S’affaccia la Meglio Gioventù. «Ne va del nostro futuro qui»

  • Postato il 11 maggio 2025
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S’affaccia la Meglio Gioventù. «Ne va del nostro futuro qui»

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Luigi da San Giovanni in Fiore, Paola da Polistena e i racconti degli altri presenti alla manifestazione Sanità, “Calabria alza la testa”, a Catanzaro. I comitati sono riusciti a portare in piazza molti ragazzi. E loro spiegano perché


CATANZARO – Era la giornata giusta, potevano andare al mare. «Molti nostri amici sono lì, magari si fa in tempo per la chitarra». Paola Mercuri invece è a Catanzaro con le sue amiche, è arrivata da Polistena. Si sono messe all’ombra, appoggiate alle transenne, seguono tutti gli interventi. È il segno di una piazza nuova, non ci sono solo teste bianche, boomer e over 40: spunta una meglio gioventù che scopre l’impegno perché sente il problema sulla pelle. «Sono qui anche per mio zio Giuseppe Sorace» aggiunge Mercuri. «Gli diagnosticarono un’appendicite e invece era un tumore».

Mai più, sembrano dire questi ragazzi: il nostro posto è qui. Ognuno porta la storia di un parente, la novità è che ognuno prova a disegnare un futuro. Luigi Candalise arriva da San Giovanni in Fiore, la montagna dimenticata, dove sono coperti 6 turni su 40, si muore di non-sanità. Il comitato “Salute bene Comune” della sua cittadina stampa i turni del poliambulatorio e li confronta con quelli di cinque anni fa. È la rappresentazione del vuoto, in una San Giovanni ancora scossa dalla tragica fine di Serafino Congi.

«Io sono laureato in economia, sono tornato al mio paese, lavoro come guida ambientale a partita Iva. Hai voglia a parlare di Calabria bella e straordinaria, a fare gli spot: anche i turisti chiedono garanzie. Dobbiamo mettere in conto la paura degli anziani di andare in vacanza, degli emigrati di tornare a casa dopo la pensione. Detta semplicemente: abbiamo paura». Poi sale sul palco e manda un riferimento alla politica: «Noi non siamo contro nessuno, temiamo solo le strumentalizzazioni, la speculazione. In una situazione del genere, il sindaco può fare poco. Abbiamo bisogno di un cardiologo, di un anestesista. Ci vuole una sanità equa e di prossimità, non basta l’elisoccorso, che pure è stata una nostra vittoria. L’ospedale spoke più vicino è Cetraro, oltre la Sila, oltre i monti paolani. Basta martiri, c’è gente che dice: se devo prendere un’ambulanza che non arriva, preferisco salutare il mondo fra i miei cari. Abbiamo diritto alla vita, l’alternativa è l’abbandono delle aree interne».

Candalise scende dal palco e prende le pacche sulle spalle dei suoi amici.

Cittadinanza attiva, responsabile e informata: ogni tanto il discorso si spezza. «C’è un otorino che dà l’appuntamento dopo tre mesi, ma quando ti presenti davanti a lui, dice che non ha gli strumenti. C’è una macchina in quell’ospedale che si rompe il lunedì, poi c’è la manutenzione: miracolosamente è pronta il sabato, quando il privato è chiuso». Il privato, il convitato di pietra della manifestazione.

Chiara Patertì viene da Briatico, è una giovane consigliera comunale: «Tutti questi sindaci con la fascia tricolore, una foto di gruppo significativa: dobbiamo far sentire le istituzioni vicine alla gente. Il mio paese è sulla costa e ha bisogno di certezze, con uno slogan dico: di una sanità certa. D’estate si riempie di turisti: se c’è un problema si finisce a Tropea e Lamezia».

Peraltro le due città sono entrambe presenti in piazza con i loro comitati. Tropea vince il premio per l’enigmistica: «Si scrive Tropea, si legge aperto», due manifestanti mostrano un cartello di buona fattura grafica sull’ospedale. Evviva la creatività, resta la domanda: cosa hanno fatto i calabresi per meritarsi tutto questo? Una colpa ce l’hanno alcuni cittadini che sfruttano le strutture pubbliche, dice la dottoressa Alessia Piperno dal palco. Un’altra calabrese che ha tutta la vita davanti e si prende gli applausi, resistente e solidale, come recita uno striscione.

«Qualcosa cambierà» dice Marina Valensise di Polistena via microfono, e la voce sembra arrivare ai più giovani. Le facce passano dal curioso all’allegro, è un giorno che sa di futuro. Sale sul palco Mario Ambrosi: ha ventun anni, è affetto da una malattia rara. Si è preparato il discorso, vince un premio per la frase del giorno: «La Sanità in Calabria non fa acqua, ma fa un acquazzone». Poi si emoziona, ha 21 anni e porta dentro tutte le speranze del mondo. La piazza è per lui.

Sullo sfondo, la colonna sonora dei “Papaveri rossi” di Bocchigliero, tamburi e trombe che arrivano dalla Sila Grande, mille abitanti e una voglia rinnovata di pesare, perché l’alternativa è la solita, andarsene. Nei discorsi, torna la ferocia dei tagli che non tengono conto del territorio, delle distanze e dei trasporti disastrati.

Antonio Bertucci ha 15 anni, ne dimostra di più e guida una decina di aderenti alla gioventù comunista. È una specie di tuffo nel passato, il look, i capelli lunghi come negli anni ’70, con qualche tatuaggio in più. «Nella sanità calabrese sono stati investiti dei soldi che non sono mai arrivati» dice Bertucci con una certa veemenza. «Hanno chiuso gli ospedali, quelli aperti hanno reparti allo sfascio. Fateci capire perché le strutture private sono protette. E chi ha guadagnato in questi sedici anni di commissariamento».

Poi molti devono prendere i bus, la Calabria è lunga e le strade sono poche: c’è chi arriverà a notte tarda, del resto è su quelle strade che le ambulanze si perdono. Gli altri restano a ballare con le canzoni di Mimmo Cavallaro: qualcuno non sembra sobrio, magari è solo la felicità di chi ha conosciuto nuovi compagni di viaggio. La vita continua, ma deve essere migliore.

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