Processo Stige, quando la giustizia diventa terreno di scontro politico

  • Postato il 7 dicembre 2025
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Processo Stige, quando la giustizia diventa terreno di scontro politico

Attacchi ai magistrati dopo il processo Stige divenuto terreno di scontro sulla giustizia, ma la tesi del patto tra politica e mafia regge


CROTONE – Sembra necessario fare un po’ di chiarezza dopo che il maxiprocesso Stige è divenuto terreno di scontro politico sulla giustizia, in piena campagna referendaria. C’è chi sostiene che alcuni consigli comunali non andassero sciolti. Il riferimento è al fatto che, stando alla pronuncia della Corte di Cassazione, non reggerebbe il patto tra politica e clan e sono stati assolti Nicodemo Parrilla e Michele Laurenzano, rispettivamente ex sindaci di Cirò Marina e Strongoli. Non reggerebbe nemmeno la tesi della cappa mafiosa sull’economia, se imprenditori destinatari di interdittive vengono assolti. C’è chi accusa i pm di “irresponsabilità” o di “violenza istituzionale”, perché avrebbero inopinatamente disposto arresti senza alcun criterio. Anche se occorrerebbe precisare che gli arresti vengono disposti da giudici terzi come i gip.

IL CASO PARRILLA

Veniamo, ad esempio, al caso dell’ex sindaco Parrilla ed alle sue vicende processuali. Il Tribunale del Riesame di Catanzaro, in parziale riforma dell’ordinanza che aveva emesso il gip dello stesso Tribunale, riqualificò l’accusa di associazione mafiosa in concorso esterno sostituendo la misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. La gravità indiziaria era stata pertanto riconosciuta sia dal gip del Tribunale di Catanzaro che dal Tribunale del Riesame. Non si comprende perché addebitare, quindi, oggi, la responsabilità del suo arresto esclusivamente alla Procura di Catanzaro e, in particolare, al procuratore Nicola Gratteri.

MOTIVAZIONE LOGICA

Parrilla fece ricorso avverso l’ordinanza del Riesame. La Corte di Cassazione respinse il ricorso rilevando che “per mezzo di una motivazione completa e logicamente ineccepibile” il Tribunale del Riesame di Catanzaro sosteneva validamente come “alla base dei risultati elettorali che hanno portato Parrilla a ricoprire l’incarico di sindaco di Cirò Marina fosse siglato uno specifico accordo all’esito del quale il sindaco e l’amministrazione comunale tutta avevano piegato gli interessi pubblici a quelli della cosca”. Come? “Attraverso plurime attività che, non casualmente, avvantaggiavano sodali e parenti stretti degli appartenenti alla associazione mafiosa.”

Il Tribunale penale di Crotone ha condannato l’ex sindaco Parrilla così come l’ex sindaco di Strongoli. Entrambi assolti in secondo grado con sentenza confermata in Cassazione. L’accusa di “irresponsabilità” dovrebbe forse essere rivolta ai giudici di primo grado e a tutti i giudici cautelari, compresi quelli in Cassazione?

PROVE MONUMENTALI

La Sezione II della Corte di Cassazione che ha motivato la sentenza emessa nel troncone processuale svoltosi col rito abbreviato ha parlato di «compendio istruttorio monumentale» legato a «condivisibili argomenti di ordine razionale». Nessun dubbio, anche secondo la sentenza di legittimità che ha definito il troncone ordinario, circa l’operatività della super associazione mafiosa cirotana. Pene elevate, ormai definitive, inflitte a capi, plenipotenziari e gregari di una cosca egemone nell’Alto Jonio crotonese e cosentino, con ramificazioni in Nord Italia e in Germania.

Ma allora è possibile sostenere che, sia nel filone processuale del rito abbreviato che in quello ordinario, siano condannati mafiosi conclamati, mentre sono assolti politici e colletti bianchi che soltanto la Procura di Catanzaro voleva accusare?  Sarebbe riduttiva anche questa chiave di lettura.
Non è corretto, per esempio, affermare che non regge la tesi accusatoria del patto tra politica e clan.

