Primo accordo sulle emissioni in mare: una tassa globale sulla CO2 delle navi. Perché non è abbastanza

  • Postato il 13 aprile 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

L’Organizzazione marittima internazionale (Imo) delle Nazioni Unite trova un accordo sulla decarbonizzazione del settore: dal 2028 le compagnie di navigazione dovranno pagare per la CO2 emessa dalle navi. Il risultato è piuttosto lontano dall’imposta sul carbonio in cui speravano i paesi poveri e più esposti agli effetti dei cambiamenti climatici, ma resta comunque il primo significativo schema globale di tariffazione del carbonio a cui si è arrivati dopo oltre dieci anni di lavori e discussioni. Al termine dei negoziati del Comitato per la protezione dell’ambiente marino (MEPC 83) dell’Imo, che si sono svolti a Londra con la partecipazione di 175 Paesi, si è arrivati a un accordo di compromesso. Nel 2023, l’Imo aveva concordato la necessità di adottare misure economiche, come la fissazione del prezzo del carbonio, e tecniche, come il Global Fuels Standard (Leggi l’approfondimento). Obiettivo: la riduzione delle emissioni del settore del 20% entro il 2030, dell’80% entro il 2040 e il raggiungimento delle zero emissioni al 2050. Durante i negoziati tecnici che si sono svolti tra marzo e aprile 2025, i Paesi hanno presentato una strategia che comprendesse entrambe le misure. In plenaria 63 Paesi hanno votato a favore, 16 contrari e 25 astenuti. Gli Stati Uniti hanno interrotto i negoziati chiarendo che il presidente Usa, Donald Trump, si oppone all’imposta sulle emissioni. Che, però, l’accordo prevede. Le navi dovranno pagarla, aumenterà oltre una certa soglia e le compagnie potranno anche scambiare crediti di carbonio. Alcuni dettagli, come la distribuzione delle entrate, devono ancora essere finalizzati. L’adozione formale, infatti, è prevista per l’ottobre di quest’anno.

I punti chiave dell’accordo – Il sistema approvato introduce, a partire dal 2028, degli obiettivi di riduzione delle emissioni per le navi. L’imposta varia se si supera l’obiettivo ‘di base’ rispetto all’intensità di carbonio, più facile da rispettare o l’obiettivo ‘di conformità diretta’, più stringente. Chi non rispetta gli obiettivi potrà pagare acquistando Unità Correttive (Remedial Units, RU). Al contrario, le navi che supereranno gli obiettivi di decarbonizzazione potranno generare Unità in Eccesso (Surplus Units, SU), da utilizzare in futuro o vendere ad altre navi. Un sistema di scambio di crediti a tutti gli effetti. Esempio: una nave che continua a utilizzare combustibili bunker convenzionali (fossili) dovrà pagare una tassa di 380 dollari per tonnellata sulle emissioni più intense e 100 dollari per tonnellata sulle emissioni rimanenti al di sopra di una soglia inferiore. Il regolamento, basato sull’intensità di carbonio, consentirà inizialmente l’utilizzo del Gnl fossile, ma questo combustibile dovrebbe essere sempre più penalizzato nel corso del prossimo decennio. Tutte le navi del mondo dovranno iniziare a utilizzare una miscela di combustibili a minore intensità di carbonio, oppure pagare per l’eccesso. Sono inoltre previsti incentivi finanziari per l’uso di carburanti a emissioni zero o quasi zero.

Le posizioni dei Paesi e il voto in plenaria – Una coalizione di Paesi del Pacifico, dei Caraibi, dell’America Centrale e dell’Africa sta spingendo per una copertura totale delle emissioni all’interno del quadro ora concordato, per esempio attraverso un prelievo universale sul carbonio, con una distribuzione delle entrate all’interno e all’esterno del settore, anche per l’adattamento e la mitigazione. A questi si sono opposti Cina, Brasile, Arabia Saudita e altri Stati petroliferi che non sono d’accordo con un prelievo forfettario. I Paesi dell’Ue, che hanno fatto marcia indietro sulla loro proposta di prelievo forfettario, hanno contribuito a indebolire il sostegno della maggioranza di oltre 60 Paesi per un prelievo universale sulle emissioni di carbonio, che si era formato prima dei colloqui. Dopo le obiezioni di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altri Stati petroliferi, i Paesi hanno votato il compromesso proposto dall’Imo. Tra i 63 Paesi che hanno votato a favore, ci sono l’Unione europea, Brasile, Cina, India, Giappone, Corea, Sudafrica, Singapore, Norvegia. Tra i 16 contrari Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Venezuela, Russia e altri Stati petroliferi. Tra i 25 astenuti, gli Stati insulari del Pacifico (Kiribati, Figi, Repubblica delle Isole Marshall, Isole Salomone, Tonga, Tuvalu, Nauru, Palau e Vanuatu), Seychelles, Argentina. I rispettivi si sono rifiutati di sostenere un accordo che ritengono “farebbe troppo poco e troppo tardi per ridurre le emissioni del trasporto marittimo e proteggere le loro isole”.“Ci hanno chiesto di accontentarci di meno, mentre siamo noi a perderci di più. Non negozieremo per rinunciare al nostro futuro” ha commentato Simon Kofe, Ministro dei Trasporti di Tuvalu.

La riduzione delle emissioni – Secondo Umas, società di consulenza specializzata nel trasporto marittimo commerciale, questo accordo raggiungerà solo l’8% di riduzione assoluta delle emissioni entro il 2030, non raggiungendo gli obiettivi fissati dall’Imo nella Strategia rivista nel 2023 (riduzione delle emissioni di almeno il 20%, con l’obiettivo di raggiungere il 30% entro il 2030, e una transizione equa verso lo zero netto entro/intorno al 2050). La misura non sarà sufficiente a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione neppure per Carlo Tritto, Sustainable Fuels Manager per Transport & Environment Italia. “Nonostante un contesto geopolitico turbolento – spiega – l’accordo crea un contesto regolatorio favorevole per l’adozione di carburanti alternativi per il trasporto marittimo, ma saranno i biocarburanti di prima generazione (come l’olio di palma o di soia), che causano la deforestazione delle foreste, a ricevere il maggiore impulso per il prossimo decennio”. In assenza di migliori incentivi ai carburanti sintetici derivati da idrogeno verde, spiega Tritto, “sarà impossibile decarbonizzare questo settore altamente inquinante. Ora la palla passa ai singoli Paesi – aggiunge – che dovranno adottare politiche nazionali per offrire una possibilità concreta ai carburanti verdi”. Il compromesso, inoltre, dovrebbe raccogliere fra i 30 e i 40 miliardi di dollari entro il 2030 (10 miliardi di dollari all’anno), mentre i paesi poveri speravano che l’imposta avrebbe portato circa 60 miliardi di dollari all’anno. “Questa settimana, gli Stati membri dell’Imo hanno sprecato un’occasione d’oro per il settore del trasporto marittimo globale di mostrare al mondo come può invertire la rotta del catastrofico riscaldamento climatico, rendendo irraggiungibili i propri obiettivi, ovvero eliminare le emissioni di gas serra del settore senza lasciare indietro nessun paese” ha dichiarato Delaine McCullough, presidente della Clean Shipping Coalition.

L'articolo Primo accordo sulle emissioni in mare: una tassa globale sulla CO2 delle navi. Perché non è abbastanza proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti