Pisikk du role – La diplomazia della misericordia di papa Francesco
- Postato il 21 aprile 2025
- Chiesa
- Di Formiche
- 1 Visualizzazioni

Poche ore fa le agenzie hanno battuto la notizia diffusa dal cardinale Farrel “con profondo dolore”. Mi ha assalito un groppo, un senso di disagio, uno smarrimento. Il pensiero è andato ai giorni del Gemelli, a quel mercoledì dopo il ricovero di cui si è detto spesso, dopo, spiegando che il papa era stato ad un passo dalla morte. Ho pensato a quel ritorno in vita come al compimento di una missione lasciata in sospeso, un reinvio del Padre, per completare, chessò, un disegno di pace che gli uomini da soli non riescono più a concepire. Mi erano venuti in mente quei film americani dove gli esseri umani prendono la forma degli angeli, come “il Paradiso può attendere”. Troppo poco, però, il Paradiso ha atteso questa volta: solo 66 giorni, per la precisione prima di reclamarlo.
Credo che Papa Francesco sentisse nettamente che l’alito vitale fosse in esaurimento e credo che anche per questo avesse deciso di non perdere un solo attimo della vita che gli era rimasta per entrare in rapporto “fisico” con ciò che ha più amato: l’umanità in tutte le sue sfaccettature e declinazioni. A chi non l’ha amato e a chi ha invocato, in pubblico o in privato, le sue dimissioni nei giorni del Gemelli, proporrei questa chiave per comprendere la sua “resistenza”, oltre, forse, alla volontà di non fare delle dimissioni una regola fissa, subito dopo Benedetto XVI. Ci sarà tempo per fare bilanci sui dodici anni di papato, sul senso del suo apostolato, che ha prodotto 4 encicliche, una quarantina di Costituzioni apostoliche, 35 Motu proprio, numerose bolle apostoliche e lettere pontificie.
Ma se si volesse da subito cercare una chiave per ricordarlo che fosse comprensibile a tutti, questa non potrebbe che essere la parola “misericordia”. È una parola bellissima, poco circolante nel lessico quotidiano, che sembra riposta in una sacrestia che sa d’incenso; una parola che viene dal latino (miserĭcors), che vuol dire provare compassione per l’infelicità dell’altro e agire per soccorrerlo. È la parola che fa la differenza, per esempio, tra il cattolico e il calvinista: per il primo il Paradiso non si guadagna soltanto con il solipsismo di un’integrità che non si sporca le mani nel mondo, ma deve impegnare ognuno in azioni concrete in soccorso del fratello che ne ha bisogno. Per il calvinista l’uomo retto viene già premiato da Dio facendolo ricco. Basterà che si conservi nella fede e nella preghiera per guadagnarsi il Paradiso. Non a caso Weber riconosce nel calvinismo la religione del capitalismo liberista. Che sembra oggi aver preso campo un po’ dappertutto e specialmente nelle nostre menti, ispirate dal capitalismo digitale dei social. Non a caso Francesco indisse nel 2015 un Giubileo della Misericordia, ed emanò la bolla Misericordiae Vultus.
A chi ha brandito contro di Lui l’origine latino-americana per rappresentarlo come testimonial in Occidente della teologia della liberazione, quasi a raccontarne una vocazione eversiva, bisognerà ricordare che, a differenza dei teologi alla Gutierrez che consideravano necessario il ridimensionamento della spiritualità della Chiesa per la scelta toto corde dell’azione, Bergoglio non affievolì la dimensione spirituale, senza, però, mai trascurare la compassione e l’impegno fattuale. Nei suoi 47 viaggi che lo portarono in 66 diverse nazioni, così come nelle visite pastorali nelle 49 città italiane, non cessò mai di scuotere la gente dal torpore in cui si precipita quando si cede all’assuefazione alla miseria, alla guerra, all’impotenza. Fino all’ultimo respiro ha recitato come una litania senza fine la sua supplica per far cessare le armi che colpiscono “l’amato popolo” dell’Ucraina, i palestinesi della Striscia di Gaza, i cittadini del Myanmar, le donne, gli uomini, i bambini di tutte le guerre che non conosciamo perché non hanno neppure il fragile onore di un passaggio nei tg. Né ha mai dimenticato i migranti, gli anziani, i malati, i carcerati.
Ho un ricordo molto nitido di una sua omelia del 26 di marzo 2014, rivolta ai parlamentari italiani, nella Basilica di San Pietro. Fin dalla prima lettura, un passo dal libro di Geremia che parla del “ dolore di Dio” per una generazione che aveva voltato le spalle al Creatore autogiustificando i propri peccati, papa Francesco lanciava un monito ai Legislatori mettendoli in guardia dalla corruzione. “È tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore, sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose..” disse, lasciando 493 parlamentari, compresi i presidenti e i diversi ministri, con la bocca amara.
Ecco: la sua era una “diplomazia della Misericordia”, ma non dell’ipocrisia. Grazie, papa Francesco. Per tutto.