Sandokan, il recap della penultima puntata in attesa dell’epilogo della prima stagione

  • Postato il 16 dicembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Sandokan, il recap della penultima puntata in attesa dell’epilogo della prima stagione

“Il cuore della giungla” ha trascinato i telespettatori nel punto più profondo dell’anima di Sandokan, là dove memoria, destino e amore si intrecciano come liane nella foresta. Un capitolo viscerale, che non racconta soltanto un’avventura, ma una nascita: quella della Tigre della Malesia.


È bastato un titolo per spalancare le porte del mito. “Il cuore della giungla” è l’episodio che ieri sera, 15 dicembre, ha trascinato milioni di spettatori nel punto più profondo dell’anima di Sandokan, là dove memoria, destino e amore si intrecciano come liane nella foresta. Un capitolo viscerale, potente, che non racconta soltanto un’avventura, ma una nascita: quella della Tigre della Malesia.

L’episodio si apre con un abbraccio che mozza il respiro. Sandokan stringe a sé la donna che ha sempre creduto sua madre. I ricordi irrompono come fendenti: un bambino, frammenti spezzati di un passato mai davvero posseduto. Poi la verità, sussurrata come una condanna: lei non è sua madre. È un ricordo che riaffiora da un sogno — lo stesso sogno che lo strappa al sonno. E allora la sigla esplode. Un brivido collettivo. La musica che ha fatto sognare intere generazioni torna a vibrare, identica e nuova, incantando ancora milioni di spettatori.

I numeri Auditel registrano il 26,7% di share e 4 milioni e 282 mila spettatori. Sandokan non è un semplice remake: è un colossal moderno, ambizioso, visivamente imponente, firmato Lux Vide – Gruppo Fremantle con Rai Fiction e il supporto della Calabria Film Commission, diretto con respiro epico da Jan Maria Michelini e Nicola Abbatangelo.

Al centro della scena, Can Yaman. Il suo Sandokan è puro fuoco: sguardo ardente, fisico scolpito da guerriero, anima lacerata, spirito incandescente. È feroce e fragile, sospeso tra identità e destino. Una presenza magnetica che domina ogni inquadratura. Accanto a lui, Marianna (Alanah Bloor): luminosa e determinata, inglese fuori dagli schemi, pronta a sfidare la giungla, l’Impero e la paura pur di restare al suo fianco. La Perla di Labuan non è un’ombra, ma una forza viva, empatica, capace di amare senza arretrare. Inseguimenti mozzafiato, scontri brutali e paesaggi spettacolari costruiscono un vortice emotivo che toglie il respiro. La serie accelera, travolge, non concede tregua.

Il cuore della giungla

La giungla non dimentica. Custodisce i nomi, il sangue, i passi di chi è fuggito e di chi è caduto. E quando decide di parlare, lo fa nel modo più crudele e più vero: attraverso i sogni. L’episodio si apre così, in quel silenzio sospeso tra veglia e incubo, dove la verità ritorna come una lama.

Al risveglio, Marianna lo osserva con dolcezza. Cerca di riportarlo alla vita, di nutrirlo, ma soprattutto di raggiungerlo. Sandokan è smarrito: non conosce le sue origini, ignora chi fossero i suoi genitori, non sa se siano sopravvissuti. Lei gli confida di aver perso la madre da bambina. Il dolore crea un ponte invisibile tra loro. Poi la domanda inevitabile che apre l’abisso: «Cosa farai adesso? Cercherai i tuoi genitori?». Sandokan non risponde, ma la decisione è già maturata.

Il mare diventa altare. Sandokan affida alle onde il corpo della donna che credeva sua madre. È un addio solenne, straziante. Accanto a lui, Yanez (interpretato da un intenso Alessandro Preziosi), sempre più centrale: amico, fratello, coscienza. È lui a dare senso al sacrificio di quella donna: l’unica gioia della sua vita era Sandokan. Senza di lei, la Tigre della Malesia non sarebbe mai esistita. Sani intona un canto Dayak, Marianna recita una preghiera, Yanez conclude il rito. Sandokan bacia la fronte della donna, le copre il volto e affida il corpo al mare. La nave si staglia lontana. Il dolore resta sospeso nell’aria, immobile. Silenzio. Commozione.

Gli intrighi

Nel frattempo, la politica e il tradimento tessono la loro tela in un intreccio di intrighi, manipolazioni e inganni. Il sergente Murray (John Anna) accusa Lord Brooke (Ed Westwick) dell’attacco a Singapore, ma il gentiluomo lo interrompe, con una calma glaciale: non sono stati soldati inglesi, bensì uomini al servizio del Sultano. A Labuan, il Sultano, con la sua astuzia, tenta di piegare il console a proprio favore, getta discredito su Brooke e si propone come il salvatore di Marianna, chiedendo il permesso di intervenire per “mettere in salvo” la giovane. Ma dietro le sue parole zuccherine si nasconde un piano tutt’altro che nobile: il suo vero obiettivo è il riscatto, la testa di Sandokan e un silenzio assoluto, senza testimoni.

Il Sultano trama nell’ombra, Brooke indaga con determinazione, mentre Marianna diventa involontaria pedina in un gioco di potere che la riduce a merce di scambio. Ma mentre le macchinazioni si intensificano e il destino della giovane si fa sempre più incerto, il cuore dell’episodio pulsa altrove, nel luogo dove la giungla domina e le leggi degli uomini non hanno peso: la caccia è aperta.

