Restituito l’onore all’Andrea Doria, affondata nel 1956: fu speronata, ma comandante ed equipaggio si comportarono da eroi
- Postato il 5 ottobre 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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Liguria. Quasi 70 anni fa affondava l’Andrea Doria, ammiraglia della flotta italiana, eccellenza del made in Italy, galleria d’arte galleggiante e considerata una delle navi più belle del mondo. Faceva viaggiare star del cinema e dell’economia, ma anche gli emigrati italiani. Era un simbolo dell’Italia ed anche per questo è stata affondata una seconda volta, nel “caso” che ne è scaturito: per 50 anni, infatti, è stata raccontata un’altra storia, condannando il suo equipaggio, tra cui molti liguri, alla pena del sospetto, senza alcuna sentenza, e con esso tutta la marineria italiana. Finché non è stata ristabilita la verità e riabilitato il nome del comandante Piero Calamai e degli uomini e delle donne al suo comando, che portarono a termine il più grande salvataggio della storia della navigazione.
È quanto fa Fabio Pozzo, genovese, giornalista de La Stampa, con il libro “Assolvete l’Andrea Doria” (TEA), che torna in libreria con una nuova edizione del volume, aggiornata ed arricchita di 150 nuove pagine rispetto alle precedenti versioni. Pozzo, grazie a un paziente ed estesissimo lavoro di ricerca, durato oltre due decenni, nelle 496 pagine che compongo il suo ultimo lavoro ricostruisce ogni aspetto della collisione fatale, chiarisce le zone d’ombra, incontra i protagonisti, intervista chi si è immerso successivamente sul relitto, allega documenti e testimonianze inedite, ripercorre le forme e i modi in cui il disastro è stato raccontato dai media e riporta alla luce l’unica, vera sentenza sul sinistro emessa da un’autorità costituita.
Un libro che si può dire definitivo per ricchezza di informazioni, precisione storica e piglio narrativo sul «caso Andrea Doria», che ha anche una nuova copertina: non più la nave in agonia, in procinto di colare a picco, immagine che per chi ha vissuto quell’evento o ne è venuto a conoscenza successivamente è evocatoria, ma il transatlantico nel pieno della sua bellezza e maestosità, perché finalmente “assolto”.
A questo punto, facciamo un passo indietro. Il 25 luglio 1956 l’Andrea Doria, salpata da Genova e diretta a New York, stava avvicinandosi alle coste nordamericane con 1.706 persone a bordo. Alle 23.10, al largo dell’isola di Nantucket, l’ammiraglia della flotta italiana viene speronata da un’altra nave passeggeri, la svedese Stockholm, e affonda dopo undici ore. Le vittime sono 52 (sei sul liner svedese), centinaia i feriti. È un disastro che avrà una risonanza mediatica eccezionale, uno degli eventi che segneranno quell’anno, anche perché tra i primi di questa portata seguiti in diretta dai network televisivi Usa. Ma è anche la più grande operazione di soccorso della storia della navigazione, il cui successo è dovuto in gran parte all’equipaggio dell’Andrea Doria: tutti i passeggeri, eccetto chi perisce nella collisione, sono tratti in salvo.

Eppure, questo merito non viene riconosciuto all’equipaggio italiano. Anzi, sul comandante Piero Calamai e i suoi uomini si abbatte il peso delle accuse di imperizia, negligenza, codardia. Incolpati di una manovra sbagliata. A contribuire a questo racconto, oggi si direbbe storytelling, sono inizialmente i grandi e potenti giornali statunitensi e canadesi, che risentono – c’è uno studio di due psichiatri – del razzismo che ancora esisteva nei confronti degli italiani nella popolazione di origine anglosassone dell’epoca (non era terminata da molto la seconda guerra mondiale, c’era la nostra emigrazione e non va dimenticato che nel processo del Titanic la parola italiano negli atti giudiziari era stata usata come sinonimo di codardo) e di una campagna di marketing mossa dagli svedesi subito dopo la collisione e il naufragio. Campagna, quest’ultima, che risentiva anche della concorrenza che le navi italiane esercitavano sull’Oceano nei confronti delle flotte di altre bandiere e che aveva alimentato le accuse sollevate contro l’Andrea Doria. E campagna alla quale l’Italia di Navigazione, che armava il nostro transatlantico, non aveva saputo o voluto rispondere (ma l’opinione pubblica negli Stati Uniti è portata a pensare che chi oppone il silenzio solitamente abbia qualcosa da nascondere) e aveva preferito accordarsi con gli armatori della Stockholm e con gli assicuratori, per chiudere il processo appena avviato a New York e raggiungere una transazione extra-giudiziale, così da chiudere definitivamente la battaglia legale, che si preannunciava lunga e costosa.
Un accordo che probabilmente ha fatto bene a tutti, incluso i parenti delle vittime, che sono stati risarciti in tempi record, ma che non ha reso giustizia alla verità. Il sospetto sull’equipaggio italiano è infatti rimasto, alimentato da giornali e anche libri, pubblicati in lingua inglese, che sono diventati best-seller e che hanno sposato la versione anti-Andrea Doria sul disastro. Così per 50 anni, finché libri come “Assolvete l’Andrea Doria” hanno inquadrato nella giusta luce quanto accaduto quella notte al largo di Nantucket e soprattutto hanno svelato le conclusioni dell’inchiesta governativa italiana sulla collisione, rimasta sepolta sotto il segreto di Stato per mezzo secolo, l’unico verdetto emesso da una autorità costituita, che ha “assolto” l’Andrea Doria e che ha attribuito la responsabilità del sinistro alla Stockholm: è stata l’unità svedese a speronare la nave italiana dopo una fatale accostata a dritta. “Questo è l’unico mistero rimasto del caso Andrea Doria – perché ha accostato a dritta? -. Tutto il resto è stato chiarito”, scrive nella prefazione al libro di Pozzo l’allora terzo ufficiale Eugenio Giannini, l’unico ancora in vita tra coloro che il 25 luglio 1956 erano sulla plancia della nave italiana.
L’inchiesta governativa ha inoltre encomiato la maggioranza dell’equipaggio dell’Andrea Doria, per aver portato a termine il più grande salvataggio della storia della navigazione, “degno delle migliori tradizioni della marineria italiana”. Un riconoscimento dovuto al comandante Calamai, anche se purtroppo postumo, che con le sue decisioni ha reso possibile tale operazione e che dopo essere stato pensionato, caduto in disgrazia e dimenticato dalla sua Compagnia, senza per questo mai venir meno al riserbo (ha rilasciato una sola intervista), chiede alle figlie sul letto di morte: “Sono salvi tutti i passeggeri?”.