Rinascita, i pm: «Pittelli scelto da massoneria e ‘ndrangheta per “aggiustare” i processi dei boss»

  • Postato il 16 dicembre 2025
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Rinascita, i pm: «Pittelli scelto da massoneria e ‘ndrangheta per “aggiustare” i processi dei boss»

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Giancarlo Pittelli figura cerniera tra ‘ndrangheta e massoneria col compito di “aggiustare” processi, la memoria della Procura in Rinascita


CATANZARO – Un massone di alto rango a disposizione delle cosche più potenti della ‘ndrangheta per “aggiustare” i processi. Questo il ruolo dell’avvocato catanzarese ed ex parlamentare di FI Giancarlo Pittelli tracciato nella corposa memoria depositata dalla Procura generale di Catanzaro nell’appello del maxi processo “Rinascita”. Per rafforzare l’accusa nei confronti di Pittelli, in primo grado condannato a 11 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, i pm Antonio De Bernardo, Anna Maria Frustaci e Luigi Maffia dedicano buona parte della memoria alla posizione di colui che viene considerato la figura cerniera tra ‘ndrangheta e grembiuli. Nei suoi confronti la richiesta di condanna è a 14 anni.

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BRACCIO DESTRO DEL BOSS

La tesi dei pm è che Pittelli avrebbe piegato il mandato difensivo a finalità ad esso “estranee”. «Massone, politico eletto con l’appoggio delle logge massoniche e della ‘ndrangheta ed in particolare dei Mancuso, disposto a sfruttare le sue conoscenze, a corrompere o indurre al reato pubblici ufficiali, a recuperare e riferire notizie coperte da segreto per favorire i Mancuso». Sempre secondo i pm, Pittelli poteva arrivare dove il boss di Limbadi Luigi Mancuso «non poteva da solo arrivare». Sarebbe stato «il prolungamento del suo braccio proteso sulle istituzioni e sulla società civile». Questo il ritratto tracciato grazie al racconto dei pentiti, corroborato da numerose conversazioni intercettate e dalla voluminosa istruttoria di primo grado.

MASSONERIA UFFICIALE E OCCULTA

Il racconto del pentito Cosimo Virgiglio parte da una riunione in un monastero a Santiago di Capoverde durante la quale furono prese «decisioni importanti» in un «periodo molto delicato della nostra Italia». Gli anni delle stragi e di Tangentopoli. Non ci sarebbero stati più ingressi di magistrati, neanche quali “sussurrati all’orecchio”. «La Grande Libera Muratoria ha come obiettivo una fratellanza, una unione, un mutuo soccorso del “fratello”, deve tenere tutto sotto controllo. Ci possono essere magistrati che a volte usano il proprio potere in maniera recondita, quindi noi dobbiamo aiutare il fratello che ha dei problemi in maniera che lui ritorni sulla retta via. E quindi furono incaricati gli avvocati – spiega Virgiglio – dovevano essere coloro i quali entravano in contatto e vedere se il magistrato era disposto o meno a dare degli aiuti. Quindi accorpavamo medici per gestire un aspetto sanitario, accorpavamo i penalisti per questo motivo, accorpavamo gli architetti per le infrastrutture, gli ingegneri per la gestione di altri…».

LA LOGGIA PITAGORA

Virgilio faceva parte della Gran Loggia dei Garibaldini d’Italia di Vibo Valentia, alle cui dipendenze erano una serie di logge: “Filolao”, “Pitagora”, “Eroe dei due Mondi”. Quella più «carismatica» e da cui «sono passati all’epoca i più grandi esponenti politici» era, però, la “Morelli”. Il collaboratore di giustizia racconta anche di aver proposto una serie di aumenti di “luce”, fino a farlo diventare maestro venerabile, per Sabatino Marrazzo. Massone e ‘ndranghetista, esponente di vertice della cosca della Valle del Neto, a lui fu affidata la loggia Pitagora di Crotone perché «era abile nel gestire sia quella coperta, che quella scoperta». Il tempio era all’interno del villaggio turistico Praialonga. Virgiglio ricorda la parentela di Marrazzo col boss Guirino Iona. Per questo sarebbe stato più «facile» per lui «unire le famiglie di mafia…. gli Arena, i Dragone o i Grande Aracri». Inoltre, aveva «una folta rappresentanza di adepti» tra avvocati e medici dell’ospedale di Crotone», che erano «la parte pulita».