Simboli, popoli, destini: Sandokan entra nel cuore della giungla

Sandokan chiede a Sani delle sue origini. Simboli, popoli, destini: il serpente per i Dayak, la tigre per Sandokan. Lamai, morto in battaglia, lo aveva capito prima di tutti. La risposta è nella foresta. Per conoscere la verità bisogna ritrovare il popolo di Sani. Prima di approdare a Jakarta, Sandokan decide di deviare la rotta e fare tappa nel Sarawak, andando contro il parere della sua ciurma e imponendo una scelta che pesa come una sfida al destino. Yanez rivela di sapere più di quanto abbia mai detto. La tensione esplode.

Sarkan (Mark Grosy), uno dei valorosi pirati e fedeli compagni di Sandokan, prepara la scialuppa che condurrà la Tigre della Malesia, Marianna e Sani verso l’ignoto. Da quel momento, la giungla smette di essere sfondo e diventa personaggio vivo, ostile e onnipresente. Un fiume da attraversare, teste mozzate appese agli alberi come moniti silenziosi: il terrore si fa concreto, tangibile. La notte è insonne. Ombre si muovono nel buio, presenze invisibili scrutano ogni passo. I tre vengono catturati da un popolo misterioso, legati e trascinati nel cuore più profondo della foresta. Qui, Sani ritrova la sua famiglia, mentre per Sandokan e Marianna inizia la prova più dura. Condotti al cospetto del capo tribù, comprendono che nulla sarà concesso senza sacrificio. Se Sandokan è davvero uno di loro, deve dimostrarlo. Il rito di iniziazione è spietato: combattere a mani nude contro un cobra. Gli altri sopravvivono grazie a un antidoto assunto da bambini. Sandokan no. Marianna lo implora: «Mi avevi promesso che mi avresti riportata a casa. Non puoi morire qui». È amore che si traveste da paura.

Nel frattempo, anche Sambigliong (Gilberto Gliozzi), Yanez ed Emilio Salgari (Samuele Segreto) vengono catturati dal popolo della foresta: avevano seguito Sandokan a distanza, pronti a coprirgli le spalle. La loro presenza, però, non passa inosservata. Incatenati e condotti al cospetto del capo tribù, diventano un’ulteriore posta in gioco. È allora che Sandokan prende la parola. Con voce ferma, impone una condizione: affronterà la prova, accetterà il rito di iniziazione e il rischio della morte solo se loro verranno liberati. È una scelta che pesa come un giuramento, un atto di responsabilità che rivela ancora una volta la natura del suo comando. La sfida non è più soltanto un rito: diventa un sacrificio consapevole, un patto stretto con la giungla stessa.

Il rito di iniziazione di Sandokan

La prova è epica. È pura tensione. Ossa sparse nella foresta, veleno negli occhi, il morso, lo scontro, la vittoria. Sandokan solleva il cobra, trionfa… e crolla. Convulsioni, visioni, il passato che irrompe: un uomo gli strappa la zanna di tigre dal collo. È suo padre. Il veleno lo acceca. «Non servono gli occhi per ascoltare», asserisce il vecchio capo tribù. La giungla prende voce: il fruscio delle foglie, il canto degli uccelli, il vento che vibra tra i tronchi, l’acqua che scorre. Marianna diventa la sua guida. Sandokan va a caccia, come gli aveva insegnato il padre da bambino. Chiude gli occhi. Ascolta. Colpisce. Tutti restano sbalorditi. «Come hai fatto?». Lui risponde soltanto: «Ho ascoltato».

La magia cresce, lenta, avvolgente. Marianna entra nel mondo Dayak, ne comprende la filosofia: la condivisione, l’assenza di parole come “ricco”, “povero”, “rubare”. Scrive i nomi dei bambini sulle loro braccia. Sandokan la prende in giro: “Una colonizzatrice all’opera”. I bambini li osservano, sorridono, li conducono a una cascata nascosta. Fiori, danze, risate. «Credo che ci abbiano sposato per gioco», dice Marianna. Sandokan la bacia. E riacquista la vista.

Ma la tragedia incombe. Il destino chiama e reclama il suo prezzo. Rapimenti, morti, sacrifici. La cugina di Sani viene rapita con le figlie dagli uomini del Sultano. Si sacrifica, scomparendo nelle sabbie mobili per salvarle. Brooke e Murray arrivano troppo tardi, ma fermano gli uomini del Sultano.

Yanez mette in guardia Sandokan: ribellarsi può significare sterminio. «Non commettere il mio errore». Lui ha visto popoli interi giustiziati. Sandokan ascolta, ma non arretra. Deve affrontare il suo destino. Il viaggio finale è solitario, insieme al vecchio capo tribù. Ma la verità è un colpo al cuore: i suoi genitori erano guerrieri, uccisi dagli inglesi. Il padre di Marianna è l’assassino di suo padre. La profezia parlava di una tigre capace di unire le tribù. Non era suo padre. È Sandokan.

Nel finale, il destino compie l’ultimo, crudele giro di lama. Sandokan riconosce Murray: era stato lui, anni prima, a intimargli di fuggire dalla furia inglese quando era solo un bambino. Davanti ai suoi occhi, i genitori venivano uccisi, mentre ripetevano come un mantra la promessa dei Kayan:
«Proteggere ciò che ci è dato e lottare per ciò che ci è tolto».

Il ricordo esplode. Sandokan si libera, spezza le catene e fugge. La giungla lo accoglie, lo inghiotte. Marianna resta tra le braccia di Brooke. Gli sguardi si cercano un’ultima volta, poi si spezzano. I cuori si frantumano. I destini si dividono. Sandokan scompare tra gli alberi. Quella stessa giungla che lo ha messo alla prova, ferito, giudicato… e infine riconosciuto. È un battito. È l’eco di un ruggito che nasce. È il momento in cui Sandokan smette di cercare chi era e comincia a comprendere chi deve diventare. È la nascita definitiva della Tigre della Malesia.

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Sandokan, il recap della penultima puntata in attesa dell’epilogo della prima stagione

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