Regionali Calabria, Francesco Toscano: «Destra e sinistra solo comitati d’affari»
- Postato il 24 settembre 2025
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Regionali Calabria, Francesco Toscano: «Destra e sinistra solo comitati d’affari»
Intervista a Francesco Toscano candidato presidente di Democrazia sovrana e popolare alle prossime elezioni regionali in Calabria. «Nasco e resto democristiano perché al centro della politica metto l’uomo»
NON chiamatelo rossobruno. Francesco Toscano, classe ’79, di Gioia Tauro, corre da outsider in questa campagna elettorale per le regionali in Calabria, in cui è candidato presidente per Democrazia sovrana e popolare. Partito che ha contribuito a fondare nel 2024, insieme a Marco Rizzo, ex Pc, e che come lista aveva esordito alle Politiche del 2022.
Toscano, avvocato e giornalista – un trascorso da assessore alla Cultura a Gioia Tauro nel periodo 2015/2016 – dirige il canale youtube VisioneTv, che conta 200mila iscritti e si presenta come uno spazio nato per andare oltre l’informazione mainstream.
Francesco Toscano, lei rifiuta l’etichetta rossobruno e rivendica la formazione morotea. Nasce democristiano, insomma. E poi cos’è successo?
«Nasco democristiano e sono rimasto democristiano».
Sì, ha avuto anche dei trascorsi nell’Udc, un partito del “sistema”.
«Quello è stato un errore di gioventù (ride, ndr). Un momento di debolezza».
D’accordo. Spieghiamo allora com’è che la sua strada e quella di Marco Rizzo, che aveva alle spalle tutt’altra formazione politica, si incontrano in Democrazia sovrana popolare?
«Io fin da ragazzo sono stato attratto dal pensiero moroteo, perché il concetto principale dei pensatori cattolici è la centralità della persona umana. Quindi il cuore di una politica ispirata in tal senso punta al rispetto della persona, ha come priorità l’uomo. Questi signori di destra e sinistra fanno il contrario: la loro politica è incentrata sul rispetto dei conti, sui piani di rientro, sul risanamento finanziario. Sono politiche tipiche dei sistemi totalitari che non rispettano la persona, per perseguire altri obiettivi. È l’antitesi del pensiero cristiano. Non sono cambiato io, quindi, ma sono cambiati loro».
Francesco Toscano, un’altra categoria che si usa per definirvi è antisistema.
«Se la premessa è che siamo contro il totalitarismo, allora sì, siamo antisistema. Mi chiedeva dell’incontro con Rizzo. Con lui ci conosciamo durante gli anni della pandemia e le contestazioni alle misure del governo. In quella fase Occhiuto era tra i più feroci sceriffi che perseguitavano i novax e sostenevano misure vergognose – contestate da filosofi come Agamben – antiscientifiche, totalitarie, manipolatorie come il green pass. Con Rizzo, quindi, ci incontriamo nelle piazze, durante le contestazioni. Ci siamo trovati a metà strada, abbiamo cercato di rimettere in piedi una sorta di compromesso storico, se vogliamo dirla così. Ad ogni modo, Democrazia sovrana popolare è una cosa nuova, che non c’entra né con il Pci né con le correnti della Dc. Ci ispiriamo a un sovranismo popolare che attualizza le migliori culture novecentesche, per affrontare i problemi di oggi».
Anche i grillini nascono antisistema…
«Finti antisistema. La furbizia del sistema è quella di preparare da sé gli antisistema. Di costruire una finta alternativa, che poi diventerà sistema. Hanno fatto così, ad esempio, al tempo del governo gialloverde, normalizzando Salvini e Di Maio e lasciando fuori Meloni, che ha giocato la parte della rivoluzionaria. I falsari si riconoscono dal fatto che non mettono in discussione i paradigmi fondamentali del sistema, si concentrano su temi suggestivi come la casta e gli sprechi. Funziona, a livello di comunicazione, perché fa facilmente presa in un Paese disabituato al ragionamento politico. Altrimenti come avrebbe fatto un milionario come Grillo che si atteggia a francescano a prendere il 40%?».
