Tra Agrigento e Gibellina: inefficienze, lotte di potere, egoismi e speranze
- Postato il 15 marzo 2025
- Attualità
- Di Artribune
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Pochi mesi sono bastati per capire che Agrigento Capitale della Cultura 2025 sia la solita commedia all’italiana. Quelle che fanno indignare e poi ridere, perché come nei libri di Sciascia e Pirandello, si cade nell’assurdo e nel grottesco.
Perché diciamocela tutta: non è vero che la Sicilia, e soprattutto le zone più retrive all’innovazione (con tutti gli aspetti positivi che ne conseguono: sole, mare, cibo e vacanze da sogno), come il trapanese e l’agrigentino, non abbiano attenzioni o ammirazione dal resto della penisola e del mondo, ma il problema è e rimane tutto locale. Amministrativo, politico, sociale, storico e culturale.
Perché questa era un’occasione da cogliere. E, indubbiamente, riconoscere un’inadeguatezza e un’incapacità di avvalersi di occasioni come questa, per il sud ovest della Sicilia, è già un piccolo passo, ma sarebbe stato più auspicabile arrivare preparati. Queste sono anche occasioni per rivalutare dei luoghi, per vedere la bellezza (seppur evidente) dove non viene colta dagli occhi offuscati da denaro e cattivo gusto. Eppure sono tanti, giovani e meno giovani, desiderosi di arte e cultura.
Da Agrigento a Gibellina: problemi locali e di carattere amministrativo
Per prima cosa affidare il consiglio di amministrazione a un dirigente di Fratelli d’Italia, ma anche ad avvocati, tecnici informatici e persino a un dermatologo – pur non mettendo in dubbio il loro interesse per l’arte e la cultura – e non a storici dell’arte, curatori, letterati, artisti e poeti è stato un primo grosso passo falso. Sprecare le occasioni in questo modo è un peccato e una perdita di credibilità. Ma quanto meno è un’occasione per guardare in faccia la realtà di una zona pigra, periferica, adagiata, spopolata, sprofondata nelle sabbie mobili dalle quali o si sale o ci si inabissa del tutto, sepolta sotto cumuli di macerie di storia non elaborata.
Per risalire è necessario uno sforzo non comune, non basta ovviamente una nomina, e neppure la buona volontà, ma tanto lavoro, organizzazione e una buona amministrazione delle finanze.
Almeno, se prima d’oggi regnava l’indifferenza, perché molti di coloro che lasciano la propria terra accettano la precarietà come un “dato di fatto”, adesso ci si apre gli occhi.
Il potenziale è enorme, basta guardarsi attorno per poterlo riconoscere, e ciò che va sostituita è in primo luogo la classe politica; in secondo luogo bisognerebbe fare un lavoro di istruzione e ancor prima di alfabetizzazione, perché non sono finiti i tempi della “questione meridionale”.

Gibellina Capitale Italiana dell’Arte: una speranza anche per Agrigento
Rimangono ancora delle speranze per Gibellina Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea 2026, eletta dalla giuria presieduta dalla direttrice della Fondazione Sandretto di Torino: Patrizia Sandretto Re Rebaudengo. L’ iniziativa potrebbe/poteva legarsi in modo molto efficace con Agrigento Capitale della Cultura 2025, trattandosi di territori limitrofi e segnati dalle stesse problematiche – crisi idrica, spopolamento, incendi, abusi edilizi ecc., le due città potrebbero costituire una forza comune, ipotesi che per il momento non sembra riuscita. La città di Gibellina Nuova è stata costruita dagli Anni ’70 a valle dopo che la Vecchia Gibellina (ora Cretto di Burri) è stata distrutta dal terremoto del Belìce. Ci si augura che per Gibellina il destino non sia lo stesso di Agrigento. L’ex presidente della fondazione Orestiadi, Calogero Pumilia, ex sottosegretario di Stato, a inizio 2025 si è dimesso perché gli ingenti fondi pubblici richiamano le falene e le lotte per il potere in cui l’Onorevole non voleva trovarsi immerso, ma noi siamo comunque felici e riponiamo fiducia nella nuova presidentessa della Fondazione: Francesca Corrao, figlia del mitico sindaco Ludovico Corrao che ha permesso la nascita di Gibellina come città dell’Arte contemporanea.
Il ruolo della fondazione Orestiadi a Gibellina
Il nome della fondazione, che arriva dalla riscrittura teatrale dell’Orestea di Emilio Isgrò, degli anni ’80, fa riferimento alla lotta sanguinaria per il potere in attesa dell’arrivo della giustizia e della legge, tema che, anche se calato nel nuovo millennio, rimane ancora aperto. E la fondazione Orestiadi, con la sua storia, ne è testimonianza. Tra i territori controllati dai mafiosi Salvo, l’ombra di Messina Denaro, un sindaco coraggioso, sarebbe degna dei migliori racconti di Camilleri.
La fondazione svolge e ha svolto un buon lavoro, assicurando continuità alle attività artistiche, seppur di respiro meno internazionale, anche dopo la scomparsa di Ludovico Corrao nel 2011. Tuttavia il patrimonio storico-artistico, che vanta opere di Mario Schifano, Mimmo Paladino, Emilio Isgrò, Pietro Consagrà, Alberto Burri, Carla Accardi e tanti altri, ha una qualità e valore tale per cui non è sufficiente una gestione locale, ma necessita di figure di alto profilo che sappiano collocare e comprendere l’entità di quel patrimonio (non solo da punto di vista economico): storici dell’arte, critici, conservatori e restauratori che possano valorizzarlo al meglio e soprattutto di un controllo attento da parte del MiC.
Noi ci auguriamo che la logica non sia quella egoistica, familiare e clientelista di chi vuole guardare soltanto al proprio circolo ristretto e “cambiare tutto per conservare tutto come è”, frase tornata celebre con la nuova serie sul Gattopardo, ma che si punti in alto, alle stelle, come a quella di Pietro Consagra che Ludovico Corrao ha voluto all’ingresso in città.
Vito Ancona
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L’articolo "Tra Agrigento e Gibellina: inefficienze, lotte di potere, egoismi e speranze" è apparso per la prima volta su Artribune®.