Si parla spesso di analisi costi-benefici per apparire più credibili: io invertirei l’ordine delle parole
- Postato il 16 settembre 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 1 Visualizzazioni
.png)
I mega‑progetti più controversi sono spesso presentati al pubblico sbandierando rapporti patinati pieni di grafici e numeri che proclamano una ACB — Analisi Costi-Benefici — ampiamente positiva, vale a dire un rapporto assai inferiore a uno. Perché ACB e non ABC, che suonerebbe anche meglio?
Sebbene sulla carta l’Analisi Costi‑Benefici (ACB) e l’Analisi Benefici-Costi (ABC) siano frutto dello stesso esercizio, l’ordine delle parole non è casuale. Non esiste un metodo ABC diverso da un metodo ACB. Ma parole e le sigle possono plasmare le percezioni, attenuare il dissenso e ampliare il margine di manovra del potere che sempre più abusa della credulità popolare.
Perché ACB e non ABC? ACB dona una patina di legittimità che ABC fatica a diffondere. ACB suona canonico, formale e, soprattutto, a prova di Procura, amministrativa o penale che sia. È il termine più familiare a giornalisti, finanziarie e istituti di credito. Le amministrazioni a rischio frode si affidano a questa familiarità per ottenere credibilità e scoraggiare le domande indiscrete: “Abbiamo fatto la ACB” viene letto come una dichiarazione di conformità, anche quando le ipotesi di fondo sono distorte.
L’ACB mira a lusingare la gente. Mettere prima la voce del “costo” segnala prudenza, utile a far passare il messaggio che “i benefici superano i costi.” Questa sequenza inquadra l’analisi come cauta pur scivolando sopra un titolo che ispira fiducia. ABC fa pensare a chi vuole vendere; ACB a chi vuole ben soppesare.
L’ACB offre lo spazio per manipolare le ipotesi. I modelli ACB normalizzano le monetizzazioni e sono difficili da verificare. Il risparmio di tempo, gli “impatti economici più ampi”, i prezzi ombra e le valutazioni contingenti possono aumentare i benefici se i tassi di sconto, i valori di base o i moltiplicatori vengono scelti silenziosamente per adattarsi al progetto. L’etichetta ACB offre una solida copertura procedurale per queste scelte.
L’ACB nasconde i danni distributivi, perché la compensazione tra costi e benefici cala un velo su chi è destinato a vincere e chi è condannato a perdere. Sotto lo scudo di una ACB, i danni locali — come lo spostamento di popolazioni, il rumore e l’inquinamento, la perdita di ecosistemi — vengono spesso inseriti in appendice come voci “non‑quantificabili”, mentre i benefici netti aggregati sono i titoli principali dell’executive summary, destinato ad attenuare le obiezioni delle comunità coinvolte.
L’ACB offre un assoluto vantaggio mediatico, favorendo la ricerca tramite gli usuali motori, Google e affini. ACB domina i titoli e i termini di ricerca. Le cartelle stampa viaggiano più rapide quando utilizzano una lingua franca. Ciò amplifica la copertura favorevole e rende più difficile trovare contro‑analisi se inquadrate come ABC o revisioni distributive/azionarie.
L’ACB suona come miele alle orecchie dei finanziatori. La finanza internazionale e le norme sugli appalti chiedono sempre di presentare una ACB. L’uso di questa etichetta accelera le approvazioni e consente ai promotori di sventolare un biglietto da visita familiare, utile per rendere più spedito il percorso dei progetti controversi oliando le finestre di opportunità politica.
L’ACB è miele all’orecchio dei finanziatori, giacché i finanziatori internazionali e le norme sugli appalti spesso chiedono di “presentare un ACB”. Gli standard della ACB mettono da parte le metriche di equità e di vulnerabilità. Attenendosi a un nucleo ristretto e monetizzato di voci, i promotori controllano ciò che “conta”, battezzando le preoccupazioni delle comunità come “qualitative”. Argomenti che non spostano il magico rapporto tra Costi e Benefici.
La preferenza per la ACB non riguarda una diversa matematica, ma l’ottica e la leva finanziaria. Per i governi fraudolenti, l’etichetta garantisce legittimità immediata, controllo narrativo e libertà di scelta sui presupposti della questione in gioco, il tutto tenendo l’impatto del dissenso fuori dal numero-indice della sacra sigla.
Ha scritto Edgar Morin che “il calcolo (statistiche, sondaggi, crescite, Pil) invade tutto. Il quantitativo scaccia il qualitativo. L’umanesimo è in regressione sotto la spinta tecnico-economica”.
Nei miei corsi di progettazione — parlo di 30 e più anni fa, quando avevo 300 e più studenti in aula — dedicavo un certo spazio all’analisi economica delle infrastrutture idrauliche, una trovata che alcuni colleghi consideravano eccentrica, un po’ come le lezioni dedicate ai cambiamenti del clima. E ho sempre chiamato il confronto tra benefici e costi con la sigla ABC, perché un’opera dell’uomo è finalizzata prima di tutto a realizzare dei benefici.
Bisogna costruire per migliorare la vita delle persone, non per giustificare dei costi. Non c’è nulla di così inutile quanto fare con grande efficienza ciò che non andrebbe affatto fatto. “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per andare a prendere la legna, non distribuire compiti e non organizzare il lavoro; ma insegna loro la nostalgia del mare vasto ed infinito” (Antoine de Saint‑Exupéry).
L'articolo Si parla spesso di analisi costi-benefici per apparire più credibili: io invertirei l’ordine delle parole proviene da Il Fatto Quotidiano.