“Saman Abbas è stata uccisa dal clan con fredda lucidità. Non sopportavano la sua autonomia”

  • Postato il 9 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’omicidio di Saman è stato premeditato dal clan familiare, che non sopportava il desiderio di autonomia della ragazza. Lo scrive la Corte di assise di appello di Bologna nelle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo per i genitori, i due cugini e a 22 anni per lo zio della 18enne pachistana. La determinazione omicida – si legge, è stata assunta “dal clan con fredda lucidità e programmata per un congruo lasso di tempo, ritenendosi insopportabile il fatto che Saman avesse deciso non solo di scegliere di vivere liberamente e in piena autonomia la propria vita” ma anche “in distonia con i valori etici e il credo religioso” della famiglia.

Pur avendo pianificato l’esecuzione della figlia “per motivi culturali” e pur avendola accompagnata, la notte del 30 aprile 2021, sul luogo dell’esecuzione, i genitori di Saman Abbas, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, non sono stati gli esecutori materiali dell’omicidio. Ne sono convinti i giudici della Corte di assise di Bologna (presidente Pierluigi Stigliano, estensore Enrico Saracini) che nelle quasi 500 pagine di motivazioni della sentenza pronunciata il 18 aprile sono di diverso avviso rispetto alla Corte di Reggio Emilia, che aveva identificata nella madre una possibile esecutrice. Ma Nazia Shaheen, per la sentenza, uscì dal fuoco delle telecamere per poi tornare dopo solo 53 secondi: un lasso temporale troppo esiguo per uccidere, tenendo conto anche dell’aspetto ordinato dell’abbigliamento, incompatibile con una colluttazione.

L’omicidio sarebbe stato dunque commesso, per la Corte, in concorso dallo zio Danish Hasnain e dai cugini Noman Hulaq e Ikram Ijaz, che l’attendevano al buio nello stradello davanti a casa di Novellara. All’azione avrebbero preso parte infatti, secondo quanto emerge dalle prove raccolte, tre persone: due più colui che materialmente ha strozzato la 18enne e che la sentenza non individua con certezza. Le stesse tre persone avrebbero anche sepolto la giovane nella fossa, scavata in precedenza e poi allargata.

Il comportamento criminoso di Noman Hulaq e Ikram Ijaz, i due cugini di Saman assolti in primo grado e condannati all’ergastolo in secondo, si risolve “nell’indifferente esecuzione di una giovane ragazza in un contesto di acritico assenso alla determinazione del clan“. Per la Corte di assise di appello di Bologna i due, con il loro comportamento, “hanno reso di agevole esecuzione un proposito omicida che senza il loro consenso avrebbe conosciuto ben più importanti difficoltà di realizzazione”. Tra le prove indicate a carico dei due cugini, che si sono proclamati innocenti nelle dichiarazioni fatte in aula, c’è la circostanza che il fratello di Saman, testimone, ma anche il padre e lo zio (coimputati), li collocano sul luogo del delitto nelle ore in cui la ragazza è stata assassinata. In casa, inoltre, sono state trovate le pale con cui con probabilità è stata scavata la fossa dove la ragazza uccisa il 30 aprile 2021 è stata ritrovata un anno e mezzo dopo, su indicazione dello zio. C’è poi un profilo genetico di Ijaz su un indumento dello zio Danish Hasnain e infine la precipitosa fuga all’estero, quando ancora dell’omicidio uffialmente non si sapeva ancora nulla.

Il fratello minore di Saman, testimone principale del processo sull’omicidio della sorella, alla fine ha fornito “una ricostruzione articolata, coerente e credibile degli eventi quantomeno nel loro nucleo essenziale”. Così i giudici della Corte di assise di appello valutano il contributo del ragazzo pachistano, che ha accusato i suoi stessi familiari e si è costituito parte civile contro di loro (ha avuto una provvisionale di 50mila euro). Se per la Corte di assise di Reggio Emilia la sua era una voce non attendibile, per i giudici di appello si è invece “delineata una figura di giovane ragazzo che vive in un Paese che non sente come il suo, quasi esclusivamente all’interno di un microcosmo costituito dal proprio clan familiare che improvvisamente viene privato della propria sorella, certamente un punto fermo affettivo per lui“. La sua posizione è “di assoluta estraneità al concerto criminoso, ed è stato anzi considerato dai familiari un impiccio alla consumazione” del delitto. E anche quando mostrò ai genitori le chat di Saman col fidanzato, il fratello, all’epoca sedicenne, lo avrebbe fatto nel convincimento che al più la sorella sarebbe stata redarguita o punita”.

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Il Fatto Quotidiano

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