Ponte sullo Stretto, Piantedosi: “Prevenzione antimafia rafforzata”. Ma Melillo: “Servono più risorse”

  • Postato il 17 settembre 2025
  • Mafie
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il ministro dell’Interno sostiene di aver rafforzato gli strumenti per prevenire l’infiltrazione degli interessi mafiosi nella costruzione del Ponte sullo Stretto. Ma il procuratore nazionale antimafia non è d’accordo: servono più risorse per monitare un’opera di questo valore. È un serrato botta e risposta quello andato in onda tra Matteo Piantedosi e Giovanni Mellillo all’università di Messina. Il titolare del Viminale e il capo della procura di via Giulia hanno dibattuto durante un convegno sul crimine transnazionale, organizzato nella città siciliana dall’europarlamentare M5s Giuseppe Antoci, dal procuratore peloritano Antonio D’Amato e dalla rettrice dell’ateneo Giovanna Spatari.

Dopo aver discusso di armonizzazione dei sistemi penali europei, di criptovalute e dell’uso dell’intelligenza artificiale nelle indagini sul riciclaggio di denaro, una domanda ha riguardato anche i rischi connessi alla costruzione del Ponte sullo Stretto. “Non ci sfugge il rischio di infiltrazioni mafiose e non solo perché il ponte si fa in Sicilia e in Calabria, ma sarà una grande occasione per fare capire a tutti che l’Italia è in condizione di costruirlo senza cedere al pericolo che i lavori di realizzazione siano inquinati da interessi criminali”, ha sostenuto Piantedosi. “Il nostro Paese – ha continuato – ha rafforzato meccanismi preventivi sia a livello territoriale sia centrale, con strutture dedicate al presidio sugli appalti pubblici e non solo. Noi stiamo cercando di valorizzare un’esperienza ormai consolidata, che fa capo al ministero dell’Interno ma che si avvale dei contributi dell’autorità giudiziaria, delle forze di Polizia, della Procura nazionale antimafia che è presente all’interno del Ccasiip, cioè l’organismo che emana le linee di intervento in questi casi. C’è il grande tema di rendere tutto questo compatibile con le indagini giudiziarie, in qualche modo alcune procure si sono già mosse, la sfida è trovare un punto di equilibrio tra il voler preservare la bontà dell’opera e il dover intercettare ogni tentativo d’infiltrazione”.

Una versione che non ha convinto Melillo. “Il ministro sa che può contare sulla reale collaborazione dell’ufficio della Procura nazionale e dell’ufficio dei procuratori distrettuali nella sua azione di prevenzione, però i ruoli sono distinti – ha detto il capo della Dnaa – Noi non facciano indagini preventive, gli uffici a cui ha fatto riferimento il ministro non hanno aperto delle finestre sul ponte, lavorano semplicemente sulle dimensioni delle organizzazioni mafiose che sono proiettate sugli appalti, su quelle componenti diverse da quelle deputate all’esercizio della violenza e della intimidazione, quelle più sofisticate delle organizzazioni criminali”. Secondo Melillo quello sul ponte è un lavoro “che ha bisogno di molto più degli esiti dell’azione di prevenzione, ha bisogno di tecnologie, mezzi e risorse adeguate anche in relazione alla dimensione di questo flusso di spesa pubblica”. Questo perchè il nostro “è un sistema di prevenzione che ha luci e ombre, non si nutre del monitoraggio finanziario delle grandi opere, previsto dal 2014 che non ha dato vita a un sistema operativo. Credo che da questo punto di vista ci sia bisogno di un mandato politico forte, di una implementazione di questo strumento essenziale e dell’azione di contrasto”. Poi il magistrato ha avvertito: “Negli anni ’90, da pubblico ministero, ho visto gli effetti della trasformazione della camorra conseguenti alla stagione dello sfruttamento delinquenziale dei flussi di denaro destinati alla ricostruzione per il post terremoto, la camorra si è letteralmente trasformata, è diventata una galassia di imprese. Tuttora conserva questa profonda natura, allora le indagini furono tardive e incomplete. Oggi abbiamo il dovere di renderle tempestive, efficaci ed effettive. Il mio ufficio ha la responsabilità di sostenere l’azione dei procuratori distrettuali su questo versante, perchè dopo questa vicenda la ‘ndrangheta e Cosa Nostra non saranno più le stesse”. Il rischio, secondo Melillo, è che “dinanzi ai deficit della prevenzione poi si punti il dito contro l’azione del pubblico ministero indicandolo come oppositore dello sviluppo economico-sociale del Paese, contrario alle Grandi opere. Un clima già visto che non vorrei rivedere”.

