Schiavitù, oppio e colonialismo: non possiamo ignorare come ci vedono gli altri

  • Postato il 18 settembre 2025
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La storia conta perché i fatti e le interpretazioni del passato perdurano nella memoria collettiva e vengono rappresentati dalle visioni dominanti. Questo dato elementare sembra mancare proprio nella nostra cultura occidentale, in cui stato di diritto e valori di eguaglianza e libertà si sono affermati. La nostra storiografia e la sua trasposizione nelle narrative politiche tralasciano sullo sfondo i grandi crimini commessi nei secoli scorsi; li riconosciamo, ma non siamo in grado di capire quanto possano avere plasmato come siamo visti dal resto del mondo.

I tre casi più simbolici ma anche molto rilevanti in termini di impatto sociale sono la tratta degli schiavi, le due guerre dell’oppio in Cina e la colonizzazione dell’India.

Gli schiavi sono sempre esistiti e lo schiavismo ha avuto forme e brutalità diverse. Ma la costruzione sistematica di una filiera industriale che andava dalla cattura, al trasporto e alla vendita degli schiavi nelle Americhe ha avuto una dimensione e brutalità senza precedenti. Nel solo periodo tra il 1700 e il 1860 circa 8,5 milioni di africani furono strappati dai loro villaggi per essere venduti come cose a proprietari terrieri francesi, inglesi e americani. Il trauma di questo crimine di massa ha implicazioni evidenti nell’America di oggi e nella diffidenza dei paesi africani per l’Europa e gli Stati Uniti, aspetto che potrebbe avere favorito l’espansione cinese nel continente.

Il commercio tra l’Europa e la Cina ha origini lontane ma nel diciannovesimo secolo fu stravolto dall’Inghilterra che, non avendo niente da vendere ai cinesi, convertì ampie aree rurali dell’India in coltivazioni di oppio per poi portarle nel mercato cinese. Al divieto di commercio deciso dall’Imperatore cinese, gli inglesi ricorsero alla guerra e imposero due trattati “ineguali” in cui la Cina accettava il commercio della droga, autorizzava gli inglesi a controllare Hong Kong e altri porti e indennizzava i mercanti di droga per la merce distrutta. L’Imperatore, tramite un suo alto funzionario, considerato un grande eroe nazionale, scrisse alla Regina Vittoria, notoriamente moralista, chiedendo di fermare i mercanti inglesi facendo tra l’altro presente che in Inghilterra l’oppio era proibito. Le guerre dell’oppio furono vinte con anche il supporto dagli intellettuali liberali in base al principio della libertà di commercio.

Sempre gli inglesi, campioni della civilizzazione democratica, riuscirono a colonizzare l’intero continente indiano con un rapporto tra dominatori e nativi stimato in circa uno su mille. Come? Sicuramente per mezzo di una forte superiorità militare e tecnologica, ma non era sufficiente. La Compagnia delle Indie prima e il governo inglese dopo rafforzarono il sistema delle caste che era in declino da secoli, ad esempio classificando tutta la popolazione e rafforzando prerogative e privilegi di alcune caste secondo il loro disegno di potere. La diseguaglianza ereditaria fu così promossa, proprio quando in Inghilterra si teorizzava e praticava il contrario.

La memoria storica pesa ancora oggi sulle relazioni internazionali: non possiamo ignorare che per molti paesi l’Occidente resta sinonimo di ipocrisia e dominio. Se vogliamo che il multilateralismo sia credibile, dobbiamo abbandonare ogni atteggiamento di superiorità morale e smettere di raccontarci come i soli custodi di libertà e diritti. Non si tratta di rinunciare ai nostri valori, ma di riconoscere che essi hanno spesso camminato accanto a interessi di potenza e diseguaglianze imposte. Solo accettando questa contraddizione e imparando a guardare la storia anche dal punto di vista dei “vinti” possiamo conquistare fiducia e rispetto. In caso contrario, continueremo a parlare di principi universali mentre il resto del mondo ci ascolterà con diffidenza o con aperto risentimento.

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Il Fatto Quotidiano

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