LE LOGGE COPERTE

Erano diverse le logge coperte in Calabria. Marrazzo, essendo della loggia Pitagora “pulita”, poteva spaziare anche in quelle coperte. Viene definito da Virgiglio come “orecchio ascoltante” della loggia coperta di Catanzaro. Quando il pm De Bernardo, durante il processo di primo grado, incalzava Virgiglio sul ruolo che ciascuna categoria è chiamata a dare all’interno della massoneria, l’attenzione si sofferma sulle forze dell’ordine. Un tenente colonnello dei carabinieri, per esempio, spifferava «soffiate sulle indagini» o forniva indicazioni su dove erano piazzate le microspie. Mentre «avvocati infedeli al proprio giuramento» potevano «portare notizie». La funzione degli avvocati penalisti, in particolare, era proprio quella di “avvicinare” magistrati. Della loggia Pitagora faceva parte Pittelli, indicato quale candidato alle politiche del 2006.

L’APPOGGIO ELETTORALE

«Tutta la massoneria», e quindi anche la componente infiltrata dalla ‘ndrangheta, aveva individuato il «candidato ideale» in Pittelli. Su questo, secondo i pm, Virgiglio è «molto chiaro». L’indicazione sarebbe venuta dai vertici del Grande Oriente d’Italia. Per appoggiare la sua elezione «la massoneria si era rivolta alla criminalità organizzata». Per chiedere appoggio al legale, lo stesso Virgiglio, a suo dire, aveva fatto visita a Giovanni Trapasso, esponente di vertice dell’omonima famiglia mafiosa di San Leonardo di Cutro, indicato dal pentito come “grande amico di Rocco Molè”, capo dell’omonima cosca di Gioia Tauro, tra le più potenti della ‘ndrangheta. «Le figure della ‘ndrangheta hanno sempre espresso i consensi più elevati nei piccoli territori calabresi, o per paura o perché sono quelli in grado di dare posti di lavoro. Allora era la massoneria che si rivolgeva alla ‘ndrangheta». Insieme a Marrazzo, Viriglio avrebbe “battuto” tutta la fascia jonica. Ricorda, in particolare, di aver incontrato uno dei vertici della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto.

IL CORPO RISERVATO

Convergente la testimonianza del pentito Francesco Oliverio, ex boss di Belvedere Spinello e cugino di Marrazzo. Ogni «buona famiglia mafiosa», secondo il gergo del collaboratore di giustizia, ha il suo «corpo riservato». Oliverio ricorda che il cugino aveva il grado di maestro venerabile e «si relazionava con personaggi istituzionali e ‘ndranghetisti». L’ex boss della Valle del Neto non crede nella distinzione tra logge ufficiali e deviate. Sa che ne facevano parte anche forze dell’ordine e politici, e che Marrazzo in quanto ‘ndranghetista doveva «passare le novità» anche se «qualcosa se la riservava». Ma, soprattutto, Oliverio indica il ruolo di Pittelli che sarebbe consistito nell’«avvicinare magistrati per “sistemare” (illecitamente) le vicende processuali più complesse nelle quali incappassero i “fratelli” o gli esponenti della criminalità organizzata». Il riferimento è anche a una specifica vicenda giudiziaria in cui, dietro corresponsione di cospicue somme di denaro, sarebbe “intervenuto” un pubblico ufficiale infedele. «L’avvocato Pittelli era agganciato bene alla Procura di Catanzaro», dice Oliverio. E su questo tema fu sentito anche dalla Procura di Salerno.

CENTRO DI POTERE

Uno dei compiti specifici del massone Pittelli consisteva nella «disponibilità ad avvicinare magistrati o esponenti delle forze dell’ordine, quando qualche confratello massone o qualche mafioso, o qualche esponente della criminalità organizzata ha un problema giudiziario o un problema relativo ad una procedura amministrativa». Tra le fonti citate dai pm quella di un collaboratore di giustizia morto in carcere che fa riferimento a un verbale (mai rinvenuto) in cui avrebbe parlato di un centro di potere dove confluivano magistrati, importanti uomini politici, esponenti della ‘ndrangheta. Il collaboratore di giustizia pertanto aveva paura di essere ucciso. Un altro pentito, mentre descrive il ruolo di Pittelli come uomo a disposizione della cosca Mancuso e di logge massoniche per aggiustare processi, a un certo punto viene bloccato da un inquirente che gli comunicava che la sua collaborazione con la giustizia sarebbe finita lì.

