Piano di Israele per Gaza, tutte le volte che Tel Aviv ha varcato le linee rosse di Onu e alleati

  • Postato il 6 maggio 2025
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Zone cuscinetto in territorio palestinese, cambi di governo, occupazioni e deportazioni. Niente di tutto questo è più un tabù per Israele se si parla della Striscia di Gaza. L’ultima versione del piano del governo Netanyahu per l’enclave, approvata all’unanimità dal gabinetto di sicurezza, rappresenta la forma più estrema del progetto di conquista della striscia di terra incastonata tra Israele ed Egitto e solo l’ultimo esempio di numerose linee rosse varcate dal 7 ottobre 2023 a oggi.

Pochi giorni dopo la strage compiuta da Hamas è apparso chiaro che qualcosa sarebbe cambiato per sempre nella storia della Striscia di Gaza. Non si registrava ancora l’abnorme numero di vittime uccise da Israele tra la popolazione palestinese, non si conoscevano ancora i piani del governo Netanyahu, sommerso dalle critiche per le falle della sicurezza, sulla gestione del conflitto e non era ancora esploso lo scontro tra lo Stato ebraico e le Nazioni Unite sul rispetto del diritto internazionale, ma l’allora ministro della Difesa, Yoav Gallant, aveva già indicato verso quale direzione si era deciso di virare: “Puntiamo alla creazione nella Striscia di una nuova realtà di sicurezza sia per i cittadini di Israele sia per gli stessi abitanti di Gaza”. Parole criptiche che però facevano emergere la volontà di maggiore protagonismo di Tel Aviv nella Striscia. Allora non era chiaro, forse nemmeno all’esecutivo, se questo si sarebbe tradotto in un controllo sulle istituzioni, una presenza militare o una vera e propria occupazione.

Già in quei giorni, fine ottobre 2023, le parole del titolare della Difesa avevano provocato la reazione dell’Onu che ha in più occasioni ricordato come qualsiasi ulteriore occupazione, in qualsiasi forma, di territorio palestinese rappresentasse un’altra violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni Onu. Anche Joe Biden, appena nove giorni dopo l’attacco di Hamas, aveva chiesto a Netanyahu, pressato dalle frange più estremiste del suo governo, di non prendere in considerazione alcuna opzione di occupazione: “Sarebbe un grosso errore“, aveva detto nel corso di un’intervista a 60 minutes ricordando che “Hamas e gli elementi estremi di Hamas non rappresentano tutto il popolo palestinese”.

Le parole di Gallant, in quei mesi, scatenarono polemiche e scontri, ma non erano che un piccolo assaggio dell’escalation che sarebbe seguita. Già a inizio gennaio 2024, nemmeno tre mesi dopo, sempre il ministro poi rimosso per volere di Netanyahu nel novembre scorso aveva elaborato il suo piano: la ricostruzione della Striscia sarebbe stata affidata a una task force internazionale a guida statunitense con Unione europea, Egitto e Arabia Saudita, l’aspetto sicurezza gestito invece da Tel Aviv. Ma soprattutto rimaneva ancora saldo il dogma: “Saranno sempre i palestinesi a governare Gaza”, come richiesto da Stati Uniti ed Europa. Si trattava comunque di un ulteriore passo in avanti nel processo di occupazione che ha attirato altre critiche, ma che stuzzicava anche l’Autorità Nazionale Palestinese guidata dal presidente Abu Mazen, felice di poter cacciare Hamas da quei territori amministrati dalle elezioni del 2006 e ristabilirsi alla guida di un governo locale, seppur scarsamente legittimato tra la popolazione.

Sono bastate poche settimane, però, per registrare l’ennesima spinta all’occupazione israeliana. A fine febbraio 2024, un documento presentato al gabinetto di Sicurezza ipotizzava la creazione di un governo di “funzionari locali” per amministrare Gaza, ma con libertà d’azione per le forze armate israeliane, in nome della sicurezza, e la creazione di una “zona cuscinetto” sfruttando territori palestinesi, occupandoli de facto. Una soluzione che non piaceva, almeno allora, nemmeno all’amministrazione statunitense. A tutto ciò si aggiungeva anche la volontà di chiudere l’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (Unrwa).

Ottobre 2024. Dopo un anno di bombardamenti senza tregua la situazione umanitaria nella Striscia è ormai disastrosa. Con la popolazione alla fame, l’estrema destra avanza una proposta che viene accolta dal primo ministro: la gestione degli aiuti umanitari spetterà solo ed esclusivamente all’esercito israeliano che, nel frattempo, ha occupato ampie aree dell’enclave palestinese e porta avanti una prolungata operazione di terra. Obiettivo della proposta: togliere a Hamas il controllo sui (pochi) beni di prima necessità trasferiti nella Striscia.

Nonostante l’amministrazione Biden abbia tutt’altro che arginato i piani d’Israele su Gaza, è con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca che si è assistito a un completo cambio di paradigma. Un esempio su tutti: si è iniziato a parlare apertamente di deportazione di massa della popolazione palestinese. A introdurre il tema, già ipotizzato seppur non ufficialmente da alcuni esponenti dell’esecutivo di Tel Aviv, è stato lo stesso presidente americano sostenendo che “nessuno vorrebbe vivere lì” e chiedendo quindi la collaborazione di altri Paesi arabi disposti ad “accogliere” la popolazione palestinese che, nella sua interpretazione, avrebbe accolto in maniera positiva l’idea di lasciare la propria casa per andare a vivere altrove. Nessun Paese, Egitto in primis, ha però aperto loro le porte, eccezion fatta per l’Indonesia, il più grande Paese musulmano al mondo. L’apoteosi del progetto trumpiano è stata la diffusione dagli account social del tycoon di un video generato con l’intelligenza artificiale nel quale Gaza veniva trasformata in una Las Vegas sul mare. La proposta ha generato lo sdegno della comunità internazionale e delle Nazioni Unite che ha parlato di “pulizia etnica“.

Si è poi arrivati, a marzo 2025, all’idea che la Striscia debba essere amministrata per un “lungo periodo” da Israele, con i palestinesi confinati in aree costiere con forniture di cibo calcolate in base al loro fabbisogno giornaliero, in un macabro equilibrio tra la vita e la morte per inedia. Si tratta di quella che è, con grandi probabilità, una delle prime versioni del piano approvato in queste ore dal gabinetto di sicurezza. I punti principali erano, come rivelato dal Financial Times: occupazione di lungo periodo, amministrazione in mano all’esercito, gestione diretta degli aiuti calcolando il fabbisogno di calorie dei palestinesi, niente Onu e ong, immensa zona cuscinetto e abitanti rinchiusi in una piccola area costiera. Quella di oggi è, quindi, solo la versione definitiva di un processo di invasione lungo un anno e mezzo. E che ha varcato qualsiasi linea rossa imposta da Nazioni Unite e alleati.

X: @GianniRosini

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