Rapina al Louvre, la ridicola password delle telecamere, le indagini e il destino dei gioielli rubati
- Postato il 2 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Fidarsi è bene, non fidarsi, a volte, è meglio. Soprattutto se si tratta della sicurezza dei musei di Parigi. E delle rassicurazioni della ministra della cultura dopo il clamoroso furto al Louvre. Così, dopo una prima versione conservativa – “Gli allarmi hanno funzionato” – ora arriva l’ammissione davanti al Senato francese: “Ci sono state mancanze nella sicurezza”. Non che servissero le parole di Rachida Dati per comprenderlo, dopo che una banda travestita da operai ha svaligiato in pieno giorno il museo più famoso del mondo in soli 7 minuti. Sta di fatto che in dieci giorni il tono del dicastero culturale è cambiato: ora si cercano carenze e responsabilità, si fa un timido mea culpa e si prova a individuare le inefficienze nella catena della sicurezza del museo, già in passato oggetto di rapine. Come evidenziato da Liberation, del resto, i problemi alla sicurezza del museo sono di lunga data, anche per quanto riguarda la struttura informatica del sistema. E alcune scelte di sicurezza tragicomiche.
La scelta della password
Numeri e simboli, lunghezza, imprevedibilità, frequenti modifiche. Sono molti i criteri da adottare per la scelta di una password sicura. Uno è scontato: non deve coincidere con il proprio nome. Forse però nel museo parigino puntavano all’effetto sorpresa quando hanno pensato di scegliere “Louvre” come parola chiave per accedere al server della videosorveglianza. A rivelarlo è Libération, che ha ricostruito l’intervento dell’Agenzia nazionale della sicurezza dei sistemi informatici realizzato a dicembre 2014 su richiesta dello stesso museo. Tre esperti in cyber–sicurezza controllarono la rete informatica che gestisce gli equipaggiamenti di protezione del museo, cioè le videocamere di sorveglianza, gli allarmi, il controllo degli ingressi. Certo, da allora si spera che le password siano state cambiate. Ma forse una certa leggerezza nei controlli no.
Le finestre e l’allarme
Il 19 ottobre i rapinatori sono arrivati a bordo di un camion montacarichi, lo hanno parcheggiato e hanno fatto salire il braccio fino alle finestre della sala 705, la Galleria d’Apollo. Sul cestello, due persone vestite con le pettorine da operaio e “armate” di seghe circolari hanno aperto i finestroni. Ma l’allarme era disattivato o è entrato in funzione? Le fonti non concordano: c’è chi sostiene fosse stato disattivato un mese prima per problemi tecnici, chi invece ribadisce si sia attivato senza essere sufficiente ad evitare il peggio. E così il peggio è avvenuto: la banda è fuggita con un bottino di cui il curatore del Louvre ha stimato il valore: 88 milioni.
Le indagini giudiziarie
Dopo circa una settimana dal colpo, 5 persone sono state arrestate. Due delle cinque persone arrestate mercoledì sera nell’ambito delle indagini sul furto sono state incriminate ieri primo novembre, mentre tre sono state rilasciate. Tra i sospetti fermati anche una donna di 38 anni di cui è stato ritrovato il Dna fuori dal museo, tra i numerosi oggetti abbandonati dalla banda nella fuga, prima che risalissero a bordo degli scooter. Proseguono insomma le indagini giudiziarie per individuare colpevoli e responsabili e tramite loro risalire anche ai gioielli rubati, nove dei ventitré gioielli che fanno parte della collezione dell’imperatrice Eugenia, sul cui destino si interroga tutta la Francia.
Il destino dei gioielli
Nella storia non mancano casi in cui il bottino è stato persino abbandonato. Quando si comprende che c’è un’assoluta assenza di mercato è un’ipotesi plausibile. Purtroppo, nel caso di preziosi come gioielli, quindi con oro e pietre, può succedere addirittura che vengano distrutti. Per questo le indagini devono procedere rapidamente. “Si stanno esaminando tutte le possibilità del mercato parallelo che potrebbero consentire la vendita di questi gioielli, che spero non avvenga a breve”, ha spiegato la procuratrice Laure Beccuau. “Ci sono diverse ipotesi riguardo ai beni, compresa quella che siano già stati venduti all’estero“, ha dichiarato il ministro dell’Interno Laurent Nuñez. Ma resta fiducioso, afferma, che vengano ritrovati. Magari all’interno dello stesso museo, come accadde con il Ritratto di Signora di Gustav Klimt.
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