Rinnovabili, Tar del Lazio: “Il ministero dell’Ambiente deve rivedere il decreto sulle Aree idonee”
- Postato il 15 maggio 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il ministero dell’Ambiente ha due mesi di tempo per elaborare un nuovo decreto nazionale Aree idonee e “rieditare i criteri” per l’individuazione di quelle dove poter installare impianti rinnovabili. Lo ha stabilito il Tar del Lazio, in una sentenza con cui ha accolto diversi dei motivi (rigettandone altri) del ricorso presentato dall’Associazione nazionale energia del vento (Anev), che raggruppa oltre duemila tra produttori ed operatori dell’energia elettrica ricavata da fonti eoliche, contro il Mase per l’annullamento del decreto. Secondo i giudici, invece, è legittimo il decreto aree idonee emanato dal Mase il 21 giugno dello scorso anno, ma occorrerà rieditare alcuni dei criteri previsti. Il Tar, infatti, ha riconosciuto una serie di problemi che l’Anev aveva segnalato come “fortemente lesivi della libera attività imprenditoriale” e dovuti, secondo l’associazione, alla troppa discrezionalità data dal decreto alle Regioni e che ha portato ad alcuni casi limite. Un esempio è quello della Sardegna, dove una legge regionale ha reso inidoneo agli impianti il 99% del proprio territorio. Cosa accadrà ora? Il Mase dovrà rivedere alcuni criteri e le Regioni dovranno adeguarsi. Chi ha già la legge, dovrà farne un’altra, chi non aveva ancora provveduto dovrà farlo con i nuovi criteri.
La sentenza del Tar e la legittimità del decreto. Secondo i giudici, che il legislatore – per far fronte al mutato scenario ordinamentale – provveda a rivisitare la disciplina dell’individuazione delle aree non idonee alla realizzazione degli impianti Fer. è “legittimo, razionale e confacente alle scelte di politica energetica nazionale, che non possono essere condizionate – sottolinea il Tar – dai desiderata degli operatori del settore che, in vista della massimizzazione dei propri interessi economici, preferiscano che resti immutato un determinato assetto normativo e regolamentare”. Anche perché grava, in primis “sullo Stato la responsabilità dell’adempimento degli obblighi sovranazionali” e perché “l’installazione di impianti FER sul territorio nazionale è giuridicamente doverosa fino al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030”. Il raggiungimento di questo obiettivo, tuttavia, scrivono i giudici “deve coniugarsi con le esigenze di protezione del paesaggio, del patrimonio culturale, del territorio e dell’ambiente”. Secondo i giudici, il principio di massima diffusione degli impianti FER “non può fungere da leva indiscriminata per la realizzazione senza vincoli di tali impianti nel territorio nazionale, dovendo essere giocoforza coniugato con altri valori ordinamentali di pari rango, quali quelli della tutela dell’ambiente e del paesaggio”.
I punti deboli su cui il Mase deve rimettere mano. Il Tar, però, ha dato ragione all’Anev su alcuni motivi di contestazione. “Dopo una lunga attesa – è il commento dell’Anev – il Tar Lazio ha accolto molti dei motivi di ricorso, annullando l’articolo 7, commi 2 e 3, del decreto ministeriale del 21 giugno 2024. Il decreto riformulato dovrà contenere elementi di omogeneità per le varie Regioni”. A riguardo, l’Anev aveva fortemente contestato l’eccessiva delega lasciata agli Enti locali. “E dovranno essere tenuti da conto – continua l’associazione – i criteri di legge già definiti, che invece le Regioni potevano decidere di applicare o meno”. Il Tar ha accolto in primis il quarto motivo di ricorso con il quale l’Anev contestava la legittimità dell’articolo 7, comma 3, del decreto ministeriale sulle aree idonee, nella parte in cui attribuisce alle Regioni la facoltà di individuare una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela fino a un massimo di 7 chilometri. Secondo il Collegio, neppure il fatto che il vincolo quantitativo non costituisca una misura fissa (ma il limite superiore del range nell’ambito del quale le Regioni possono determinare l’ampiezza della fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela) “vale a rendere legittima la scelta operata dalle amministrazioni resistenti”. E neppure basta a compensare “il deficit di legittimità lamentato dall’Anev” il fatto che l’ampiezza della fascia di rispetto sia, di volta in volta, determinata dalle Regioni a seconda della tipologia di impianto FER da realizzare e sia proporzionata al bene oggetto di tutela.
Anche il sesto motivo di ricorso è stato accolto ed è quello con il quale è stata lamentata l’illegittimità della mancata previsione di una disciplina transitoria di salvaguardia dei procedimenti in corso. Il Tar, inoltre, dà ragione all’Anev sul fatto che “non è stato fornito alle Regioni un contesto unitario di principi e criteri per l’esercizio delle loro attribuzioni” e sul “deficit di omogeneità dei criteri per l’individuazione delle aree idonee e non idonee”.
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