Popillia japonica, l’insetto che sta mettendo in ginocchio gli agricoltori in Piemonte: “Impossibile eradicarlo”
- Postato il 13 agosto 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Somiglia a una gemma colorata l’insetto che quest’estate sta mettendo in ginocchio i coltivatori nel Torinese. Secondo le stime di Coldiretti, ammontano a 16 milioni di euro i danni prodotti dalla Popillia japonica, un coleottero originario del Giappone che si nutre di vegetali e ha infestato in modo impressionante molte aree agricole, tra cui le vigne e i campi di mais del Canavese. Colpita anche l’area di Caluso (Ivrea), dove si produce l’Erbaluce, uva a bacca bianca usata per produrre vini secchi, spumanti, vini dolci e passiti Docg. “Ho tre ettari di vigneti e il 40% è stato mangiato”, dichiara Carlotta Picco, produttrice di Caluso. Per il comparto vitivinicolo il danno sarebbe di circa dieci milioni di euro. Non sorprende perciò che la Popillia spaventi almeno quanto i dazi di Trump. Sui numeri però gli esperti invitano alla prudenza. “Su vite e nocciolo la produzione si può avere comunque anche se una parte delle foglie sono state erose o scheletrizzate: la vite per esempio sopporta una defogliazione fino al 25-30% senza impatti evidenti su produzione e qualità del vino”, spiega Giovanni Bosio, agronomo e collaboratore del Servizio Fitosanitario della Regione Piemonte. Anche su mais e soia i danni sarebbero limitati e comunque difficili da quantificare. Più critica è la situazione per le coltivazioni di pesche, susine e piccoli frutti, perché gli adulti attaccano anche i frutti in maturazione, che non possono più essere venduti.
Lo scarabeo giapponese è presente in Italia sin dal 2014 ed è stato inserito dall’Unione europea nella lista dei 20 “organismi nocivi da quarantena” prioritari. Le larve danneggiano le radici delle piante, mentre gli adulti si nutrono di foglie, fiori e frutti (le specie vulnerabili sono oltre 300). L’Ue ha adottato due regolamenti in materia, uno nel 2019 e uno nel 2023, con indicazioni agli Stati per monitorare la diffusione del coleottero e adottare all’occorrenza misure di eradicazione e contenimento. Anche l’Italia nel 2016 si è dotata di un tavolo tecnico-scientifico ad hoc e lo scorso anno il ministero dell’Agricoltura ha adottato un Piano di emergenza nazionale. Già nel 2014 è stata istituita una zona rossa attorno ai focolai registrati in Lombardia e Piemonte, che ha coinvolto negli ultimi anni alcuni Comuni dell’Emilia-Romagna e della Valle d’Aosta, mentre nel 2023 si è aggiunto un nuovo focolaio in Friuli-Venezia Giulia. Oggi non è più possibile eradicare la specie alloctona e le Regioni possono solo sperare di contenerne la diffusione con trappole con reti insetticide, trattamenti con nematodi e funghi entomopatogeni contro le larve nei terreni e controlli , con automezzi nelle aree a rischio di diffusione passiva su lunghe distanze (centri di logistica, parcheggi). Ma anche promuovendo incontri informativi per istruire tecnici e coltivatori sulle tecniche di lotta contro questo nuovo insetto nocivo.
Le misure di contenimento in Piemonte sono partite nel 2016, ma sono riuscite tutt’al più a rallentare l’avanzata dell’insetto. Lo testimoniano i numeri: nel 2015 nella regione i Comuni infestati erano sei, nel 2020 sono saliti a 255. Oggi l’80% del territorio regionale è dipinto di rosso sulle mappe. “Ogni anno l’areale avanza di circa 8-10 chilometri: presto tutto il Nord Italia sarà coinvolto e più in generale tutto il centro Europa”, spiega Alberto Cugnetto, enologo specialista in viticoltura e coordinatore di un progetto di ricerca a cui partecipano l’Università di Torino, il Politecnico e diverse aziende. L’obiettivo, se la ricerca verrà finanziata, è mettere a punto un metodo per monitorare la diffusione degli adulti nelle coltivazioni con dei sensori e somministrare i fitofarmaci in dosi programmate. Anche la divulgazione però può fare la sua parte. “La Regione, come pure l’Accademia di Agricoltura di Torino nell’ambito di un progetto Erasmus, hanno promosso nell’ultimo anno numerosi incontri divulgativi per i coltivatori, ma la partecipazione è stata spesso scarsa. Il risultato è che oggi molti ricorrono al fai-da-te, rischiando anche di peggiorare la situazione. Per esempio non bisognerebbe usare gli insetticidi alla prima comparsa e posizionare le trappole come extrema ratio. Invece c’è chi, preso dal panico, le acquista su internet a caro prezzo. Dopo dieci minuti sono sature di insetti e non servono più a niente”.
L’agricoltura biologica invece è messa con le spalle al muro. “Gli insetticidi di sintesi sono gli unici che funzionano – spiega Bosio, che ha testato con l’associazione Vignaioli Piemontesi almeno 20 pesticidi naturali nell’ambito del progetto europeo Horizon “IPM Popillia” – Inoltre in Europa la revisione delle sostanze usate in agricoltura ha portato a eliminare circa il 70% degli insetticidi a disposizione”. Morale? Con il coleottero nipponico bisognerà convivere, applicando tempestivamente e nel modo corretto le contromisure a disposizione. L’ingresso di nuovi insetti in areali lontani rispetto a quelli d’origine del resto è un fenomeno che va aumentando di anno in anno. “È legato alla globalizzazione e alle reti di trasporto sempre più capillari. Alcune nuove specie non si adattano, altre proliferano e diventano pericolose. Ma è praticamente impossibile effettuare controlli minuziosi a tappeto in aeroporti e porti per impedirne l’ingresso, si bloccherebbero i flussi commerciali e turistici”.
Coldiretti ora chiede dei ristori per le perdite subite dai coltivatori. Per i tecnici però è una soluzione impraticabile, vista la portata del fenomeno. L’unica chance sono le sovvenzioni regionali per l’acquisto di reti anti-insetto, che potrebbero mettere al riparo frutteti e orti e aiutare chi pratica l’agricoltura biologica, essendo rimedi “meccanici”.
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