Si apre un nuovo anno duro per le famiglie in precarietà abitativa: poche risposte, molti profitti ai privati

  • Postato il 25 dicembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Arriviamo al 2026 con alle spalle un 2025 complicato per le famiglie in precarietà abitativa. Continuano ad essere preoccupanti i dati relativi alle famiglie in povertà assoluta e in affitto. Gli sfratti ormai sono stabilizzati sulle 40.000 sentenze e le oltre 20.000 esecuzioni con la forza pubblica. Nonostante le 70.000 case popolari, in Italia, chiuse e inutilizzate per mancanza di manutenzioni, centinaia di migliaia le famiglie nelle graduatorie. Con questo portato in Italia affronteremo la questione abitativa, casomai aggravata. Ancora in assenza di un Piano casa nazionale, nonostante annunciato ogni due mesi. In attesa anche dei famosi 15 miliardi di euro destinati a realizzarlo, come annunciato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Affronteremo il 2026 con una legge di bilancio che, di fatto, non contiene quasi nulla in materia di politiche abitative. C’è solo un mero riferimento all’utilizzo delle risorse del Piano clima sociale da utilizzare anche per il Piano casa, ma senza quantificare le risorse e senza dire da quale anno sarebbero disponibili. Permane, inoltre, il definanziamento dei contributi affitto e morosità incolpevole.

E’ prevedibile che il 2026 non sarà solo un ulteriore anno di resistenza rispetto agli sfratti o di solidarietà con le famiglie povere. Ancora un anno duro per i diritti sociali, in attesa del dispiegarsi perverso degli effetti del decreto legge sicurezza che offre alle famiglie occupanti per necessità: sgomberi e reati con possibili condanne da 2 a 7 anni.

Nel 2026 i sindacati inquilini, i movimenti per l’abitare, le associazioni di cittadini dovranno fare i conti con il Piano casa europeo, le cui linee guida sono state presentate recentemente dal Commissario Jorgensen. Piano casa europeo che per il governo italiano è una vera manna, in quanto sostanzialmente in linea con le intenzioni di Salvini. Un Piano casa europeo, comunque finanziato con 150 miliardi di euro, che contempla sostanzialmente interventi da parte di privati e di finanza immobiliare di recupero e riqualificazione immobili da attuare chiedendo ai Paesi aderenti all’Ue di prevedere attraverso semplificazioni. Perché il fine è rendere il settore delle costruzioni e delle ristrutturazioni più produttivo e innovativo. Forse era troppo chiedere che il Piano casa europeo rispondesse alle famiglie in precarietà abitativa.

Peccato che il Piano casa europeo, e in fondo anche il Piano casa Italia, parlino astrattamente di affrontare il disagio abitativo ma senza che questi sia identificato con precisi settori sociali, lasciando lo spazio alle interpretazioni più varie e limitative rispetto al fabbisogno più critico rappresentato dalle famiglie povere, quelle nel baratro dello sfratto e quelle nelle graduatorie.

Non è solo dietrologia dire che il Piano casa europeo e quello in itinere italiano si rivolgono ad una rigenerazione urbana fondata su programmi e iniziative di privati chiamati al massimo a devolvere “magnanimamente” una quota piccola di unità immobiliari da destinare ad alloggi social, con affitti calmierati, senza fornire un riferimento agli affitti calmierati e quale debba essere il livello di sostenibilità degli affitti per le famiglie.

Se il Piano casa europeo, e quello italiano, si rivolgono ad un generico disagio abitativo a forte impronta privatistica è evidente che non c’è spazio, per ora, per rispondere alle centinaia di migliaia di famiglie e di milioni di persone che non vivono solo un disagio abitativo ma una condizione perenne di esclusione dal mercato delle locazioni e dall’offerta di alloggi pubblici. Questo si evince anche dalla tratteggiata futura programmazione di politiche per l’abitare che comunque si prevede debbano garantire ai privati, un profitto.

Si apre, quindi, nel 2026 la possibilità, ma anche la necessità, di una vasta mobilitazione sociale a sostegno di una vertenza nazionale per il diritto all’abitare, da parte di sindacati inquilini e movimenti per l’abitare, che pur tenendo conto del Piano casa europeo, pieghi questi a rispondere, al livello nazionale, prioritariamente al fabbisogno rappresentato dalle famiglie in precarietà abitativa, per affrontare non un generico disagio abitativo, ma per garantire una casa a costo sostenibile, quindi ad affitti sociali rapportati al reddito, propri dell’edilizia residenziale pubblica. L’augurio è che anche il 2026 non sia un anno perso, come gli ultimi.

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Il Fatto Quotidiano

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