Sandokan, Preziosi si racconta: “A fare Yanez mi sono divertito”
- Postato il 19 dicembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Sandokan, Preziosi si racconta: “A fare Yanez mi sono divertito”

Intervista ad Alessandro Preziosi, l’attore che nella serie di successo Sandokan interpreta Yanez: “Il mio obiettivo era quello di costruire un personaggio drammatico-fumettistico
Alessandro Preziosi è stato tanti volti del teatro, del cinema e della televisione: dai classici teatrali di Shakespeare e Moliere (Romeo e Don Giovanni solo per citarne due) dal conte Fabrizio Ristori in “Elisa di Rivombrosa” al Capitano Giulio Traversari nel “Capitano”, a Totò che ha recentemente interpretato con tutta la sua prorompente napoletanità. E, adesso, questo Yanez che, forse, pochi si aspettavano così diverso, così “impreziosito” dalla capacità interpretativa di questo attore che non sembra smettere di crescere.
L’abbiamo sentito per capire e farci spiegare il mistero che c’è sempre quando un attore si cuce addosso un personaggio e ce lo restituisce anche indipendentemente dall’immaginario (in questo caso di intere generazioni) che abbiamo di lui. E viene fuori che Preziosi deve essersi molto divertito a dare una maschera ironica, appassionata, burbera ma allegra, saggia ma anche leggera al mitico portoghese (prete spretato con un passato duro e misterioso) costruito da Emilio Salgari.
Si è divertito a “sfaccettarlo” prendendo anche spunto dal suo (compianto) predecessore nella parte, Philppe Leroy, a farlo “emergere” a poco a poco anche a confronto della mitica e statuaria immobilità di un Sandokan che, anche nei libri di Salgari era quasi sempre uguale a se stesso. Si è divertito in Calabria e negli altri luoghi (Lazio, Toscana ecc.) dove questo “Sandokan” di successo è stato girato e si è detto pronto a scavare ancora nel carattere di De Gomera in quella che, quasi certamente, sarà una seconda stagione.
In tanti si sono stupiti del fatto che la Calabria sia stata in grado di ospitare una così grande produzione internazionale. Lei da cosa pensa sia determinato questo stupore?
«Sicuramente l’equivoco è legato da un immaginario abbastanza importante, oltre quello della letteratura, anche da un Salgari che scrive senza essere mai stato nei posti che descrive. Come Moliere che racconta nel Don Giovanni di luoghi inventati che molti hanno immaginato essere dei luoghi assolutamente fantastici, così Salgari, che chiamavano “il narratore sedentario”, si ritrovava a raccontare di posti che non esistono. È un equivoco che è come dire che abbiamo girato il mondo di Superman sulle Alpi, a Madonna di Campiglio.
È una cosa che capisco, il fatto che qualcuno non riconosca la bellezza dei luoghi e che si soffermi su come sia possibile che un paesaggio tipicamente mediterraneo della Calabria o della Toscana vada a raccontare l’esterno del Borneo. Questa è la magia del cinema. Si va dalle strade di Singapore, in realtà costruite a Roma e poi si entra nel bordello, costruito a Lamezia. È un equivoco solo legato all’immaginario, né più né meno»
Lei come ha vissuto questa esperienza calabrese?
«Sono stato qui in Calabria circa due mesi, il mare l’ho visto poco a differenza dei miei colleghi (ride, ndr), perché ho girato più negli studi. Ma io la conoscevo già, ho recitato tante volte a Lamezia Terme, sono stato tante volte a Soverato, Crotone, Diamante e già me ne ero innamorato. Mi sono trovato benissimo anche con tutte le maestranze e poi tutto quello che è stato costruito è sotto l’occhio di tutti. C’è stato un lavoro di grande fattura sia dal punto di vista umano, perché so che la collaborazione è stata straordinaria, sia dal punto di vista professionale e artistico perché il risultato è evidente».
Lo Yanez che ha realizzato è quello del suo immaginario? È soddisfatto di quello che ha rivisto nella serie tv?
«Sì, e mi ha molto divertito girarlo. Non so quanto possa corrispondere a quello del mio immaginario, sono passati troppi anni, è come se oggi girassi una parte di John Wayne. Yanez è un personaggio un po’ fuori dall’ordinario per il suo modo di fare, per la fisionomia del suo volto, per delle caratteristiche che sono rimaste nell’immaginario collettivo, è stato il primo prototipo del genere. A me è venuto abbastanza naturale anche evocare un po’ Philippe Leroy. Non perché lo avessi visto o me lo ricordassi, ma perché, quando la scrittura è così precisa didascalicamente rispetto alla natura del personaggio e così ben sviluppata, mi viene naturale farlo.
