Puff Daddy rischia 11 anni di carcere: il pubblico ministero non molla. Le vittime delle violenze scrivono al giudice: “Nessuna clemenza, abbiamo paura”
- Postato il 2 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Il dado è tratto, mancano ancora poche ore per chiudere il lungo capitolo giudiziario su Puff Daddy. I pubblici ministeri chiedono per domani 3 ottobre la condanna dell’ex magnate dell’hip hop a più di 11 anni di carcere. I legali hanno depositato gli atti martedì 30 settembre mattina, insieme alle lettere di alcune delle sue accusatrici che descrivono come la sua violenza e le sue richieste abbiano avuto un impatto sulle loro vite. Il 55enne è rimasto in carcere dalla sua condanna di luglio per accuse legate alla prostituzione per aver organizzato il viaggio di escort maschili in hotel o residenze, dove li indirizzava ad avere rapporti sessuali con le sue fidanzate.
Gli incontri sessuali, che duravano intere giornate e alimentati dalla droga, venivano spesso filmati dall’imputato. Gli avvocati difensori hanno chiesto che la pena non superi i 14 mesi.
I testimoni chiave contro Puff Daddy, tra cui l’ex fidanzata di lunga data Casandra “Cassie” Ventura, stanno esortando il giudice federale a respingere la clemenza per il magnate dell’hip-hop in occasione della sentenza di domani, affermando di “temere per la propria incolumità se verrà liberato”.
L’accusa ha allegato martedì lettere di Cassie, dei suoi genitori e di altre quattro persone a una memoria scritta, con la quale chiede che Puff Daddy venga condannato ad almeno 11 anni e 3 mesi di carcere per la sua condanna a due capi d’imputazione legati alla prostituzione.
Assente all’appello un’ex fidanzata che ha testimoniato sotto lo pseudonimo di Jane. Come Cassie, ha affermato che Combs l’ha sottoposta per diversi anni a spettacoli sessuali diurni, alimentati da droghe, con prostitute che l’uomo guardava e spesso filmava. Martedì sera, il giudice Arun Subramanian ha respinto la richiesta del condannato di eliminare la condanna, respingendo la tesi dei suoi avvocati secondo cui era “un pornografo amatoriale” – non un escort – e che il verdetto di colpevolezza viola i suoi diritti sanciti dal Primo Emendamento.
“Un’attività illegale non può essere riciclata in un’attività protetta dalla Costituzione”, ha scritto la Subramanian.
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