si effettuava l’esercizio di dettatura per controllare le competenze di ascolto, attenzione, competenza grafica e grammaticale, ebbene, se la maestra dettava “lei ha”, non era lecito che io scrivessi la a senza acca, le regole risultavano comuni sia per noi gemelli che per l’intera classe, ma se l’insegnante non precisava il dettaglio quando pronunciava la parola “stato” era possibile che uno scrivesse la parola maiuscola oppure no: chissà che non fosse già intrinseca e riconoscibile la mia natura anarchica, ma ci basti un sorriso. Non la faccio tanto lunga, il fatto difficilmente contestabile è che, se anche fosse vero che siamo tabula rasa, e buona parte della ricerca contemporanea non è più così convinta del dato, le differenze individuali vanificherebbero la presunta omogeneità originaria, insomma, non siamo tutti uguali.

Forse l’imperante e ipocrita “politicamente corretto” impone di affermare che siamo tutti uguali, ma sappiamo bene che non è vero, siamo tutti meravigliosamente diversi. Lo so, una certa intellighenzia mi contesterebbe che siamo diversi ma omogenei per diritti e che distinguere può essere radice di una certa forma di razzismo, termine che mi sembra piuttosto abusato. Può essere utile, per meglio comprendere la prospettiva dalla quale osservo, l’affermazione dello scrittore marocchino Tahar ben Jelloun, che vive a Parigi e scrive in francese, “Il razzismo è ciò che trasforma le differenze in disuguaglianze”, allo stesso modo polemizzo con la necessità di determinare, atteggiamento ossessivamente diffuso nella stessa intellighenzia, una sorta di tassonomia delle preferenze sessuali. Diversi amici omosessuali che, essendo miei coetanei, hanno dovuto faticosamente combattere da giovani per ottenere il rispetto della loro libertà in tale ambito, osservano con sospetto l’urgenza di aggiungere all’elenco di iniziali, ormai lungo quanto un codice IBAN, una nuova lettera che precisi se sei maschio ma ti senti femmina o viceversa, se non ti senti né l’uno né l’altro e desideri entrambi o per ogni particolare orientamento, uno di loro mi diceva, poche settimane or sono, che forse sarebbe opportuno eliminare il bisogno di distinguere, che forse sarebbe sufficiente l’approccio einsteniano che afferma che siamo “genere umano” e, se proprio è necessario ricorrere al termine razza, allora “razza umana”. Certo è pleonastico ma preciso, mi riferisco all’espressione LGBTQIA che vorrebbe indicare i differenti orientamenti ai quali si è aggiunto il segno + che dovrebbe raccogliere chi, non trovandosi nell’elenco, si sente membro comunque del gruppo. Questo non è un celebrare la libertà ma un etichettarla, normarla e formalizzarla, insomma, renderla altro da sé. Non credo che il colore della pelle, il sesso, la struttura fisica e, in generale, la personale biologia ci rendano tabula rasa, preferisco amare la particolarità di ognuno e confrontarmi con rispetto con il testo che mi riesce di leggervi.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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Il Vostro Giornale

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