Riarmo e deterrenza: l’uomo del futuro sarà uomo di pace, o non sarà

  • Postato il 25 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“La crisi multiforme e planetaria genera paure e disorientamenti che portano nazioni, etnie, religioni a rinchiudersi in se stesse e accendere nuove rivalità e tensioni geopolitiche. Gli Stati si affrontano come dinosauri o pterodattili. La politica è ancora nell’era secondaria”, scrivono Mauro Ceruti e Francesco Bellusci nel volume Umanizzare l’umanità (2023), indicando “un modo nuovo di pensare il futuro”. Ma non c’è alcun segnale che i governi vogliano uscire dalla “modalità pterodattilo” che ha trascinato l’umanità in questa “strategia del caos” (Le Monde/Internazionale). Anzi, il riarmo globale è in pieno dispiegamento e con esso, a testimonianza del fallimento delle politiche di deterrenza, il saldarsi progressivo della terza guerra mondiale, di cui l’ultimo tassello è il proditorio attacco Usa all’Iran.

Lo ha certificato il Sipri nel Rapporto 2025: la spesa militare mondiale ha raggiunto i 2.718 miliardi di dollari nel 2024, con il decimo anno consecutivo di aumenti ed il + 9,4% in termini reali rispetto al 2023, ossia il più forte aumento annuo almeno dalla fine della Guerra Fredda. Il 55% di questa enorme spesa militare globale è dei governi membri della Nato, pari complessivamente a 1.506 miliardi di dollari, dei quali circa 1.000 degli Usa ed i rimanenti oltre 500 miliardi dei paesi europei, che nel loro insieme spendono già in armamenti oltre il triplo della Federazione Russa, che ha speso in armi 149 miliardi di dollari.

In questa escalation militarista, la spesa militare di Israele è aumentata del 65%, raggiungendo i 46,5 miliardi di dollari, mentre la spesa militare dell’Iran – in netta contro tendenza – nel 2024 è diminuita del 10% in termini reali, attestandosi a 7,9 miliardi di dollari. Inoltre, mentre l’AIEA smentisce che l’Iran stia costruendo armi nucleari, il Sipri ritiene che “Israele, che non riconosce pubblicamente di possedere armi nucleari, stia modernizzando il proprio arsenale nucleare. Nel 2024 ha condotto un test di un sistema di propulsione missilistica che potrebbe essere correlato alla sua famiglia di missili balistici a capacità nucleare Jericho. Sembra anche che Israele stia ammodernando il suo sito di produzione di plutonio a Dimona”.

Questa corsa globale agli armamenti, anche nucleare, già in atto – rispetto alla quale il Rearm Europe, voluto dalla Commissione Europea, ed il 5% del Pil, voluto dalla Nato, sono la certificazione del dominio sempre più pesante del complesso militare industriale sui governi democraticamente eletti – va di pari passo con l’aumento dei conflitti armati, a diversa intensità, in corso sul pianeta, passati dai 169 del 2022 ai 175 del 2024, documentati dall’Uppsala Conflict Data Program. E va di pari passo con l’aumento delle vittime civili delle guerre, già nel 2023 +72% rispetto al 2022 (dati Onu), e dei rifugiati, passati da 117,3 milioni nel 2023 a 122,6 nel 2024 (dati UNHCR).

E’ l’illusione, ripetuta ossessivamente dai governi e dai media, della ricerca della “sicurezza” attraverso l’aumento degli armamenti, che rimuove il “dilemma della sicurezza” definito da John H. Herz nel 1950: il tentativo di garantire la sicurezza di uno Stato attraverso la militarizzazione porta alla diminuzione della sicurezza dei potenziali antagonisti che, a loro volta, si armano per rispondere al primo, in una spirale bellicista che genera guerre e insicurezza per tutti. E’ il trionfo della irrazionalità, il si vis pacem para bellum, ultimo rifugio degli imbonitori, come Giorgia Meloni.

Il dilemma della sicurezza impatta in pieno il nostro Paese, a cui è chiesto di adeguarsi alle imposizioni della Nato di passare dal 2% del Pil di spesa militare al 5% in dieci anni. Ciò significa trasferire in armamenti risorse da altri capitoli di investimento – sanità, istruzione, welfare – dai 45 miliardi di euro di oggi fino ai 144 miliari del 2035. Spiega il Milex, l’Osservatorio sulle spese militari italiane, che per arrivare a questi livelli di spesa si “porterà l’Italia a spendere in totale, nei prossimi dieci anni, quasi mille miliardi di euro”. Una manna per l’industria bellica, che non servirà come deterrenza: il territorio nazionale, che “ospita” il maggior numero di testate militari Usa in Europa e il cui governo ne è il più servile vassallo, rimane primario target nucleare.

A questo punto, le mobilitazioni dal basso per la pace devono fare un salto di qualità nonviolenta volto ad imporre alle agende della politica – a cominciare da quelle italiana ed europea – un radicale cambio di rotta e l’adozione di un paradigma alternativo, fondato sulla ragione anziché sulla irrazionalità, sull’umanità e il diritto anziché sulla barbarie: la costruzione della pace con mezzi di pace. Non la partecipazione alle guerre, ma la fine di ogni supporto militare; non la corsa agli armamenti ma il disarmo; non la militarizzazione dell’economia e delle società, ma la costruzione di strumenti civili di risoluzione dei conflitti; non il passaggio ad una “mentalità di guerra” (Mark Rutte), ma la formazione ai saperi della nonviolenza. Non è una opzione tra le altre, è l’unica possibile. Per dirla con Ernesto Balducci, “l’uomo del futuro sarà uomo di pace, o non sarà”.

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