L’AGGIUSTA PROCESSI

Anche il pentito della Locride Nicola Femia narra che «per trovare la strada per aggiustare un processo, era necessario nominare l’avvocato Pittelli». «Era in grado di avvicinare i magistrati e aveva degli agganci», aggiunge Femia. Il “sistema” Pittelli Femia lo descrive così. «Aveva amicizia con dei magistrati. Tu lo pagavi, ti chiedeva 30 milioni, 40 milioni, quando eravamo in lire. Dopo quando eravamo in euro ti chiedeva dei soldi praticamente per aggiustare il processo. Oltre la parcella professionale ti chiedeva dell’altro». Femia allora non aveva problemi perché, dice, riforniva metà del mercato nazionale del narcotraffico. Sostiene di aver portato in contanti a casa di Pittelli 20 o 25mila euro. In buona parte erano «carte di 500 euro». Ma era «un acconto». Dalla lettura complessiva delle dichiarazioni emerge, secondo i pm, «la profonda fiducia riposta da diversi esponenti della criminalità organizzata in Pittelli quale avvocato capace di intervenire a beneficio della consorteria, oltre e al di fuori del proprio mandato professionale, nel fondamentale campo della risoluzione, con metodi non leciti, delle problematiche giudiziarie, fattore di rischio nella vita dell’associazione mafiosa».

LOGGIA PARAMAFIOSA

Convergenti con questo scenario anche le più recenti rivelazioni del pentito vibonese Andrea Mantella, che afferma che gli era stato proposto in carcere di affiliarsi a una loggia “paramafiosa” di cui faceva parte Pittelli. Le dichiarazioni di Mantella, secondo i pm, fanno il paio con quelle ritrattate dell’ex giudice Marco Petrini. Elementi che denoterebbero l’esistenza di «un sistema basato su logge coperte in cui coesistevano professionisti, membri delle istituzioni e i Mancuso». Altro dato rilevante, nell’ottica dei pm, è che sia che parli Mantella sia che parlino gli altri pentiti, i nomi dei personaggi altolocati che avrebbero fatto parte della loggia coperta che aggiustava processi sono ricorrenti. Molto spesso sono rappresentanti delle istituzioni, magistrati, politici, avvocati.

LA VERSIONE DI PETRINI

Mantella auspica addirittura di avere un «confronto» con Petrini. «Verrà in questa udienza, per chiedere conto delle ragioni delle iniziali calunnie ritrattate, della loggia massonica con i giudici e gli avvocati, della corruzione non onorata». Petrini, in effetti, è stato sentito in aula. Ma, rispondendo al pm De Bernardo, ha detto di non ricordare il suo ingresso nella massoneria, avvenuto nello studio legale di Pittelli, che alla presenza di alti magistrati e avvocati gli avrebbe chiesto se era interessato a far parte di una loggia segreta. L’ex giudice dice di “non ricordare”, di aver “rimosso”, di “non riconoscersi” in quelle dichiarazioni.

Sono concetti diversi, fa notare il pm, non ricordare e non riconoscersi. Incalzato dal pm, Petrini ha obiettato che si trovava ina una situazione di «estrema fragilità intellettuale e di grave prostrazione psicologica». L’arresto scattato nel gennaio 2020 nell’ambito dell’operazione Genesi, scaturita da un’inchiesta condotta da uno sparuto gruppo di militari della Guardia di finanza di Crotone su un vasto giro di corruzione giudiziaria, aveva turbato l’ex giudice Petrini. Al punto da indurlo a non ricordare neanche di aver reso quelle dichiarazioni successivamente all’arresto. «Non mi ricordo, non ricordo niente, non mi ricordo». I pm osservano che Petrini non dice mai “mi sono inventato tutto».

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