Roberta Scardamaglia e i luoghi dismessi
- Postato il 7 marzo 2025
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Il Quotidiano del Sud
Roberta Scardamaglia e i luoghi dismessi
La fotografa Roberta Scardamaglia ha documentato in un reportage, “Sacro abbandono”, le condizioni in cui versa Cavallerizzo
LUOGHI abbandonati che raccontano storie del passato, dove scovare piccoli particolari che lasciano emergere un vissuto che parla di tradizioni, rituali e oggetti che fanno parte di gesti quotidiani.
IL REPORTAGE DI ROBERTA SCARDAMAGLIA
Spinta da una passione per i luoghi dismessi, la fotografa Roberta Scardamaglia si è inoltrata nelle vie di Cavallerizzo. «C’è qualcosa di poetico e misterioso nel modo in cui la natura si riappropria degli spazi, una volta abitati dagli esseri umani, ora sospesi nel tempo. Le rovine conservano frammenti di vite passate», sono le sue osservazioni davanti ai resti silenziosi.
In questi 20 anni Cavallerizzo, e quello che ne è rimasto dopo la frana del 2005, è stata raccontata da tanti. Fotografi, reporter, giornalisti, scrittori o “visitatori” hanno osservato e descritto lo scenario della frazione di Cerzeto abbandonata. Ma qualcosa di nuovo ha attira l’attenzione di Roberta Scardamaglia: in ogni casa visitata, oltre agli oggetti quotidiani, ai vestiti e ai mobili lasciati indietro, forse ritenuti non importanti, vi è anche almeno un santo. Immagini che rimandano alla devozione, quella popolare. Polverose e invecchiate, queste icone scrutano il passaggio del tempo, sembrano quasi i custodi dimenticati di questi luoghi.
I SANTI CHE PROTEGGONO
Roberta si interroga sul significato di queste immagini che ritrova non solo dentro le case ma in vari luoghi, anche all’aperto. «Un santo che non protegge è forse un santo che non merita di essere salvato?» ma probabilmente sono in realtà dei guardiani silenziosi.
Le immagini catturate dalla fotografa raccontano storie di fede, e forse «di sfiducia e abbandono, di devozione e dimenticanza».
«Ogni casa, ogni santo, diventa parte di un mosaico di memorie spezzate, un riflesso della fragile connessione tra l’uomo e il divino. Le fotografie, evocative e suggestive, invitano lo spettatore a riflettere su cosa significhi davvero proteggere e essere protetti, su cosa rimane quando tutto sembra perduto» questo il sentimento espresso dalla fotografa.
LILIANA L’ULTIMA ABITANTE DI CAVALLERIZZO
Vagando in questo spettrale scenario Scardamaglia si è imbattuta in Liliana, che assieme al figlio Raffaele, è l’ultima abitante di Cavallerizzo: «tenace come una pietra che rifiuta di staccarsi da queste mura, perché nessun luogo, al di fuori di questo, potrà mai essere per lei, casa. Liliana non ha semplicemente deciso di “non abbandonare”: è una icona profana di resistenza e di amore profondo per la sua terra».
«Mentre osservavo Liliana – continua a raccontare la fotografa – pensavo a tutto ciò che questa donna ha sacrificato per rimanere qui. Ha vissuto giorni di solitudine e notti di preoccupazione, eppure ha trovato la forza di resistere. “Questo è il mio posto”, sembra dire con ogni respiro, “e qui rimarrò”. Lei è l’unica ad essersi rifiutata di lasciare questo luogo, ritrovandosi così ad occupare la sua stessa casa. La sua presenza è un filo invisibile che tiene uniti il passato e il presente, un atto di memoria che resiste al tempo e alle avversità».
Durante il servizio fotografico Roberta Scardamaglia ha anche incontrato un ex abitante di Cavallerizzo, che spesso torna lì per tenere in vita qualcosa, e che le ha offerto una risposta “inattesa” alle sue domande sulla presenza delle icone sacre tra le rovine. «I santi – ha spiegato l’uomo – non possono essere portati via perché porta male: devono restare a proteggere ancora ciò che resta».
SACRO ABBANDONO DI ROBERTA SCARDAMAGLIA
Le fotografie e il reportage sono parte di un progetto di documentazione dal titolo “Sacro abbandono” di Roberta Scardamaglia, citato anche dall’antropologo Vito Teti nel suo ultimo lavoro: “Il risveglio del drago. Cavallerizzo: un paese mondo, tra abbandono e ricostruzione”. L’artista è originaria di Catanzaro ma vive a Rende, nel 2023, con il progetto “Graffi”, realizzato durante la pandemia del Covid, ha esposto al MilanoPhotoFestival: «Nel tempo dilatato di un coprifuoco apocalittico, una macchina fotografica a zonzo per i quartieri periferici di una città di provincia del Sud ne mostra la fugacità anziché il suo ristagnare, con rapidità violenta da graffiare gli occhi».
Il Quotidiano del Sud.
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