"Se l'America lo vuole, siamo pronti alla guerra". Cina, muscoli e paura: cosa teme davvero Xi
- Postato il 7 marzo 2025
- Di Libero Quotidiano
- 2 Visualizzazioni

"Se l'America lo vuole, siamo pronti alla guerra". Cina, muscoli e paura: cosa teme davvero Xi
Il Dragone asiatico sbuffa a Donald Trump e lo fa in concomitanza del Congresso nazionale del popolo, il cerimoniale legislativo cinese.
Mostra fauci e artigli e annuncia una crescita economica del 5% per il 2025, in faccia ai dazi degli Stati Uniti. Punta sugli investimenti dall'estero, sigillati dagli accordi per la Nuova via della seta, sulle infrastrutture e stanzia un fondo da 138 miliardi di dollari sulle start-up innovative, con un occhio di riguardo per quelle che potenziano l'intelligenza artificiale. E spinge sul settore militare con un budget per la difesa in aumento del 7,2%.
«Se la guerra è ciò che vogliono gli Stati Uniti, che sia una guerra tariffaria, una guerra commerciale o un qualsiasi altro tipo di guerra, siamo pronti a combattere fino alla fine» recitava il post del ministero degli Esteri postato su X tra mercoledì e ieri. Una chiara dichiarazione d'intenti rilanciata a gran voce dall'ambasciata a Washington. Ancora ieri, il ministero degli Esteri aggiungeva: «Gli Stati Uniti devono rendersi conto che la Cina non è un'immagine speculare degli Stati Uniti egemonici. Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di guardare alle relazioni Cina-USA con una mentalità obsoleta da Guerra fredda».
A SCUOLA DAI SOVIETICI
Lo spettro che spaventa Pechino è proprio questo, quello di ritrovarsi un rivale politico che punta gli occhi addosso e concentra la sua attenzione sul lato Pacifico piuttosto che Atlantico. Tanto che all'indomani del ritorno di Trump alla Casa Bianca, il leader cinese Xi Jinping avrebbe chiesto ai suoi consiglieri di studiare a fondo il confronto tra Usa e Unione sovietica ai tempi della Cortina di ferro, come ha rivelato il Wall Street Journal. Dai confronti è emerso un quadro chiaro: Trump vuole porre fine al conflitto in Ucraina e chiudere la crisi in Medio Oriente per concentrare tutte le energie sulla sfida economica e commerciale con la Cina e per indebolirla punta a riallacciare i rapporti con Vladimir Putin per indebolire l'asse Mosca – Pechino.
Martedì, a poche ore dalle nuove tariffe doganali emanate dagli Usa sui prodotti made in China, la società di investimenti di Wall Street, Black Rock, ha conquistato terreno nel Canale di Panama, acquisendo due porti controllati dalla CK Hutchinson che ha base ad Hong Kong. In questo scenario assumono un importante rilievo le dichiarazioni di Micheal Pillsbury, esperto di Cina per il think tank conservatore Heritage Foundation: «Sono piuttosto disperati», ha affermato alla luce dei tentativi cinesi falliti di scongiurare i dazi come sarebbe trapelato da alcune riunioni con le delegazioni a Washington. «La loro economia è in difficoltà e ora che Trump ha imposto i dazi, sanno che questa campagna è fallita».
LA STRETTA DI MANO
Per tratteggiare la crisi del Dragone, si possono considerare i 285 miliardi di dollari immessi lo scorso anno per stimolare la crescita economica e salvaguardare un mercato immobiliare in forte contrazione o il crollo dei profitti industriali registrato a novembre: -7,3% su base annua. Gli Stati Uniti sono una destinazione fondamentale della produzione cinese e il contraccolpo delle nuove tariffe doganali può peggiorare sensibilmente la situazione. La strategia trumpiana è completa e include la negoziazione di accordi con il Vietnam e il Messico per impedire che i cinesi reindirizzino le merci verso gli Usa sfruttando altri soggetti. Se Guerra fredda deve essere, nulla va lasciato al caso.
«La Cina», minacciava il ministero degli Esteri, «combatterà fino alla fine: consigliamo agli Stati Uniti di mettere da parte la loro faccia da bulli e tornare sulla strada giusta del dialogo e della cooperazione il prima possibile». Le cordialità di inizio mandato trumpiano, con l'invito a Xi Jinping all'Inauguration Day del 20 gennaio - al quale ha poi effettivamente partecipato il vice Han Zheng - sono già uno sbiadito ricordo. Il pretesto trumpiano, comunque in linea con l'agenda repubblicana di ristabilire legge e ordine, è di punire la Cina per il traffico di fentanyl che ha invaso le città americane: l'obiettivo più ampio è di metterla all'angolo e costringerla ad una stretta di mano in assenza di una via d'uscita. E sappiamo bene come sono le strette di mano di Trump, metaforicamente e non.
Continua a leggere...