Sui dazi l’Ue ha chinato la testa, ma aveva almeno due alternative: perché non ne ha approfittato?
- Postato il 5 agosto 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 1 Visualizzazioni
.png)
Il presidente Trump il 2 aprile 2025 aveva proclamato il giorno della liberazione dal debito commerciale per gli Usa, promettendo 90 nuovi e vantaggiosi accordi tariffari in 90 giorni. Il termine è ampiamente scaduto e Trump ha dovuto accedere ai tempi supplementari per mantenere, almeno in parte, le sue promesse. L’Ue non ne è uscita bene, subendo una tassa commerciale del 15%. Meglio ha fatto l’Inghilterra con il 10%. In generale le TT, le tariffe di Trump, sono variegate, bizzarre e non hanno alcuna logica economica, avendo colpito anche Paesi con il quali gli Usa hanno un avanzo.
Ma poi che tipo di accordi sono? In generale un accordo presuppone il consenso delle parti e porta a mutui benefici. Le tariffe di Trump invece sono delle semplici imposizioni leonine. Trump si presenta come il gabelliere medioevale che chiedeva, per entrare in città, una tassa, la gabella, che andava a finanziare le spese del principe. Ma appunto eravamo nel medioevo, un’epoca non propriamente felice economicamente parlando. Nel bel film Non ci resta che piangere, Troisi e Benigni nella sequenza del fiorino hanno immortalato il non senso economico della gabella.
Qualcosa di simile sta accadendo anche al commercio internazionale. Chi vuole esportare negli Usa deve sottostare alla volontà del principe (o despota) e versare una tassa di entrata. Una tassa che poi sarà in realtà pagata dai cittadini, i consumatori finali. Fa abbastanza sorridere la proposta di alcuni senatori repubblicani di restituire con un assegno, 600 dollari una tantum, agli americani gli incassi dei dazi. Ora questi incassi sono corposi, passando da 10 a 30 miliardi al mese, ma appena la catena del commercio internazionale si riorganizzerà sicuramente caleranno, mentre l’inflazione da tassa doganale rimarrà.
La Presidente della Commissione Europea ha chinato la testa e ha accettato il pizzo made in Usa sulle merci europee, sostenendo che era l’unica opzione possibile. In realtà Trump era partito minacciando dei dazi sulle merci europee al 200%, poi era passato al 50%, dopo ancora era sceso al 20% e infine siamo arrivati al 15% come soglia minima irrinunciabile, per lui. Probabilmente, insistendo un po’ si andava a zero.
Di fronte a questo modo di trattare le questioni commerciali altamente capriccioso di Trump la Ue aveva altre due scelte. La prima la possiamo chiamare la via cinese. Il gigante asiatico non si è minimamente scomposto di fronte al chiassoso presidente americano. La Cina ha risposto con dazi reciproci e sta vincendo la partita. I super dazi del 145% sulle merci cinesi sono stati sospesi e alla scadenza a metà agosto lo saranno ancora. L’economia americana è troppo dipendente da quella cinese perché i giochi di Trump possano avere successo. La sua sgangherata strategia commerciale, in realtà, ha mostrato tutta la debolezza degli Usa che, se vogliono produrre qualcosa, devono prima comprare merci made in Cina.
L’Ue sul tavolo, oltre che la risposta dente per dente, aveva una seconda opzione, ancora più interessante e pienamente coerente con la dottrina Trump. Se è vero che la Ue ha un forte avanzo commerciale, tuttavia ha un disavanzo egualmente notevole nei servizi. Noi europei importiamo servizi finanziari, assicurativi, sanitari, di intrattenimento in misura molto maggiore di quanto ne esportiamo. Poi non diciamo che gli Usa ci stanno derubando. I dazi europei sui servizi potrebbero, secondo la logica di Trump, mettere a posto la nostra bilancia con gli Usa. Colpire l’industria tecnologica e dei servizi sarebbe stata una bella occasione per la Ue per far sentire finalmente la sua voce.
C’è da scommettere che gli oligarchi della tecnologia e della finanza che ora sono vilmente al servizio di Trump avrebbero fatto delle pressioni sul Presidente per lasciar cadere tutti i dazi. Un po’ come è successo nel caso di Tim Cook, ceo di Apple, che ha spiegato al Presidente che con i dazi al 145% il prezzo di un suo telefonino sarebbe arrivato a superare ampiamente i 2.000 dollari. Dazi, poi, subito sospesi.
Perché Von der Leyen non abbia seguito né la strada diretta della ritorsione commerciale né quella indiretta della ritorsione sui servizi tecnologici e finanziari è difficile da capire. Anche perché il bizzarro Trump domani potrebbe decidere di cambiare i dazi a suo piacimento. La follia economica di un presidente ottuagenario va sradicata subito, prima che provochi danni difficilmente riparabili.
Come al solito l’Italia ha assunto una posizione di totale e mediocre opportunismo. La soluzione Von der Leyen per il duo Meloni-Giorgetti va bene, ma c’è ancora molto da fare per andare a compilare la lista dei prodotti colpiti. La guerra commerciale, persa all’esterno, viene ora spostata all’interno della Ue, facendo esplodere ancora di più le contraddizioni della piccola Europa dei nazionalismi. Comunque la posizione più curiosa, da autentico teatro dell’assurdo, è quella del ministro Lollobrigida secondo il quale i dazi saranno sostenibili in agricoltura perché alcuni prodotti, come il pecorino, gli americani non li producono e quindi li devono per forza comperare da noi.
Bisognerebbe spiegare al ministro, laureato in Giurisprudenza in una università telematica, alcuni semplici concetti economici, così da evitare le sue solite e omeriche brutte figure. Oppure, molto tristemente, abbiamo i ministri che ci meritiamo.
L'articolo Sui dazi l’Ue ha chinato la testa, ma aveva almeno due alternative: perché non ne ha approfittato? proviene da Il Fatto Quotidiano.