Rivederlo mi ha riempito di gioia perché il mio obiettivo era quello di costruire un personaggio che si muovesse tra il fumettistico e il drammatico-fumettistico. Questo perché ha una back story che è molto drammatica che è la sua rinuncia alla fede (era un prete) per combattere contro i soprusi alle popolazioni indigene. C’è stata una grande combinazione di elementi, anche il fatto che fosse unico nelle sue caratteristiche. Mi piace proprio il personaggio di Yanez e mi fa piacere che tanti lo abbiano notato».
C’è un altro libro di Salgari, “Alla conquista di un impero” in cui le parti con Sandokan si invertono. Yanez è perdutamente innamorato della bella bajadera Surama e sarà Sandokan ad aiutarlo a riconquistare quello che è stato tolto alla ragazza. Le piacerebbe fare anche quell’altro Yanez che è ancora più protagonista?
«Tutto quello che arriverà nella seconda stagione lo scopriremo presto».
Quindi ci sarà una seconda stagione?
«Non sta a me dirlo ma dovrebbero annunciare a breve il rinnovo della serie. Mi auguro che tutto quello fatto aiuti a rendere questo lavoro ancora più evoluto».
La storia che abbiamo visto in tv è una storia contemporanea con dei personaggi che evolvono e maturano, cosa le piace di questa narrazione moderna?
«È moderno della misura in cui si è deciso di creare delle dinamiche interne che creassero più dramma, più disequilibrio. Leggendo la sceneggiatura mi sono reso conto che era molto mossa e creava sempre dei contrasti che hanno una motivazione molto importante, cioè che quando aiuti qualcuno a ribellarsi contro il più forte poi devi mettere in conto che sacrifichi tante vite umane. Su questo, ad esempio, si sviluppa il contrasto tra Yanez e Sandokan. Se Sandokan è l’ingenuità, Yanez cerca di contenerne la passione e l’istinto. Quello che abbiamo visto fino a qui è un “grillo parlante” positivo, è chiaro che con il tempo e altre occasioni verrà fuori un lato nero di Yanez altrettanto pericoloso di quanto lo è quello di Sandokan. Non è detto che non ci saranno parti invertite».
Ha fatto di recente Totò, ha fatto Yanez, personaggi che fanno parte della nostra vita. C’è un parallelo che nel suo essere attore vede in due personaggi di questa portata?
«A me piace sfruttare la passione che ho per far rivivere qualcuno che fa parte dell’immaginario collettivo e anche del mio. Anche io ho quello stesso immaginario e sono uno tra quelli che più si sono abbandonati a un certo tipo di immaginario. Yanez non è solo quello dei romanzi ma è il villain, il giocatore. A Napoli diremmo “lo sfaccimm”, colui che anima, il saltimbanco. Se c’è qualcosa che accomuna Totò e Yanez è proprio questo essere saltimbanchi, cioè delle persone che scrivono sulla sabbia, che non hanno un’aderenza alla realtà.
E questo è poi quello che nella filmografia è interpretato da attori come Jim Carrey, Jhonny Deep, Gianni e Pinotto o Stanlio e Ollio, in qualche modo anche Zalone. In qualche modo evocano l’idea di personaggi che nella realtà ci fanno tenerezza e forse non ci farebbero neppure tanto ridere, eppure concentrati in due ore e ben scritti vengono esaltati».
Al suo Yanez fa fare anche molte facce.
«Io ho sperimentato tantissimo e i registi mi hanno permesso di lavorare dal primo momento in cui ho indossato il costume e ho cercato di dare un movimento che fa da contraltare alla marmoreità di Sandokan. Lui ha una tenuta di punto di vista sulle cose estremamente marmorea, forte. Io invece sono l’opposto, respiro talmente tanto nel mio personaggio che sembra si muova ogni angolo del mio viso. In questo l’inglese ha aiutato molto. Molto l’hanno fatto l’approfondimento dei passaggi, delle situazioni, il fatto che Yanez sia centellinato durante questa prima stagione e appaia in determinati momenti per dileguarsi in altri. E poi sono stati molto bravi i montatori a montare le facce giuste».
Al di là dell’effetto nostalgia che ha catturato la curiosità di molti, si aspettava questo successo?
«Ci aspettavamo che sarebbe piaciuto, ma che sarebbe stato per cento, mille o tanti milioni è un risultato importante per tutti. Comunque no, non me l’aspettavo. Io ho finito di girarlo un anno e mezzo fa e nel frattempo ho fatto qualunque cosa: un film con Bellocchio, una tournée su Re Lear, Totò, un documentario e ora sono felice se la gente è intrattenuta perché il nostro lavoro serve a questo a intrattenere».
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