Su Attanasio, Jacovacci e Paciolla le famiglie chiedono un’unica Commissione d’inchiesta: ne va della dignità dello Stato
- Postato il 5 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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In Senato oggi i famigliari di Mario Paciolla, Luca Attanasio, Vittorio Jacovacci, insieme a parlamentari, avvocati, giornalisti, attivisti, sono intervenuti per chiedere la istituzione urgente di una unica commissione di inchiesta su quelle tragiche vicende. Assente ingiustificato il Governo, come pure i parlamentari di maggioranza. Una vergogna che potrà essere scongiurata soltanto da fatti concludenti, altrimenti, come ha più volte ribadito il padre di Luca Attanasio, Salvatore: “Il silenzio equivarrà a complicità nelle morti dei nostri cari”.
Eppure unanime era stato il voto dei parlamentari componenti della Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato nel momento in cui c’era da approvare una risoluzione volta ad impegnare lo Stato italiano a fare ogni sforzo per accertare la verità. Come si spiega questo “voltafaccia”? Perché unanimi nell’esprimere cordoglio e buone intenzioni, ma divisi quando si tratta di passare alle decisioni conseguenti – ovvero far votare la proposta di legge di istituzione della Commissione di inchiesta?
Una proposta di legge matura perché raccoglie la consapevolezza condivisa degli stessi parlamentari estensori, Marco Lombardo in Senato, Marco Sarracino alla Camera, che la Commissione dovrà appunto essere unica, proprio a sottolineare da un lato la responsabilità dello Stato nel tutelare la vita di propri concittadini impegnati all’estero e dall’altro l’opacità delle Nazioni Unite nel fornire pieno supporto alle indagini. Una opacità che rischia di trasformare, come ha sottolineato Anna Paciolla, mamma di Mario, l’immunità funzionale degli operatori Onu in radicale impunità anche in casi di crimini gravissimi.
Se di fronte a queste tragiche morti, tutte ormai considerate assassini mirati con motivazioni politiche da parte di coloro che hanno lavorato ai casi, lo Stato e più precisamente ancora il Ministro degli Esteri Tajani, il ministro della Difesa Crosetto, si dovessero girare dall’altra parte allora, parole di Dario Jacovacci, “nessuno sarebbe più al sicuro”. Perché in queste storie in ballo c’è niente meno che la “dignità dello Stato”, come ha affermato la senatrice Susanna Camusso.
Il silenzio di maggioranza e Governo è tanto più fragoroso se confrontato con le bordate retoriche di solo 24 ore fa: 4 novembre, giornata dell’unità nazionale e delle forze armate. Dove finiscono l’orgoglio nazionale, la fierezza di essere “costruttori di pace” all’estero? Sembrerebbero concetti buoni a condizione che non interferiscano con i grandi interessi economici che si stagliano come lugubri ombre sullo sfondo di queste vicende. Perché i soldi e il loro accumulo criminale da parte di organizzazioni corrotte o di singoli funzionari corrotti pare essere l’altro comun denominatore che attraversa le storie di chi invece, innamorato del diritto come forza di liberazione dalla paura e dal bisogno, non ha taciuto davanti al “puzzo del compromesso morale”, per dirla con quell’altro faro della destra di governo che è Paolo Borsellino. Faro tanto esibito, quanto tradito.
Gli interventi composti, fermi, precisi di Anna Paciolla, Salvatore Attanasio, Dario Jacovacci andrebbero fatti ascoltare nelle scuole: là dove, nonostante la resistenza culturale opposta da una moltitudine di insegnanti valorosi, si insinua la rassegnazione davanti ad un mondo nel quale il diritto come regola di convivenza è sempre più disprezzato a favore della regola imposta con la violenza brutale, spesso istituzionale.
Che il modo di guardare alla Repubblica dei famigliari di Paciolla, Attanasio, Jacovacci sia il modo con il quale cercare di salvare le istituzioni democratiche dal baratro della corruzione, che sempre passa dalla depredazione delle risorse pubbliche, lo dimostrano la cura con la quale tutti loro hanno ricordato il quarto assassinato, il più esposto all’oblio, e cioè l’autista di Attanasio, Mustapha Milambo e il richiamo al ruolo dello Stato al quale si continua a guardare anzi che no. Nonostante tutto, nonostante i silenzi, le assenze, i depistaggi che hanno sempre a che fare con chi gestisce il potere istituzionale (chi mai poteva cancellare le mail dal pc di Luca Attanasio subito dopo la sua morte?), i famigliari delle vittime continuano ad interpellare lo Stato perché il “tricolore avvolti nel quale sono tornati, ha detto Dario Jacovacci, che non li ha saputi difendere da vivi, possa almeno difenderne la dignità da morti”.
Esattamente questo è ciò che vogliono i famigliari di Giulio Regeni e di Andy Rocchelli. Era ciò che volevano i famigliari di Ilaria Alpi. Ecco: ora tocca a noi, fare in modo che questa Commissione parlamentare di inchiesta ci sia e che non finisca come quella che fu istituita per la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, presieduta dall’on. Carlo Taormina. Di “rapine finite male” nessuno ci venga più a parlare.
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