“Sì, suonerò al suo funerale. E non c’è niente di più triste che ricordare la felicità”: l’addio di Paolo Fresu a Ornella Vanoni
- Postato il 22 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“E non c’è niente di più triste, in giornate come queste, che ricordare la felicità. Ciao Ornella”. Con queste struggenti parole, affidate ad un post su Facebook, il trombettista e compositore jazz Paolo Fresu ha reso omaggio a Ornella Vanoni, l’artista con cui ha condiviso un sodalizio artistico e umano profondo e irripetibile, durato oltre trent’anni. Il musicista sardo non ha solo espresso il suo dolore; ha confermato che suonerà al suo funerale rivelando i dettagli di un patto privato e di un’amicizia che univa la sua terra, la Sardegna, al mondo sfrontato e colto della “signora” della musica italiana.
L’ultima volontà di Ornella Vanoni è stata indirizzata proprio a lui. Fresu ha raccontato il momento in cui la cantante lo contattò per una richiesta straordinaria: quella di suonare al suo funerale. “Mi chiamò una mattina di sei anni fa. Ero a Bologna, avevo accompagnato mio figlio a scuola”, ha raccontato. “Mi svelò quel suo desiderio, mi disse cosa avrei dovuto suonare”. Un momento che Fresu, pur sapendo della sua indole eccentrica, ha affrontato con ironia: “Per anni ho avuto questo timore e scherzosamente le dissi: ‘Se muoio prima io devi venire tu a cantare‘”. La richiesta, seppur fatta con leggerezza, era seria.
L’amicizia tra i due era nata al Tangram di Milano nei primi anni Novanta e si era cementata nel rispetto e nell’intimità. Fresu ricorda i lati più nascosti della Vanoni: la sua fragilità prima di salire sul palco. “Tremava come una foglia prima di salire sul palco che poi affrontava come una leonessa”. Ma anche la sua vicinanza umana, fatta di telefonate settimanali che iniziavano sempre con “come va?” e che spesso includevano anche la moglie Sonia o la madre di Fresu.
La loro collaborazione artistica, culminata nell’album “Argilla” (“un disco difficile e sofisticato” che l’ha ripagata in “creatività e autostima”), era la sintesi perfetta del suo pensiero: Ornella era una donna che “abborriva l’ovvietà e il banale” e che aveva “frantumato il sottile equilibrio tra arte e vita”. Per Fresu, la scomparsa della cantante, che definiva “un’anima che non ha mai avuto paura di mostrarsi vera, intensa, irripetibile“, non è una perdita definitiva. Rievocando l’addio, il trombettista ha riflettuto: “Ornella ha volato tutta la sua vita. A volte bruciandosi le ali ma sempre rialzandosi e librandosi sempre più in alto”. Oggi sa che, nonostante il dolore, il suo compito è dare continuità a quel volo. L’ultima consolazione è che “la sua voce unica” risponde a un solo nome, come “Raffaello, Miles e Vinicius”, e che continuerà a “volare tra le parole e nel ricordo della sua musica”.
La lettera d’addio di Paolo Fresu
Scrivi qualcosa, domando a me stesso in questa vuota mattina di novembre.
E sono qui a buttare pensieri sparsi in un foglio word pensando al nostro primo incontro al Tangram di Milano nei primi anni Novanta e a quante volte abbiamo riso, pianto, cantato e suonato in questi trent’anni.
Quasi impossibile parlare di Ornella.
Impossibile tratteggiare una vita ricca fatta di successi e di trionfi, di cadute, ascese e passioni.
Scrivi qualcosa, ma cosa?
Forse il modo migliore è quello di trovare degli aggettivi.
Degli screenshot contemporanei che siano capaci di tradurre l’immaginifico nell’immaginario collettivo del suo essere donna e artista che, sa sempre, appartiene a tutti noi.
Ornella è l’emozione della vita. La sua e la nostra.
Capace di mettere al centro del mondo la solitudine e la passione, l’amore per stessa e per il prossimo, il pathos e la poesia che salverà (forse) il mondo.
Una donna sfuggente che abborriva l’ovvietà e il banale. Un’artista che ha frantumato il sottile equilibrio tra arte e vita e che ha fatto del palcoscenico la sua casa dove ospitare e dispensare i sentimenti umani.
L’orologio annuncia che è l’ora di partire per Milano.
Salvo questi pochi pensieri e spengo il computer conscio di non essere riuscito a scrivere ciò che avrei voluto.
Ad esempio che tremava come una foglia prima di salire sul palco che poi affrontava come una leonessa. Oppure delle telefonate settimanali con la sua voce inconfondibile che iniziavano sempre con
E ancora il suo spogliare con lo sguardo le persone che non le piacevano così da metterle in difficoltà, il concerto dato a titolo solidale nel cortile nelle scuole Pavese dove mio figlio frequentava le Elementari o il concerto nel prato della casa di Fabrizio de André alle sei del pomeriggio dove lei, scalza, disse
Nel maggio del 2020, davanti alla stessa scuola di mio figlio, mi chiese al telefono di suonare al suo funerale.
In quella luminosa mattina si è saldata ancora di più la nostra amicizia fino a quando, poco tempo fa, mi ha chiesto di essere accompagnata per mano al conferimento della Laurea Honoris Causa.
Ora sono su un Frecciarossa che sfreccia nella nebbia padana. Riapro il computer rendendomi conto che bisognerebbe scrivere ancora ma i pensieri sono troppo affollati.
Forse bisognerebbe semplicemente volare tra le parole e nel ricordo della sua musica tra Brecht e Vinicius, Tenco, Fossati e Paoli.
Ornella ha volato tutta la sua vita. A volte bruciandosi le ali ma sempre rialzandosi e librandosi sempre più in alto. Esattamente come noi facciamo tutte le volte che ascoltiamo la sua voce meravigliosa e inconfondibile.
L’ultima volta è accaduto a Bologna nel mese di marzo quando, in “The Man I Love” arrangiata da Celso Valli, sembrava Billie Holiday.
Mentre entro in Centrale a Milano, la sua città, ripongo il computer nello zaino certo di non essere riuscito nel mio intento.
So solo che il mondo ha perso una voce unica che risponde, come Raffaello, Miles e Vinicius, a un unico nome: Ornella.
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