COMUNI SCIOLTI

Vediamo proprio il caso del Comune di Cirò Marina, il più grosso dei cinque Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose in seguito ad accertamenti scaturiti da risultanze dell’inchiesta che nel gennaio 2018 portò a 170 arresti. L’allora prefetta di Crotone Cosima Di Stani sciolse l’ente locale de plano, non ritenendo che ci fosse bisogno del filtro di una commissione d’accesso. Del resto, erano stati arrestati il sindaco in carica Nicodemo Parrilla e il suo predecessore, Roberto Siciliani, il vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici, Giuseppe Berardi, il presidente del consiglio comunale Giancarlo Fuscaldo e il consigliere comunale Dino Carluccio. E dalla voluminosa ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip distrettuale di Catanzaro emergeva un contesto di pesanti ingerenze del clan nella vita politico-amministrativa. Si sciolgono consigli comunali per molto meno, e non solo in Calabria.

LEGGI ANCHE: Stige, per la Cassazione il patto tra politica e clan non c’era: definitive 18 assoluzioni e 20 condanne – Il Quotidiano del Sud

POLITICA E MAFIA

Come è andata a finire processualmente per gli ex amministratori? Questo l’esito del rito ordinario. L’ex sindaco Parrilla, condannato in primo grado a 13 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, assolto in Appello e la Cassazione ha fatto divenire definitiva la pronuncia assolutoria. Ma il suo vice, l’ex assessore Berardi con delega ai Lavori pubblici, condannato a 13 anni. Inoltre, l’ex consigliere Carluccio condannato a 3 anni. Nel rito abbreviato, invece, l’ex presidente del consiglio comunale Fuscaldo è assolto ma l’ex sindaco Siciliani condannato a 8 anni. Quindi un sindaco, un vicesindaco peraltro imparentato con i vertici del clan e un consigliere del Comune di Cirò Marina sono ritenuti colpevoli in via definitiva per fatti commessi nell’epoca focalizzata dalla maxi inchiesta.

Il pentito Gaetano Aloe (figlio di boss) aveva tirato in ballo anche i colletti bianchi affermando che la cosca ha sempre controllato le elezioni a Cirò Marina. Ma nel patrimonio conoscitivo degli ermellini non sono entrate le sue rivelazioni essendo respinto il ricorso dell’accusa che chiedeva la riapertura dell’istruttoria.

CAPPA SULL’ECONOMIA

Nessuno ricorda le numerose condanne di imprenditori contigui alla cosca, che ne delineano l’influenza economica non solo in Italia (è il caso del parmense Franco Gigliotti, originario di Crucoli) ma anche in Germania. Deve necessariamente parlarsi di flop, seguendo un pallottoliere che pure nel filone ordinario aveva portato, quantomeno in primo grado, alla condanna di 53 imputati, compresi politici ed imprenditori. Ma a nessuno, oggi, viene in mente di definire irresponsabili i giudici di primo grado.

I NUMERI

Forse è anche il caso di ripercorrere un po’ di numeri. Certo, le assoluzioni, anche di imputati di spicco, hanno un peso specifico importante. Il Quotidiano lo ha sempre rilevato, evidenziando la discrasia tra il verdetto del Tribunale penale di Crotone, conclusosi con pene per oltre 6 secoli, e gli altri gradi di giudizio. Ma le condanne sono superiori alle assoluzioni. Nel rito ordinario, a fronte di 18 assoluzioni definitive, 20 le pene passate in giudicato. Cinque le posizioni per le quali sarà necessario l’appello bis, tra cui quella di Silvio Farao, uno dei leader storici del clan che nel primo processo di secondo grado era assolto. Era uno dei tre componenti del triumvirato al vertice del “locale” di ‘ndrangheta con in testa il fratello Peppe, il capo supremo, condannato a 24 anni.

SCUOLE DI PENSIERO

Appena il caso di rammentare l’altra “scuola di pensiero”. Nel filone del rito abbreviato sono passate in giudicato 41 condanne e 10 assoluzioni. La Cassazione dispose un nuovo processo per 12 imputati ma non per l’accusa di associazione mafiosa, poiché questa parte della sentenza è divenuta irrevocabile anche per loro. L’appello bis si è concluso, nei giorni scorsi, con l’assoluzione di 2 imprenditori e 10 condanne, tra cui quelle a 20 anni ciascuno per pezzi grossi del clan come Cataldo Marincola (che completa il “triumvirato”) e Peppe Spagnolo detto “’u Banditu”. 

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