Pochi candidati ai concorsi per Polizia e Carabinieri: il posto fisso non è più competitivo
- Postato il 13 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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di Luca Spagnolo, sindacalista
I dati non mentono, e quelli che emergono dai recenti concorsi per Polizia di Stato e Carabinieri sono un sonoro schiaffo in faccia a chi racconta favole. I numeri parlano chiaro: per 4.617 posti in Polizia, gli aspiranti sono tra i 17.000 e i 20.000, mentre per 4.918 posizioni nei Carabinieri le domande oscillano tra i 12.000 e i 15.000. Tradotto per i non addetti ai lavori: lo Stato offre una poltrona sicura e uno stipendio a fine mese, eppure i giovani italiani preferiscono lasciarla vuota. Un tempo si facevano le file per un posto in divisa, oggi le si fanno per altri motivi.
E allora, qual è il problema? Ci raccontano che i giovani non vogliono più faticare e che cercano la scorciatoia. La verità, come al solito, è più semplice e scomoda. Il “posto fisso” statale, un tempo sogno di ogni famiglia, non è più competitivo. In un mondo dove la paga iniziale in divisa non basta per vivere in una grande città, e dove il settore privato – soprattutto quello tecnologico e digitale – offre salari più alti e prospettive globali, la scelta è ovvia. Chi ha maggiore ambizione preferisce inseguire un’opportunità, anche all’estero, piuttosto che una carriera rigida e mal pagata.
Ma non è solo una questione di soldi. È una questione di fiducia. I giovani di oggi non si fidano fino in fondo delle istituzioni. Vedono agenti e carabinieri in televisione, a volte nel ruolo di aguzzini, altre nel mirino delle polemiche e della magistratura con il classico “Atto dovuto” giudiziario. Le nuove generazioni percepiscono uno Stato che sembra più interessato a limitare le libertà che a difenderle. Il valore del “servire la patria”, di cui si riempiono la bocca i boomer e i patrioti dell’ultima ora, è svanito. Non è colpa della scuola, né dei genitori: è colpa di un sistema che si è logorato da solo.
Infine, i giovani che affrontano la formazione nelle scuole delle forze dell’ordine hanno la sensazione di essere sul set del sequel di “Ritorno al futuro”. Si ritrovano a fare un balzo temporale nel passato, dove la formazione professionale è secondaria al tentativo di inculcare nella generazione dei nativi digitali tradizioni militari ottocentesche. Un approccio così distante culturalmente non può che diventare un ostacolo, a volte anche insormontabile, anziché un ponte con la società contemporanea.
Le società a partecipazione statale, come Ferrovie dello Stato Italiane, assumono il personale attraverso concorsi pubblici, con corsie preferenziali per i neodiplomati che ottengono il massimo dei voti. Nello stesso tempo, nei concorsi delle forze dell’ordine, il calo del numero dei candidati abbasserà drasticamente il punteggio di sbarramento delle prove preliminari, con un conseguente decremento del livello culturale di base della categoria dei lavoratori della sicurezza, pregiudicando potenzialmente la qualità della funzione pubblica del comparto.
Le forze dell’ordine hanno provato a svecchiare la loro immagine usando i social media, ma non basta. I follower non riempiono le caserme. Ci vuole un’autentica rivoluzione, un ripensamento del ruolo dello Stato e della qualità di chi lo rappresenta. Altrimenti, l’Italia si ritroverà presto senza “guardie”, con la porta aperta e i ladri in casa, a chiederci perché nessuno ha voluto difenderla.
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