Putin aveva un sogno nazionalista: così ha individuato i nostri punti deboli per realizzarlo
- Postato il 18 novembre 2024
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Per capire la geopolitica occorre capire le motivazioni profonde dei protagonisti, al netto di ogni pregiudizio. In politica – Machiavelli insegna – il discorso pubblico è diverso da quello privato, e da quel che si pensa veramente. Il primo passo è ascoltare i leader. Il secondo è distinguere le affermazioni sincere dalla propaganda.
Prendiamo Vladimir Putin. Il film “Il Presidente” (ПРЕЗИДЕНТ, 150’, Russia 2015), che celebra il 15esimo del suo avvento, è scevro della propaganda attuale, e illustra bene l’autentica visione putiniana dei rapporti internazionali della Russia e del “Nuovo Ordine Mondiale” (Nom) multipolare.
In primo luogo, nonostante l’antiamericanismo, Putin nel film indica chiaramente che l’ordine mondiale cui aspira è quello in cui Russia e Stati Uniti (ora anche Cina) decidono congiuntamente tutte le più importanti questioni geopolitiche, e suddividono il mondo in “sfere di influenza”. Il leader del Cremlino, anche se non lo dice, vagheggia un ritorno all’epoca di Yalta (1945-89): un mondo in cui gli altri Paesi, soprattutto quelli piccoli, avrebbero poca o nessuna voce in capitolo riguardo al proprio destino.
In secondo luogo, nel film Putin non solo considera la disintegrazione dell’Urss “la più grande tragedia geopolitica del secolo XX”, ma legge la Storia in modo distorto e pericoloso. “Nel 1991 tutti noi ci facevamo delle illusioni: sembrava allora che dopo la fine della divisione ideologica fra Urss e il resto del mondo civilizzato, la libertà ci avrebbe salutato con gioia all’ingresso”. Perciò, “la Russia ha rinunciato volontariamente ai propri territori”. Non è così. Quando Putin parla delle perdite territoriali della Russia, sostiene che tutte le ex repubbliche federate sono territori russi! Li concepisce non come “zona di influenza”, ma come “territorio nostro”, dal quale tuttavia la Russia “si è ritirata volontariamente”. In realtà, l’attuale Federazione Russa ha esattamente gli stessi confini della Russia sovietica. Le repubbliche divenute indipendenti nel 1991 non hanno mai fatto parte della Russia. Quella di Putin è pertanto una rivisitazione orwelliana della Storia, un ‘putinismo’ che risale ai tempi zaristi.
Anche il mito della caduta volontaria dell’Urss, operata “dall’alto”, che ignora completamente la volontà dei popoli, è pura fantasia. In realtà, tutte le repubbliche federate proclamarono la loro sovranità nel 1989-90 (come nel 1918). Non ci fu nulla di volontario nella risposta di Mosca: cercò di fermare la Lituania col blocco economico e la forza; ma non riuscì a fermare il movimento di uscita dall’Urss. Di conseguenza, dopo il fallimento del colpo di stato dell’agosto 1991, la disintegrazione dell’Unione era inevitabile. Gli accordi di Belavezha (8/12/1991) misero semplicemente su carta ciò che era accaduto.
In terzo luogo, il film rivela “l’isolamento della Russia nell’ex spazio sovietico” (K. Kirillova). Emerge infatti che i popoli e i Paesi di quei territori non guardano a Mosca, anche se Putin suggerisce che dovrebbero. A parte Nazarbayev, non c’è alcun riferimento positivo ai leader delle ex-repubbliche: neppure Lukashenko, al quale, ovviamente, la prospettiva di considerare la Bielorussia territorio della Russia non genera alcun piacere.
Queste idee sono state ribadite più volte. Sul Nom, ad esempio, Putin spesso deride il diritto internazionale vigente. Sull’Ucraina, nel saggio Sull’unità storica di russi e ucraini (2021) afferma: russi, bielorussi e ucraini sono “un unico popolo”; i confini russo-ucraini sono arbitrari: “la Russia è stata derubata”; “Kiev semplicemente non ha bisogno del Donbass”; fino a sostenere che l’Ucraina non è mai esistita. Le ex repubbliche sovietiche cercano un difficile equilibrio fra difesa della sovranità e minacce russe. Nel febbraio 2022, ad esempio, Putin si lasciò scappare che nel Nom ci saranno due tipi di nazioni: le grandi potenze e i ‘paesi piccoli’ nelle loro sfere di influenza; questi ultimi “mi spiace dirlo, ma è così, saranno delle colonie di fatto”. Provocò una alzata di scudi; seguì un’imbarazzata retromarcia. Si veda anche il recente rifiuto di Kazakhstan e Uzbekistan di aderire ai Brics, e i rimbrotti di Lavrov.
Confrontiamo quanto sopra con l’annuncio in tv (22/2/2022) dell’invasione dell’Ucraina. Putin ora lamenta: che la Russia “si fece carico della quota ucraina del debito sovietico”, ma “l‘Ucraina adesso reclama una quota delle riserve auree” dell’Urss, e “altri privilegi”. Che l’Ucraina è “infetta con i virus del nazionalismo e della corruzione”. Che ha promulgato “leggi che discriminano la minoranza russofona”. Che “ha violato gli accordi di Minsk”. Che prepara un’aggressione militare contro la Russia. Che intende dotarsi di armi nucleari. Che sta progettando “un afflusso di truppe Nato” sul suo territorio. Che l’intenzione di entrare nella Nato è una “minaccia diretta alla sicurezza della Russia”. Che la Nato ha tradito la promessa di “non espandersi nell’Europa dell’est”.
Qui il progetto nazionalista, imperiale, genocida resta sullo sfondo. La propaganda racconta altre storie. Confonde, divide, s’intesta ogni sorta di buone intenzioni. Il vittimismo solletica la latente domanda di riconoscimento delle masse, suscita l’odio, giustifica l’invasione, i crimini… E qui sta il punto: “Un grande paese migliora quando perde l’ultima guerra coloniale” (T. Snyder). Per l’insipienza di Biden e dei repubblicani, la Russia – pur allo stremo, sul filo di lana – sta per vincere la sua ultima guerra coloniale. Per questo non sarà l’ultima.
Considerato spesso un anonimo ex funzionario del Kgb che calza scarpe troppo grandi, isolato nella bolla degli yesmen del Cremlino, incapace di calcolare le sue mosse, Putin ha invece dimostrato un’intelligenza superiore. L’uomo più ricco del mondo, 15 anni fa, aveva un sogno nazionalista; capiva che l’Occidente non glielo avrebbe permesso. Così ha individuato i nostri punti deboli (permeabilità dei sistemi politici), le nostre faglie (crisi della democrazia, antiamericanismo). Con Gerasimov ha concepito e attuato un progetto: la “guerra ibrida”. Ha conquistato il Paese-centro, gli Stati Uniti, senza sparare un colpo; si appresta a piazzare un suo probabile agente a capo dei Servizi Segreti! In Ucraina, in Africa e anche altrove sembra prevalere sul traballante diritto internazionale. Sta legittimando col Nom l’idea della “Grande Russia”. Il tutto in sintonia con la sua visione domestica fortemente autoritaria, ormai comune alle tre grandi potenze del pianeta. Sottovalutato.
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