Riccardo Cocciante festeggia 50 anni di "Anima": "In Italia serve un premio che certifichi il valore della nostra musica"

  • Postato il 19 settembre 2024
  • Di Tgcom24
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Riccardo Cocciante festeggia 50 anni di "Anima": "In Italia serve un premio che certifichi il valore della nostra musica"

 

 

"Anima", la svolta della carriera Uscito nel maggio del 1974, l'album, trascinato da "Bella senz'anima", rappresentò una vera svolta dopo "Mu" e "Poesia", i primi due album di Cocciante che avevano avuto un riscontro tiepido. "I primi due dischi erano dischi di sperimentazione, dove io non sapevo ancora cos'ero - sottolinea lui -. Era il bello della discografia di allora, c'era la possibilità di sbagliare. Oggi bisogna fare centro subito e nemmeno con un disco ma spesso con una canzone". Ma anche con "Anima" all'inizio le cose non furono facili. "È stato un disco difficile perché lo avevamo registrato completamente ma la casa discografica me l'ha bocciato - ricorda -. Allora ci fu la proposta di fare un concerto in teatro con Venditti e De Gregori, che erano già due cantautori importanti. Io ho rischiato, non avevo nulla da perdere. Avevo già composto "Bella senz'anima" e le altre canzoni, il disco era come lo sentite oggi ma non era registrato così. Il concerto è stata una rivelazione. Ho sentito che il pubblico mi capiva. Anche cantando in un modo allegorico ero contestario lo stesso. Avevo dentro di me una proposta di rivolta verso l'epoca che stavo affrontando". 

 

Il successo improvviso Dopo quella serata Ennio Melis (patron della RCA e considerato il padre dei cantautori italiani - ndr) decise che valesse la pena rifare il disco da zero. "Abbiamo chiamato Morricone, Franco Pisano" spiega Cocciante ma ancora il decollo non arriva. "Esce il disco e 'Bella senz'anima' come singolo. Ma la radio, che all'epoca era una sola, lo bocciò e non lo passava. Ero disperato. A quel punto Ennio Melis organizza un giro di ascolto di canzoni nuove da far sentire ai disc jockey da far sentire a fine serata imponendo quasi loro di passarlo". E la cosa funziona, il pubblico si innamora di quella canzone. "Dopo il giro mi chiamano e mi dicono che ero primo in classifica. Il brano è stata una specie di bomba - dice -. Non ero preparato, tanto che le prime volte cantavo in piedi. Che non è la mia espressione, poi ho imposto il pianoforte. La mia espressione era semplicemente quella di sedermi, chiudere gli occhi e cantare. In questo disco - aggiunge - c'è una rottura chiara e il primo ad accorgersene è stato il pubblico. È imprevedibile, ha un fiuto che a volte la discografia non ha".  

 

Il concerto di Verona Il 29 settembre Cocciante tornerà a fare un concerto tutto suo dopo anni in cui le opere come autore ("Notre Dame de Paris", "Il piccolo principe") hanno avuto la precedenza. "Ogni tanto bisogna saper ritornare e raccontarsi" dice. Il concerto pensato per l'Arena sarà quasi un ritorno alle origini. "'Anima' è ciò che c'è ma non si vede. Io dico che cantare è spogliarsi. Nel nostro campo non è importante cantare bene ma esprimere bene.  Nello spettacolo esisti, sei uomo e come tutti gli uomini non si è sempre perfetti. Ma amo l'imperfezione. Il suo contrario a volte è freddezza - spiega -. Per Verona ho cercato di non basare tutto sull'orchestra ma piuttosto tornare agli inizi, quando si faceva musica senza troppo limare. Tornare all'essenzialità della nostra espressione pop-rock. Poi il concerto è un parlare al pubblico. È uno scambio bello da esaltare". 

 

Cocciante e la musica di oggi Sulla musica di oggi Riccardo Cocciante ha le idee chiare. L'ultima cosa che vuole fare è ergersi a giudice di una generazione diversa ("Bisogna rispettare i tempi"), ma questo non significa che vada tutto bene. "Oggi troppa attenzione al look. Vai sul palco perché sei tu, hai un'anima, un pensiero. Capisco che i tempi cambiano e cambiano i modi di esprimersi - sottolinea -. Alcune volte l'arrangiamento viene usato come uno scudo, spesso l'arrangiamento è bello ma le canzoni non valgono niente. Spesso si abusa della tecnologia. Quando una cosa diventa moda se ne abusa ma è sempre stato così". La cosa che più lo preoccupa è in realtà la ricerca di un successo tanto facile quanto di breve respiro. "Ai miei tempi non si pensava a creare un prodotto ma una canzone - sottolinea -. Oggi c'è troppa industria. Invece di creare qualcosa di artistico che può diventare commerciale si crea qualcosa di commerciale che può avere qualcosa di artistico". Un modus operandi che spesso va a danneggiare gli artisti stessi. "Alcuni sono molto bravi, collaborerei anche con qualcuno di loro - afferma -. Trovo solo che spesso si tenda a guidarli verso quello "che va" mentre bisognerebbe tendere a ciò che si è. Anche andando fuori moda si crea qualcosa di nuovo". 

 

Serve un premio per certificare il valore della nostra musica" Un cruccio del cantautore è la mancanza in Italia di una manifestazione come i Grammy, che certifichi il valore della nostra musica, a tutti i livelli e andando oltre le semplici vendite. "Alla fine in Italia non c'è qualcosa con cui fare il riassunto di quanti successi alcuni cantanti hanno fatto e quanto questi esistono ma soprattutto persistono - spiega -. In Italia non c'è un premio, come i Grammy, che certifichi il lavoro di tanti: interpreti, autori, produttori… senza tutto questo non si dà importanza alla nostra categoria, rimaniamo sempre canzonette, marginali". Da noi sembra ruotare tutto intorno al Festival di Sanremo... "Sanremo va bene ma non basta vincere il Festival per avere un riconoscimento su ciò che si è fatto - continua Cocciante -. Sanremo è un concorso. Il premio dovrebbe essere regolato da una Academy, da un'entità super partes composta da persone competenti che valutano e premiano. Ce l'hanno tutti i Paesi tranne noi". 

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Autore
Tgcom24

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