Rocco Papaleo: «Il mio è amore folle per il nostro Sud»
- Postato il 10 marzo 2025
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Il Quotidiano del Sud
Rocco Papaleo: «Il mio è amore folle per il nostro Sud»
L’attore lucano Rocco Papaleo, interpreta Don Vincenzo in “U. S. Palmese”, la pellicola dei Manetti Bros, girata a Palmi
«Sono pazzamente innamorato del nostro Sud». Lo dice Rocco Papaleo, ma lo stesso spirito anima anche il suo personaggio nel film dei Manetti bros. “U.S. Palmese”. L’attore lucano, Papaleo, con la sua cifra comica sicura e sorniona presta il volto a Don Vincenzo, agricoltore in pensione che ha nella mente e nel cuore una bislacca missione: risollevare la squadra di calcio locale, appunto la Palmese, ingaggiando il giocatore di Serie A Etienne Morville.
Interamente ambientato nella cittadina della Piana da cui prende il nome, la pellicola è una vera e propria favola calcistica, viva di emozioni autentiche e allegria. Il calcio non è solo uno sfondo, ma il cuore pulsante di una storia in cui personaggi, sport, amore, affetti e dispetti si intrecciano per destinare i protagonisti a un equilibrio tutto nuovo.
Della scelta di girare la loro commedia sportivo-romantica sul calcio a Palmi i registi hanno spiegato più volte: «Noi ci sentiamo di Palmi, nostra madre è di lì. Quante estati ci abbiamo trascorso». Proprio per questo «dalla Calabria si aspetta molta attenzione su questo film», afferma Papaleo a cui abbiamo chiesto di raccontarsi attraverso differenze e paralleli con il suo Don Vincenzo.
La continuità geografica con la Calabria e l’attitudine meridionale che ha sempre avuto le hanno reso più semplice entrare nei panni di un calabrese?
«Per un fattore culturale mi sentivo vicino al mio personaggio e poi io ho studiato un anno ad Arcavacata a Cosenza, ed è stato un anno bellissimo. Poi mi trasferii a Roma, ma quell’anno ho conosciuto tante persone e sono entrato in sintonia e in una relazione più profonda con i calabresi anche perché il mio paese Lauria è l’ultimo della Basilicata».
Il film ha anche molti dialoghi in dialetto.
«I Manetti volevano assolutamente una filologia, volevano che parlassi “parmisanu” e quindi ho dovuto studiare, cosa che raramente faccio perché come si evince dalla mia storia sono molto me stesso, anche se con la recitazione mi sposto molto mantengo un po’ il mio accento e non sono certo un attore trasformista. Ecco, in questo caso ho dovuto fare un lavoro più impegnativo allontanandomi un po’ da me e devo dire che è stato molto interessante. Non potevamo restituire perfettamente le sfumature dialettali del posto, ma io ci ho provato».
Com’è stato il periodo di permanenza a Palmi?
«È stato un periodo molto bello. Io sono stato per tutto il tempo lì a Palmi e sono anche andato tempo prima di girare proprio per via del dialetto. Devo dire che mi sono proprio ambientato in paese».
Quindi un po’ come accade nel film al personaggio del calciatore francese Morville?
«Un po’ sì ma non proprio, perché non sono un calciatore fighetto ma un carino uomo meridionale di una certa età».
A proposito di età, il suo personaggio dice che non sa farlo “quello che sta in pensione”, lei che tipo di pensionato sarà?
«In realtà da quasi un anno sono già in pensione, però non è cambiato nulla e continuo a lavorare. C’è però, simbolicamente e psicologicamente, un cambiamento dentro di me: diciamo che c’è una maggiore tensione verso le cose che mi va veramente di fare. In passato sono stato più bulimico e ho fatto tante cose una dietro l’altra, adesso che sono in pensione ho maturato un piccolo distacco. Sono meno ambizioso e mi sento di andare verso quello che mi piace veramente piuttosto che fare quello che mi conviene fare».
Le è mai capitato di avere un’idea che sembrava folle ma che invece ha funzionato come accade nel film per Don Vincenzo?
«Non come lui, perché io sono un sognatore concreto. Poi è ovvio che nel mio immaginario ho immaginato tante cose, ma più per gioco che per vero desiderio di realizzarle. E certo non ho la pazienza e la forza del mio personaggio di inseguire un’utopia…diciamo che mi accontento molto prima».
Una mente sognatrice qualche volta si proietta troppo avanti e diventa miope alle cose vicine. Così accade a Don Vincenzo.
«Si deve guardare lontano ma quello che ci è vicino ha un valore altrettanto determinante. Sappiamo come funziona la vista nelle persone di una certa età come me: cominciamo a non vedere bene e da vicino abbiamo bisogno degli occhiali. Ecco, io consiglio di inforcarli, quegli occhiali, e di guardare bene anche tutto quello che abbiamo intorno».
Nella parabola del film si può cogliere qualcosa che non emerge spesso nella cinematografia: che è necessario continuare a lavorare sui sogni anche mentre si stanno realizzando.
«Esatto, diciamo che non basta iniziarla un’impresa, ma bisogna continuare a sostenerla continuamente, soprattutto quando è così ardita e se vogliamo anche quasi impossibile da realizzare. Però spero che proprio questo riflesso emerga dal film. Io una lezione l’ho ricevuta dal personaggio che interpreto: quest’idea di insistere, di non accontentarsi. Tra gli elementi essenziali che questo film vuole raccontare c’è proprio questa idea, anche un po’ rivolta al nostro Sud, di scrollarsi una certa pigrizia mentale, una certa rassegnazione. Ovviamente questa è una commedia, ma spero che metta un granello sulla bilancia del fare».
La rassegnazione del Sud alle cose che non vanno, quindi, è un’inclinazione che si può “curare” anche con la creatività?
«Assolutamente sì, penso che questa iniezione di fiducia sia proprio quello di cui il Sud ha bisogno. Il nostro Sud è spettacolare, io ne sono pazzamente innamorato. Se ci fosse questa benedetta rivoluzione culturale, che tanto stiamo aspettando, avverrebbe solo in seguito a un grande investimento culturale. C’è bisogno di convincerci che solo attraverso la cultura possiamo cambiare alcune cose, altrimenti rimarremo sempre un po’ dominati dall’affarismo e da una superficialità di fondo».

In questa direzione sta andando la Calabria Film Commission che sta cambiando il paradigma e il rapporto del cinema nella regione. Cosa ne pensa?
«Non posso che esserne entusiasta. Io conosco da un po’ di tempo gli artefici della CFC e fanno un lavoro eccellente e profondo. C’è un ragionamento e una spinta perché le cose siano straordinarie. Ed è proprio quello che dobbiamo fare: puntare allo straordinario, esattamente come accade nel film con il progetto di far venire un calciatore talentuoso. Mi piacerebbe che quella stessa energia gravitasse intorno al teatro e al cinema e la CFC mi sembra che punti a quello».
L’ultima volta che ha rilasciato un’intervista alla nostra testata ha anticipato l’idea di un progetto al confine tra Basilicata e Calabria. A che punto è?
«Anche io sto parlando con la Calabria Film Commission per un mio prossimo progetto e posso dire che è un ottimo interlocutore. Ancora è presto per poterne parlare, ma diciamo che c’è più che un’intenzione, ci sto lavorando e ancora non ne posso dire niente. Posso dire, però, che le cose vanno avanti e non vedo l’ora di arrivare al prossimo passo».
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Rocco Papaleo: «Il mio è amore folle per il nostro Sud»