Rita Pavone ha 80 anni: «Mi sento una 30enne»
- Postato il 23 agosto 2025
- Di Panorama
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Ottant’anni portati con la grinta di sempre. Rita Pavone taglia il traguardo del compleanno più importante, ma con lo stesso piglio squillante che l’ha resa un’icona della musica italiana. «Se non mi guardo allo specchio, mi sento una trentenne, al massimo una quarantenne! L’importante è stare bene e, nonostante i 63 anni di carriera, finché la mia voce regge, un nuovo concerto, perché no?» dice, pronta a festeggiare in famiglia ma con lo sguardo ancora proiettato al futuro.
Il suo primo incontro con un pubblico vero risale ai 13-14 anni, quando smise di esibirsi soltanto davanti ai familiari. «Ricordo l’emozione di quello spettacolo — racconta al Corriere della Sera —. Io truccata da “negrettina” nei panni del famoso cantante Al Jolson, cantavo Swanee, imitando la sua voce e il suo muoversi da “cantante pazzo”. Sembravo proprio un’afroamericana. Poi, però, cantai anche Arrivederci Roma. L’impatto col pubblico fu straordinario, non me lo aspettavo e per una settimana ebbi la febbre alta: avevo capito che stare sul palcoscenico sarebbe diventata la mia avventura».
Da allora la strada è stata lunga e costellata di successi, ma il talento fu intuito subito da suo padre Giovanni, che di fatto ne divenne il primo manager.
Gli anni dell’infanzia non sono stati facili. Rita racconta di aver lasciato la scuola alla quinta elementare e di aver sperimentato il bullismo già da piccola: «Mi prendeva in giro continuamente, diceva che ero bassa, che sarei rimasta una nana. Il bullismo esisteva già a quei tempi…» ricorda. La reazione fu istintiva: «Non ne potevo più: le piantai un pugno in mezzo agli occhi». La madre Maria ne rimase sconvolta, ma il padre, dopo aver ascoltato la sua versione, commentò in modo sorprendente: «Io al posto tuo l’avrei picchiata prima». Da quel momento le compagne di classe la guardarono con occhi diversi: «Credo che pensassero: questa è piccola di statura, ma è una che mena!».
In casa Pavone si viveva in sei, e le risorse non erano abbondanti. «Mi mandarono a stirare camicie in un negozio: lavoravo 9 ore al giorno, guadagnando 1500 lire a settimana, tuttora sono velocissima a stirare. Però ho imparato tante cose con la Settimana Enigmistica…» racconta.
Il vero inizio della carriera risale al 1962, quando il padre inviò un nastro al Festival degli sconosciuti di Ariccia. La sua voce colpì Teddy Reno, che la volle subito. Per trasferirsi a Roma servivano soldi e, ricorda Pavone, «mamma aveva da parte un gruzzolo per comprare un frigorifero, papà puntava su quel gruzzolo e si scatenò la lite. Vinse lui dicendo: spero che la vita di nostra figlia valga almeno un frigorifero».
La svolta arrivò con Il Giornalino di Gian Burrasca, diretto da Lina Wertmüller. «Grazie ai consigli di Lina ho imparato a fare il maschio, copiando i miei fratelli, inoltre non era tanto difficile per me assumere sembianze maschili: sono diventata signorina a 17 anni, non avevo seno, ero piatta! Sembravo talmente maschio che le mie fan credevano lo fossi davvero, erano tutte innamorate del mio Giannino Stoppani e, quando scoprivano che ero femmina, ci rimanevano male!».
Tra i ricordi più preziosi, quello del re del rock. «Avvenne a Nashville, dove stavo incidendo un album per la Rca. Avevo 19 anni, era il mio idolo. Sapevo che sarebbe arrivato la sera tardi, attesi il suo arrivo: era bellissimo, con i basettoni lunghissimi, un signore gentile. Si girò verso di me, mi prese la gota tra le dita e mi fece i complimenti, forse aveva sentito parlare di me».
Ma l’incontro più importante non fu con una star internazionale, bensì con Ferruccio, l’uomo della sua vita. «Eh già. Ferruccio era divorziato, aveva la sua vita, io la mia, poi capimmo che ci volevamo bene. Data la differenza d’età tra noi, papà la prese male, fu categorico: io quell’uomo non lo voglio vedere in casa mia. E quando, dopo varie vicissitudini, siamo riusciti a sposarci, non mi portò all’altare. Quando nacque il nostro primo figlio Giorgio, papà ammise il suo sbaglio, dicendo: con voi ho toppato alla grande».