Residenti contro il Campidoglio per il nuovo impianto per rifiuti organici: “Temiamo per la nostra sicurezza”. Perché il Comune vuole andare avanti
- Postato il 18 settembre 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Nuova manifestazione contro l’impianto “biodigestore” alla borgata di Casal Selce, vicino alla ex discarica di Malagrotta, approvato con delibera del Comune di Roma. Il biodigestore è un impianto mirato ai rifiuti organici, quali scarti alimentari, deiezioni animali e fanghi di depurazione, attraverso microrganismi che li decompongono in assenza di ossigeno (anaerobiosi). Il processo produce biogas (energia rinnovabile ricca di metano) e un residuo liquido chiamato digestato, usato come fertilizzante. Ruspe e camion sono già al lavoro per lo sbancamento di un terreno agricolo espropriato che ospiterà la struttura, affiancata da 4 silos dove il biogas sarà immagazzinato. “Il sindaco Gualtieri ha fatto un vero e proprio blitz – dice Alberto Proietti Gaffi del comitato Difendiamo Casal Selce -, permettendo l’inizio del lavori in agosto senza aspettare la sentenza del Consiglio di Stato, a cui ci eravamo appellati, e che doveva stabilire entro dicembre se il sito è idoneo o meno”. Il comitato, spiega ancora l’attivista, non contesta l’impianto in quanto tale, “ma la posizione in cui sorgerà, cioè a soli 90 metri dalle case”. Il biodigestore è potenzialmente esplosivo per via dei serbatoi dove verrà raccolto il metano. L’esperienza traumatica degli incendi che hanno avvolto il Tmb di Malagrotta nel 2022 prima e a Natale del 2023 poi, ci è bastata. Questa scelta è segno di disprezzo nei confronti di comunità già falcidiate da 250 lutti causati da tumori che la famigerata ex discarica ha scatenato con il suo inquinamento”. In una delle abitazioni più vicine all’area dove sorgerà l’impianto abita Manuele: “Quando è esplosa a luglio la autocisterna a via dei Gordiani – racconta – il boato lo abbiamo sentito distintamente anche quaggiù. L’effetto sarebbe devastante se esplodesse uno dei 4 silos dove sarà immagazzinato il biogas. A questa distanza ci polverizzerebbe”.
Il nuovo impianto – secondo Ama – sarebbe la soluzione definitiva per i rifiuti organici di Roma e provincia, in quanto eviterebbe 3mila viaggi all’anno per trasportarli a discariche fuori regione, oltre a produrre 20 milioni di M3 annui di biogas, e 36mila tonnellate di fertilizzante. Si parla, per altri versi, di 100mila tonnellate di scarti trattati: circa il 10 per cento del fabbisogno di Roma metropolitana, che produce oltre 1 milione di rifiuti all’anno.
A rappresentare nella battaglia che si è fatta giudiziaria le comunità coinvolte dal progetto dell’impianto biodigestore un team di legali con a capo Sergio Santoro, ex presidente del Consiglio di Stato. “Innanzitutto – sottolinea uno degli avvocati, Domenico Razza – il residuo liquido che rimane, per essere impiegato come fertilizzante, non può contenere metalli pesanti, per cui deve essere trattato prima dell’uso, altrimenti si finisce per inquinare le falde acquifere, considerando che quasi tutte le case che avranno il biodigestore accanto, attingono l’acqua dai pozzi, oltre al corollario di insetti, topi, cinghiali che 200 camion di rifiuti giornalieri (necessari per alimentare l’impianto) attireranno”. Per Razza il sindaco “sta violando il vincolo paesaggistico, poiché a un chilometro dal cantiere è presente un sito di Natura 2000, area inclusa nella lista rossa delle specie rare protette dalla Ue, e la normativa europea, che vieta l’installazione di impianti del genere su un terreno agricolo a uso seminativo, dato che il biodigestore sorgerà proprio al centro di un campo di grano”. Ma quello che i residenti temono di più è la vicinanza della struttura al centro abitato. Nel raggio di 100 metri ci sono una settantina di case, due scuole materne a 700 metri e il quartiere di Casalotti a un chilometro in linea d’aria”. “Abbiamo proposto 31 siti alternativi lontani dalle abitazioni, senza avere risposta” conclude il legale.
L’assessora all’Ambiente del Campidoglio Sabrina Alfonsi replica ricordando che il via libera ai lavori (a maggio 2025) ha avuto l’ok anche di Arpa e azienda sanitaria. “Secondo il Piano Rifiuti Regionale – aggiunge – la presenza di case sparse nel raggio di 500 metri dal cantiere, non è fattore escludente, tranne la raccomandazione di impiantare alberi ad alto fusto per ridurre le emissioni”. Sulle violazioni delle biodiversità di Natura 2000, il Comune fa presente che gli enti competenti hanno fatto una valutazione di impatto ambientale, attraverso uno screening proprio in ragione della vicinanza con la macchia di Ponte Galeria. “Non potevamo aspettare la delibera del Consiglio di Stato – aggiunge Alfonsi -, con il rischio di perdere i fondi Next Generation Ue, che scadono a dicembre 2026. Roma e provincia devono avere un impianto in loco per trattare i rifiuti organici, senza continuare a spedirli fuori regione, con tutti i costi correlati. I ricorsi dei comitati sono stati rigettati più volte dal Tar”. L’avvocato Razza sul punto insiste per dire che la Via – Valutazione di Impatto Ambientale – non è la “Vinca” (cioè Valutazione di Incidenza), più specifica per le aree di biodiversità. Lo screening fatto è solo l’esame iniziale, per cui bisogna valutare se la decisione degli esperti di non andare oltre sia conforme alle direttive europee.
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