Se lo stupratore è un intoccabile il potere lo sostiene: in Italia stiamo rinviando una riflessione collettiva
- Postato il 12 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il senso di impunità è sempre accompagnato dall’omertà e da una cortina fumogena che protegge il prestigio sociale, rendendo intoccabili certi stupratori o molestatori seriali. Lo stupro, ripetono da anni le femministe, viene percepito in maniera differente se a commetterlo è l’ultimo degli uomini, uno che vive ai margini della società, un immigrato o, al contrario, un “intoccabile”. Quanto più l’autore di violenza sale nella gerarchia sociale, tanto più lo stupro diventa invisibile e, tanto meno, le donne sono credute o incoraggiate a sporgere denuncia.
Se poi l’autore di violenza ha nelle sue mani la possibilità di licenziare o stroncare i progetti professionali delle vittime, le possibilità che ci siano denunce precipitano. Il caso del primario indagato per violenza sessuale sotto il peso di 32 aggressioni alle colleghe, licenziato e sospeso dall’Ordine dei Medici di Piacenza, dovrebbe far riflettere chiunque, compreso il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Entrambi pervicacemente convinti che la cultura che produce la violenza contro le donne appartenga a certe aree geografiche e non esista tra i nostri confini.
Poi ogni tanto scoppia quello che viene percepito come uno scandalo, invece è un crimine, e lo scrittore condannato per violenza sulla compagna trova la sponda su paginate di quotidiani che sostengono la sua difesa senza replicare nulla; il cantante famoso che commette stalking trova la comprensione in virtù della sua “arte”; l’imprenditore di successo che commetteva violenza sessuale nei confronti di giovani donne vede attenuata la sua responsabilità grazie al linciaggio sui social delle sue vittime. Sciami di odiatori e benpensanti sputano sentenze sulle donne che denunciano, ridimensionando la portata criminale dello stupro ridotto ad un problema legato alla morale sessuale. E la morale sessuale messa sotto processo, naturalmente, è quella delle vittime.
Gli anglosassoni la chiamano himpathy, empatia nei confronti di uomini che commettono violenza nei confronti delle donne. Difficile eradicarla quando si deve fronteggiare una cultura millenaria che ha legalizzato e giustificato ogni forma di femminicidio anche in nome della religione. Fatevi un giretto sulla Bibbia.
La vicenda del primario di Piacenza rievoca, in parte, quella del produttore americano Harvey Weinstein, condannato a 24 anni di carcere dopo la denuncia di decine di attrici e segretarie che uscirono dal silenzio. La cortina fumogena cadde grazie al MeToo che smascherò, tra le tante, le violenze del faccendiere Jeffrey Epstein, poi morto suicida (così dissero) in carcere mentre era in attesa di processo. Recentemente Virginia Giuffrè, la principale accusatrice di Epstein, è morta suicida.
La violenza può uccidere a distanza di anni, quando il trauma è profondo e diventa un veleno che intossica giorno dopo giorno. In Italia un movimento MeToo non c’è mai stato. Venne stroncato sul nascere da direttori di quotidiani, politici, opinionisti e anche da qualche scrittrice che salì sul pulpito a bacchettare le scellerate che denunciavano pubblicamente di aver subito molestie o violenze sessuali. Non si provassero a farlo nel Belpaese. Il ditino alzato e lo sguardo severo mentre si agitava lo spettro della caccia alle streghe. E calò il silenzio in questo Paese.
Ci provarono le francesi con scarso successo. A distanza di anni dal movimento Balance ton Porc, ben poco è cambiato. Gérard Depardieu, denunciato da più donne per violenze sessuali, ha ottenuto la solidarietà del presidente Emmanuel Macron che si è schierato al suo fianco, non solo per la presunzione di innocenza ma perché “il genio della sua arte rende fiera la Francia”. Una sorta di bonus stupro per meriti artistici, militari, politici, letterari o imprenditoriali non si nega a nessuno. Giséle Pelicot, denunciando le violenze subìte dal marito e da sconosciuti, ha mostrato ancora quanto lo stupro sia diffuso e possa essere commesso dall’uomo che hai al tuo fianco o da decine di uomini comuni, vicini della porta accanto.
Nonostante le denunce collettive o le scelte coraggiose di singole donne che si espongono pagando prezzi altissimi, continuiamo a rinviare una riflessione collettiva e politica sul fenomeno della violenza sessuale, sulla connessione tra potere e dominio dei corpi e sull’impunità che privilegia gli “illustri” che la commettono. Molti medici ora gridano “non tutti i medici” mostrando imbarazzo per quanto accaduto a Piacenza. La professione medica, la categoria o qualunque sia il gruppo di appartenenza degli autori di violenza non sono determinanti per comprendere cosa alimenta la deumanizzazione delle donne. Anche gli Alpini reagirono con imbarazzo alle accuse di violenze sessuale durante i loro raduni, e promisero querele a Non Una di Meno che aveva rese pubbliche le testimonianze di alcune donne.
I quotidiani scrivono che alcuni medici dispensavano consigli al primario, divertiti dalla reiterazione di prevaricazioni e violenze come fossero goliardate su cui ridere. Quello che è accaduto a Piacenza non è uno scandalo morale, non riguarda la professione medica, è legato alla vecchia e arcaica cultura dello stupro.
@nadiesdaa
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