“Sembravamo una setta”, gli ex allievi accusano la pianista che proponeva terapie a base di “riti psicomagici”

  • Postato il 6 ottobre 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Sembravamo una setta”, ma questo sarà il dibattimento a stabilirlo. Ma quest’accusa è il cuore del processo in corso ad Asti carico di una musicista e docente, conosciuta come ideatrice del “Teatro della crescita” e per essersi autodefinita, almeno così raccontano gli ex allievi, una “regista terapeuta”. Le accuse sono di esercizio abusivo della professione di psicoterapeuta e violenza privata. Al centro del procedimento i corsi teatrali che, a detta dei partecipanti, nulla avevano a che fare con un normale laboratorio di recitazione: “Erano traumatici, sembravamo una setta”, ha detto una testimone in aula.

Secondo i racconti dei ragazzi, molti dei quali all’epoca erano minorenni o appena maggiorenni, le “lezioni” non si limitavano a improvvisazioni e prove sceniche, ma spingevano i partecipanti dentro un vortice di esercitazioni emotive intense, spesso legate ai loro vissuti più profondi: traumi familiari, fragilità psicologiche, violenze subite, crisi identitarie, specialmente in relazione all’orientamento sessuale.

Le testimonianze raccolte dall’ordine degli Psicologi, poi confluite in una denuncia, avevano tracciato un quadro su cui era stato chiesto alla procura di indagare: meditazioni collettive, “riti psicomagici”, esercitazioni ispirate allo psicodramma di Moreno, un metodo terapeutico per il quale servono qualifiche precise. In quel contesto, però, secondo gli inquirenti che sostengono l’accusa, mancava ogni controllo professionale. Dalle testimonianza è emerso anche che chi metteva in dubbio l’autorità dell’insegnante veniva allontanato. “Chi usciva veniva demolito. Gli altri erano indotti a tagliare ogni rapporto con chi si opponeva” la versione degli alunni.

L’imputata, assistita dagli avvocati Filippo Testa e Giulia Occhionero, nega ogni accusa. “Non è vero” ha detto ascoltando i racconti di disagio, ansia, attacchi di panico. In particolare, uno degli episodi contestati riguarda una rappresentazione in cui, secondo l’accusa, avrebbe costretto una ragazza minorenne a toccare le parti intime di un altro partecipante, Andrea, che ha raccontato di essersi sentito profondamente a disagio: “Sosteneva che così avremmo superato i nostri traumi”. A complicare il quadro, il fatto che alcuni di quei corsi siano poi sfociati in veri e propri spettacoli aperti al pubblico, portando la difesa a sostenere che le esercitazioni fossero in realtà propedeutiche alla messinscena teatrale, non attività terapeutiche. Sul processo incombe la scure della prescrizione perché molti episodi risalgono a più di dieci anni fa.

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