“Quando mi hanno detto che ero indagato per associazione a delinquere mi sono pietrificato. La rinuncia a Sanremo? Mai avuto dubbi”: parla Emis Killa

  • Postato il 7 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Non ho mai avuto dubbi sulla rinuncia a Sanremo. Perfino i miei detrattori mi hanno dato atto di avere fatto una scelta non scontata e matura”. Quando a gennaio 2025, Emis Killa è stato indagato nell’ambito dell’inchiesta Doppia Curva (portata avanti dalla Procura di Milano sulla connessione tra il tifo organizzato e la criminalità), ha subito fatto un passo indietro. Niente Ariston, niente esordio al Festival. Anche perché tutti hanno cominciato a parlare di lui e non per la musica.

La sua abitazione è stata perquisita: sono stati trovati 30.000 euro in contanti, diversi coltelli e un tirapugni, “però ho una spiegazione lecita per tutto ciò che hanno trovato”, ha dichiarato in una recente intervista al Corriere della Sera. Killa è stato anche immortalato non lontano da una rissa allo stadio, ma “ero lì per puro caso, appena ho capito che tirava aria di guai mi sono tenuto a distanza, come decine di altre persone. La mia coscienza è pulita”. In più, non era un segreto che fosse amico di alcuni tra gli ultras del Milan: il capo Luca Lucci e Fabiano Capuzzo (con cui ha un negozio in società), condannati in primo grado rispettivamente a 10 anni di reclusione il primo e a 4 anni e 4 mesi il secondo. “Era inutile andare a Sanremo per viverla male”, ha rivelato.

“Quando mi hanno detto che ero indagato sono rimasto pietrificato” – All’inizio, il rapper non aveva creduto alle indiscrezioni che si rincorrevano su di lui. “Poi sono stato convocato in caserma: ‘Per una notifica’, mi hanno detto. Sono arrivato lì tutto sommato tranquillo, col passeggino di mio figlio piccolo, e i carabinieri mi hanno informato che avevo ricevuto ‘un Daspo e un 416’. Quando ho chiesto cos’era un 416 e mi hanno spiegato che ero indagato per associazione a delinquere mi sono pietrificato”. Adesso, l’obiettivo è concentrarsi sulle cose belle della vita, anche se “quando ti succede qualcosa di così inatteso, crollano tutte le certezze – ha confessato l’artista –. Non mi intendo di queste faccende (…), ma so che quello che mi contestano non ha senso di esistere: mi sono limitato ad aprire una barberia con un amico che in passato aveva avuto qualche trascorso con la legge (Fabiano Capuzzo, ndr). L’ho fatto proprio per aiutarlo a cambiare vita, per me era un gesto bello e nobile. Perché bisogna vederci per forza del marcio?”.

“Voglio andare allo stadio come un padre di famiglia qualsiasi”– Il rapper di “Parole di ghiaccio” non è l’unico vip ad avere amicizie tra gli ultras delle curve milanesi. Lui è stato indagato, ma “nessuno considera che magari la mia posizione sarà archiviata, che potrei non andare mai a processo, o che comunque potrei risultare innocente”. Sul tifare allo stadio per la sua squadra del cuore, il Milan, ha le idee chiare: “Voglio andare in curva come un padre di famiglia qualsiasi, come ho sempre fatto, ma è impossibile perché tutti mi chiedono continuamente selfie. Stare in transenna con gli ultras, dove i tifosi non arrivano così facilmente, per me era anche un modo di ritrovare un po’ di normalità. Li considero cari amici proprio perché mi trattano come chiunque altro, non c’è un rapporto di interesse tra di noi. Non ho fatto niente di male. Anzi, in questa vicenda mi sento un po’ una vittima”, ha dichiarato.

“In Italia la cultura hip hop è ancora incompresa”– Intanto, adesso, si è concentrato sulla musica. Dopo “Demoni”, il brano inedito che aveva presentato a Carlo Conti per il Festival, a maggio è uscito il suo ultimo singolo “In auto alle 6:00”, in collaborazione con Lazza, che al momento vanta più di 4 milioni di streaming su Spotify. Il grande evento, però, sarà la seconda edizione del suo festival, EM16, in programma a Fiera Milano Live il prossimo 10 settembre. Per l’occasione, ci sarà spazio per graffiti e freestyle. “Fanno parte della mia storia, è il mio modo per restare ragazzino”, ha spiegato Killa. Una cultura, quella del rap e dell’hip-hop, che secondo l’artista nel nostro Paese non viene ancora compresa appieno. “Purtroppo ancora oggi una rima goliardica può trasformarsi in un problema. Basti pensare a quello che è successo a Fabri Fibra, condannato per diffamazione nei confronti di Valerio Scanu per via di una sua strofa (…). In Italia si prende tutto un po’ troppo alla lettera”.

È successo anche a lui con il “3 messaggi in segreteria”, brano aspramente criticato che racconta la storia di un femminicidio dal punto di vista dell’assassino. L’intento era sensibilizzare sul tema, ma “ogni volta che provavo a spiegare il senso di quel pezzo mi sembrava di parlare al muro – ha evidenziato Killa – ll rap fa spesso narrazioni scomode, e l’opinione pubblica ci marcia (…). Per me è un genere che non deve diventare politicamente corretto: nasce per essere spigoloso, fastidioso, provocatorio. Ma non per questo i rapper sono per forza personaggi estremi o pericolosi nella vita reale”.

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Il Fatto Quotidiano

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