Regione, Naccarato sul referendum: «La Regione ci ripensi

  • Postato il 23 novembre 2025
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Regione, Naccarato sul referendum: «La Regione ci ripensi

Il senatore Paolo Naccarato condivide le perplessità espresse dal professore D’Ignazio rispetto alla nuova legge che disciplina il referendum nel processo di approvazione dello Statuto. Norma licenziata dalla maggioranza di centrodestra in consiglio regionale


«Le acute riflessioni del professor D’Ignazio non sono prive di fondamento. E ci sono anche altri aspetti che consiglierebbero al Consiglio regionale della Calabria una maggiore cautela e un supplemento di riflessione rispetto alla nuova legge che disciplina il referendum nel processo di approvazione dello Statuto». Chi parla è Paolo Naccarato, già consigliere regionale, senatore e sottosegretario di Stato, padre dello Statuto calabrese licenziato nel 2004, nella stagione in cui guidava la Commissione per le Riforme Istituzionali. Naccarato ha letto l’intervista a Guerino D’Ignazio, professore emerito dell’Unical e costituzionalista, pubblicata ieri dall’Altravoce-Il Quotidiano. E ne ha condiviso le perplessità circa la legittimità della norma licenziata dalla maggioranza di centrodestra di Palazzo Campanella giovedì notte, al termine di una lunghissima seduta del Consiglio che ha anche approvato, in prima lettura, la reintroduzione nello Statuto calabrese dei sottosegretari.
La nuova norma sul referendum di fatto esclude la possibilità di chiedere la consultazione popolare sulle leggi che modificano singole parti dello Statuto. Il referendum confermativo potrà essere richiesto – da un cinquantesimo degli elettori o da un quinto dei consiglieri regionali – solo nel caso in cui lo Statuto venga riadottato per intero. Per i firmatari della proposta di legge la norma è coerente con le previsioni costituzionali in materia perché la nostra carta fondamentale menziona espressamente lo statuto e non fa cenno alle leggi di revisione statutaria. Per D’Ignazio, invece, prevale il principio generale del diritto pubblico secondo cui “pari rango, pari procedimento”. Statuto e leggi statutarie hanno pari rango – spiega – e se per l’approvazione dello Statuto è prevista una procedura aggravata (quorum, doppia lettura, eventuale referendum entro tre mesi), lo stesso deve valere per le leggi che lo modificano.
A quali aspetti fa riferimento?
«La legge, come notava D’Ignazio, oltre a poter esser impugnata dal Governo espone le modifiche statutarie che saranno fatte di qui in poi a esser oggetto di ricorso alla Corte Costituzionale in via incidentale in uno specifico procedente. Con conseguenze anche onerose. Facciamo un esempio concreto. Un sottosegretario regionale (figura, appunto, che si potrà nominare dopo l’entrata in vigore della nuova modifica di Statuto, ndr) firma un atto che lede gli interessi di qualcuno e può vedersi fare ricorso. Nell’ambito del procedimento che ne scaturirà, il ricorrente potrebbe eccepire, chiedendo che a pronunciarsi sia la Corte Costituzionale, il vizio di origine della sua nomina. Non aveva il potere di firmare quell’atto, contesterebbe un avvocato, perché la sua nomina è avvenuta in forza di una modifica di Statuto che era stata sottratta alla possibilità del pronunciamento popolare costituzionalmente previsto. È qui il punto debole di questa riforma legislativa e D’Ignazio fa benissimo a rilevarlo con grande precisione, con grande acutezza. Perché poi dall’atto impugnato possono derivare responsabilità erariali o conseguenze di natura economico-finanziaria di cui qualcuno dovrà dar conto».
I proponenti rivendicano invece coerenza con il dettato costituzionale…
«Guardi, gli Statuti regionali sono la Carta costituzionale delle Regioni, quindi è come se la Costituzione italiana non potesse essere sottoposta al referendum qualora se ne modifichino soltanto delle parti, piccole o grandi che siano».
Nel caso delle leggi di revisione costituzionale il referendum non è previsto solo nel caso in cui le Camere le approvino con il voto favorevole dei due terzi dei componenti.
«Esatto. Con una larghissima maggioranza. C’è una previsione specifica in questo caso, ma resta una procedura aggravata. Ammiro naturalmente la fantasia di chi ha immaginato questa previsione normativa, ma a sembra una innovazione che travalica oggettivamente ogni limite. Ma lo dico per un principio di cautela. Ancor prima di discutere se la questione di costituzionalità sia fondata o meno – e secondo me le osservazioni di D’Ignazio, ripeto, sono tutte fondate – c’è un problema di cautela perché le conseguenze che potrebbero derivare dalla mancata previsione della celebrazione del referendum potrebbero essere molto onerose sotto il punto di vista proprio della responsabilità».
L’impressione è che questa norma sul referendum sia stata introdotta per blindare l’inserimento dei sottosegretari nello Statuto.
«Direi che si tratta di timori forse anche eccessivi, perché non vedo in Calabria tutta questa ansia da referendum. E non la ricordo in altre occasioni. Quindi no, onestamente non mi spiego questa necessità di limitare il ricorso all’istituto del referendum confermativo in materia di Statuto. Confido che il Consiglio regionale possa utilizzare questi mesi che ha davanti, prima della seconda lettura sulle modifiche statutarie, per fare degli approfondimenti tecnico-giuridici e di merito anche sulla legge appena approvata, relativa al referendum. E di cambiare quello che va cambiato».
In Consiglio regionale c’è stato chi ha spiegato che è normale che alcune materie non possano essere oggetto di referendum, per evitare che decisioni complesse siano affidate a scelte dettate dall’emotività o dal populismo.
«Queste sono osservazioni politiche e ognuno sul piano politico può dire ciò che ritiene più opportuno. In questo caso non si tratta di commentare politicamente e ha fatto bene D’Ignazio, nella vostra intervista, a dire che la questione è di dubbia legittimità sotto un profilo preciso, sotto il profilo tecnico-giuridico. Spero davvero che il Consiglio regionale ci possa riflettere su. La politica è fatta anche di riflessioni aggiuntive, di evoluzioni, di pensiero e di decisioni conseguenti. Né io né D’Ignazio abbiamo la sfera di cristallo ma, ecco, credo che condurre un breve ciclo di audizioni di personalità di chiara fama su questa materia potrebbe essere utile ad arricchire ancora di più la riflessione del Consiglio regionale della Calabria».
Lei è stato sottosegretario regionale, durante il governo Loiero. Tecnicamente non eravate chiamati così, ma unità organizzative autonome, equiparate politicamente ai sottosegretari. L’introduzione nello Statuto arrivò nel 2010 e due anni dopo ci fu l’abrogazione. Lei come giudica questo ritorno deciso dalla maggioranza di governo regionale?
«Di per sé è una previsione legittima. Esiste già in altre Regioni e ha superato, diciamo, qualsiasi possibilità di essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale. Ci fu un solo pronunciamento, in Molise, ma perché la Regione li aveva istituiti con legge ordinaria, non statutaria. Da un punto di vista funzionale ci può stare, insomma. Non è questa la fonte di preoccupazione, al momento».

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