Il dibattito sulla procura europea

Quello tra Piantedosi e Melillo non è stato l’unico botta e risposta della giornata. Anche due magistrati come Maurizio De Lucia e Calogero Ferrara si sono trovati a dibattere – seppur durante panel diversi – sul ruolo della Procura europea. “Corre il rischio di creare un cortocircuito per la possibile mancata circolazione di informazioni a livello internazionale e questo è un lusso che nessuno può permettersi, né l’Italia, né l’Europa”, ha sostenuto il procuratore di Palermo. “Eppo va sviluppata, curata e apprezzata, ma anche ripensata nei suoi aspetti organizzativi e di funzionamento”, ha aggiunto De Lucia. Ferrara, però, non è d’accordo. “La procura europea non è un’agenzia, ma un’istituzione giudiziaria diretta espressione dell’Ue che però resta autonoma e indipendente -ha spiegato il procuratore europeo delegato – Stiamo cercando di lavorare con un sistema di cooperazione giudiziaria assolutamente innovativo, perché abbiamo un singolo ufficio che opera contemporaneamente in 24 Paesi dell’Unione (3 sono rimasti fuori). Noi ovviamente cerchiamo di esportare il nostro modello di coordinamento, ma bisogna considerare che Eppo ha appena tre anni, nel giro di poco tempo la nostra banca dati conterrà una mole di dati infinitamente superiore rispetto a quelle attualmente a disposizione delle procura distrettuali e della Dna”. Ferrara ha poi spiegato che oggi “più della metà dei casi di Eppo sono italiani, non perché gli italiani commettano più frodi ma perché indaghiamo di più grazie agli strumenti legislativi e alla capacità investigative delle forze di polizia Italiane”.

In apertura del dibattito è intervenuta anche Roberta Metsola. “Per me era importantissimo essere oggi qui a Messina, in una terra che ha perso degli eroi, come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, ma anche Rocco Chinnici e tutti coloro che hanno perso la vita”, ha detto la presidente del Parlamento Ue. “Iniziative come queste – ha aggiunto – ci insegnano quanto l’armonizzazione rappresenti un valore aggiunto quando si parla di crimini che superano i confini nazionali. La criminalità organizzata prospera sulle falle create da normative non allineate, si insinua nei diversi sistemi giuridici, sfrutta le incoerenze elude i controlli. Noi abbiamo sostenuto con convinzione la direttiva sul recupero e la confisca dei beni, una normativa storica ispirata al modello italiano che rafforza i nostri strumenti comuni per colpire i patrimoni illeciti e restituirli alla società. Ma dobbiamo e possiamo fare di più”. “La direttiva anticorruzione, in fase avanzata di negoziazione, può e deve rappresentare il salto di qualità nella lotta al crimine organizzato, per cui auspichiamo che la sua approvazione arrivi presto e con la giusta ambizione”, ha detto invece Antoci alla fine dei lavori. L’eurodeputato ha definito il convegno come “uno spartiacque nella lotta alle mafie. Così come settant’anni fa, con la Conferenza di Messina del 1955, questa città ritorna protagonista di una svolta epocale. Quell’eredità simbolica serve per affrontare oggi una sfida diversa, ma non meno decisiva e cioè quella della lotta alle associazioni mafiose“. Durante il dibattito sono stati ricordati i giornalisti Daphne Caruana Galizia (Metsola l’ha definita “la mia amica uccisa dalla corruzione a Malta”), Beppe Alfano, assassinato da Cosa Nostra a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1993, Jan Kuciak, ammazzato in Slovacchia nel 2018 da killer inviati probabilmente dalla ‘ndrangheta, e l’ex parlamentare messinese Angela Bottari, deceduta nel 2023.

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Il Fatto Quotidiano

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