Riciclaggio al San Barbato di Lavello, respinta aggravante mafiosa per Liseno

  • Postato il 12 dicembre 2025
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Riciclaggio al San Barbato di Lavello, respinta aggravante mafiosa per Liseno

Respinta dalla Cassazione all’aggravante mafiosa per l’imprenditore Liseno accusato di riciclaggio dei soldi della mala cerignolana


POTENZA – No all’aggravamento delle accuse all’imprenditore lavellese Antonio Liseno, in carcere dagli inizi di luglio per riciclaggio.
Lo ha deciso la Corte di cassazione accogliendo il ricorso dei difensori di Liseno, gli avvocati Gaetano Sassanelli e Antonio Carretta, contro l’ordinanza sul tema emessa a settembre dal Tribunale del riesame di Potenza.

A chiedere il riconoscimento dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa all’ipotesi di riciclaggio contestata al patron del San Barbato Resort di Lavello erano stati i pm della Dda di Potenza.
A loro avviso, infatti, nel cantiere del resort non sarebbero stati ripuliti semplicemente i proventi delle rapine di una varietà di reati commessi dai cerignolani Sante Cartagena e Pasquale Saracino. Perché «recenti conferme giudiziarie» attesterebbero l’inserimento dei due pregiudicati pugliesi, mai raggiunti prima da sospetti di appartenenza o contiguità a organizzazioni mafiose, nell’«alveo» della famiglia mafiosa dei Piarulli. Vale a dire i vertici incontrastati della mafia cerignolana.

LA TESI DELL’ANTIMAFIA CONTESTATA DAI DIFENSORI DI LISENO

In Cassazione i difensori di Liseno avevano contestato la tesi dell’Antimafia di Potenza, ma anche un ritardo nel deposito dell’appello all’ordinanza con cui il gip Ida Iura aveva bocciato l’aggravante mafiosa. Pur concedendo il grosso delle misure cautelari richieste.
Toccherà attendere la Corte, quindi, per comprendere le motivazioni della sua decisione. Motivazioni destinate ad avere un peso notevole sui prossimi passi dei pm. A partire dalla scelta tra il rito ordinario, più lungo, e il giudizio immediato.

Molto dipenderà anche dalla decisione sul secondo ricorso presentato dai legali del patron del San Barbato Resort.
Questa mattina, infatti, torneranno entrambi in Cassazione per discutere della misura cautelare a cui è tuttora sottoposto il loro assistito.
Martedì a Cartagena e Saracino è andata male, con la conferma del carcere per entrambi. Non è detto, però, che i giudici si orientino allo stesso modo per Liseno.
Ad attendere con particolare ansia il ritorno in libertà dell’imprenditore ci sono soprattutto i suoi dipendenti, che a luglio ne avevano preso pubblicamente le difese.

LA DIFESA DI LISENO DA PARTE DEI DIPENDENTI

«Noi dipendenti, anzi, collaboratori, come ci definisce da sempre, conosciamo l’uomo, non solo l’imprenditore». Queste erano state le loro parole affidate a una nota diffusa il giorno di un primo verdetto del Riesame, con la conferma degli arresti. «Un uomo che ha creato posti di lavoro dal nulla, che durante il periodo della pandemia ha dato lavoro a centinaia e centinaia di cittadini lavellesi e non, che ora è stato messo alla gogna mediatica e sociale».

Durante l’interrogatorio di garanzia del gip Liseno aveva negato qualunque tipo di conoscenza con Saracino, Cartagena ed esponenti della mala cerignolana.
«Io non conosco nessuno e nessuno potrà mai dire di conoscere me e tantomeno ha portato soldi riciclati, questo non esiste perché il “San Barbato” ha… fattura ancora oggi, e ci sono i direttori e centinaia di dipendenti, loro fanno gli incassi e loro fanno i versamenti. Punto».
Queste erano state le parole dell’imprenditore, che ha ammesso di aver incontrato i rapinatori Cerignolani in un’unica occasione, dal momento che un pregiudicato di Lavello, Angelo Finiguerra, titolare di una piccola ditta di costruzioni impegnata nel cantiere del San Barbato, glieli avrebbe presentati. Ma soltanto perché “garantisse” su un debito che lui, Finiguerra, aveva contratto con loro. Per una somma imprecisata di denaro.

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