E voi come pensate di “svegliare” il Paese?
«Con il tempo. Chi ci giudica con il pallottoliere non capisce il nostro messaggio. Noi ragioniamo con i tempi della storia non della cronaca. Vogliamo essere un pungolo per incrinare il modello. Per questo ci tengono ai margini del dibattito. Legambiente, Rubbettino, Unindustria si sono fatti i loro confronti solo con Tridico e Occhiuto».
Unindustria vi aveva inserito però nel programma diffuso. E lunedì hanno spiegato che lei era assente per concomitanti impegni di campagna elettorale.
«Mah, io non ho ricevuto alcun invito. Verificherò, non metto in dubbio la buona fede, ma proprio non mi sembra di averlo avuto. In ogni caso dal dibattito pubblico cercano di cancellarci, proprio perché il nostro modo di spiegare le difficoltà della nostra terra squarcia il velo di Maya, senza di noi loro potrebbero continuare il rimpallo sulle solite questioni. Uno attacca su Conte, l’altro incalza sulle promesse non mantenute. È una finzione, come nel wrestling, lo spettacolo è costruito prima, non è autentico. Per loro servire il sistema è prioritario, perché il sistema li tutela. Se Occhiuto dovesse perdere – non succede, ma qualora succedesse – Meloni gli trova un incarico a Roma. Se Tridico perde, torna a Bruxelles. Veda Di Maio dov’è ora, nel deserto del Sahara con un incarico strapagato».
Francesco Toscano, non voglio farle usare il pallottoliere, ma un obiettivo minimo ve lo sarete dati. In base al quale valutare, ad esempio, l’efficacia della vostra campagna, del vostro messaggio.
«Guardi, queste sono elezioni complicatissime, in cui nelle liste ci sono tutti i portatori di voto e il voto è controllato militarmente. Possiamo pensare bastino le adesioni concettuali? I sondaggi mi danno all’1, o al 2%. Già un 2% in queste condizioni sarebbe un’avanguardia importante. Non punto al 2, si intende. Io credo che la nostra base di consenso sia più ampia, ma tanti non partecipano al voto dopo anni di tradimenti. Il 60% dei cittadini non si fida di nessuno, ma è la parte migliore della società. Non vuole essere complice di due comitati di affari. Perché questo sono centrodestra e anche centrosinistra. Tridico in più ci aggiunge l’ipocrisia. Dice che vuole difendere il pubblico e nelle sue liste schiera i ras della sanità privata. Per ora non faccio calcoli, li valuteremo dopo. Intanto di sicuro stiamo cercando di cambiare l’ordine delle parole, di smontare questo meccanismo fasullo, di spiegare i punti di rottura, di rendere utile questa campagna».

Parliamo di sanità. Lei vuole fare causa al governo, sul rientro del debito. Su quali presupposti?
«Noi abbiamo un’idea precisa su come funziona questo meccanismo di controllo. Per noi è una logica usuraia, non politica. L’idea che i conti si risanino chiudendo ospedali, bloccando il turnover, costringendo all’emigrazione sanitaria è folle anche sul piano economico non solo umano».
Lei propone anche di tornare alle vecchie Usl, con l’abolizione del decreto legislativo 502 del 1992. In che modo?
«Fino al ’92 avevamo un sistema normale. Quando siamo passati alla logica del profitto e alle aziende, la storia è cambiata, ma lo Stato deve farsi carico dei servizi anche quando sono antieconomici. Solo gli stupidi possono pensare che i soldi possano finire, come se ci fosse un salvadanaio di Stato. Le nostre classi politiche fanno finta di non sapere come funziona la finanza pubblica. L’emissione di moneta è il più delle volte una scelta politica».
Torniamo un attimo alle Usl. Serve l’abolizione di una legge nazionale.
«La cosa non ci spaventa».
Lei parlava prima di risorse, finanza pubblica e scelte politiche. Però il nostro sistema sanitario sconta anche anni di sprechi e inefficienze.
«No, non c’entra niente. Pensa che in Germania, Francia e Usa siano parsimoniosi? La finanza pubblica, ripeto, non funziona come l’economia domestica. Ogni euro, anche quello speso peggio, produce ricchezza privata. Quando chiedi più tasse rispetto ai servizi crei povertà. Per cui oggi, anziché dire “noi abbiamo costruito un sistema che prevede la disperazione della gente”, è più facile dire che è colpa del singolo che ruba o dei politici inetti».
Qual è la vostra proposta sul lavoro? E cosa pensa di quelle dei suoi competitor, da Tridico che propone il reddito di dignità a Occhiuto che rivendica quanto fatto dal suo governo a partire dal sistema di incentivi alle imprese?
«A Roberto voglio bene, ma nel dire alcune cose dovrebbe provare un pizzico di vergogna. Sembra quasi un passante. Abbiamo un livello di povertà che fa paura. Un ragazzo su tre sa che andrà via, il nostro tessuto industriale è desertificato, abbiamo perso il treno della terza rivoluzione industriale, non c’è nessun polo di eccellenza. Le ricette di Occhiuto, quelle del liberismo spinto, sono sempre le stesse: bassi salari e precarietà. Lui dovrebbe difendere i calabresi dalle mire delle multinazionali. Il porto di Gioia movimenta 3 milioni di container. Quali sono le ricadute sulla Piana? Zero. Lui dovrebbe dire “volete venire qui, va bene, c’è il libero mercato, ma noi non siamo colonizzati da voi. Se volete venire a fare affari bene, ma voglio vedere ricadute sul territorio”. La nostra proposta è trasformare Fincalabra, oggi mera società che gestisce bandi europei, in una Agenzia per lo sviluppo, in una piccola Iri regionale, dandole come obiettivo statutario l’abbattimento della disoccupazione. Soglia massima, un 5% di disoccupazione, stabile e ben pagata, entro i primi cinque anni di governo. Poi se lei mi chiede cosa preferisco tra lasciar morire di fame e l’elemosina, allora dico l’elemosina. Ma quella non è una soluzione strutturale. Serve a gente come Tridico e Conte che con un pannicello caldo tengono in vita la loro esistenza politica».
Francesco Toscano, ha proposto un confronto su poteri occulti e ‘ndrangheta ai suoi competitor. Di cosa vorrebbe parlare?
«Le faccio un esempio, così vede che la mia non era una provocazione. Hanno messo il silenziatore all’inchiesta di Caltanissetta su Giuseppe Pignatone, indagato con l’accusa di favoreggiamento alla mafia. Stanno uscendo cose gravi. Bene, Pignatone è stato a Reggio, poi a Roma. È il caso di chiedersi come sia possibile che figure che ricoprono incarichi così delicati abbiano poi questo tipo di storia. Sempre a Caltanissetta si indaga sull’operato di Arnaldo La Barbera, già uomo Sisde vicinissimo all’ex prefetto di Reggio Calabria Luigi De Sena, nominato dopo l’omicidio Fortugno (La Barbera e De Sena sono deceduti, ndr). Saranno tutte casualità certo, ma una classe politica può parlare di questo? Va bene anche confutarlo, dire che sono invenzioni o che bisogna attendere i tre gradi di giudizio. Ma se vuoi fare il presidente ti vuoi interrogare?».
Proiettiamoci al 7 ottobre. Cosa farà Dsp dopo il voto?
«Non siamo una lista elettorale, ma un partito politico. Quindi continueremo il nostro lavoro in Calabria e in tutta Italia. Questa campagna è utile per aumentare la nostra conoscibilità agli occhi di chi non ci conosce, ma è solo l’inizio. Cercheremo di essere presenti in ogni elezione, anche comunale. Certo, è difficile perché la gente non partecipa più, ma non c’è alternativa se non questo».
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