Phisikk du role – Cosa cambiare nelle tesi di laurea, una proposta ai tempi dell’AI

  • Postato il 13 settembre 2025
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  • Di Formiche
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Quando, qualche decina d’anni fa, cominciarono a finire nelle mie mani le prime tesi di laurea, il lavoro che mi attendeva in Università aveva un che di mistico, perché partecipava alla creazione del primo prodotto (per molti anche raro, nel senso che sarebbe stato l’unico ingresso nella categoria della saggistica) dell’ingegno di una giovane mente che avrei dovuto accompagnare nel complesso impegno d’imbastitura del testo. Funzionava più o meno così: un progetto dello studente che andava a resecare solo un piccolo aspetto della vasta materia perché, come ricordava Umberto Eco, chi scrive deve mostrare la padronanza assoluta dell’argomento e dunque, più grande è l’argomento, più ti esponi ad insufficienze e a critiche della commissione che ne sa molto più di te; un rigoroso piano di ricerca bibliografica, in cui le monografie andavano alla grande e gli articoli scientifici facevano da supporto per approfondimenti mirati; un decente apparato di note che servono a spiegare senza appesantire.
L’uso di un italiano degno di una persona che stava per laurearsi; una coerenza “teleologica” della scrittura tutta proiettata a sostenere, con argomenti accolti dalla comunità scientifica, una “tesi” (appunto) con l’ambizione di aggiungere qualcosa di nuovo e possibilmente di non fare un riassunto di qualche monografia, che lì c’era già chi lo faceva coi manualetti Simone. Certo: c’era pure chi scopiazzava da tesi fatte da colleghi di anni accademici precedenti trafugate chissà come e non mancava chi se le faceva fare dietro consegna di un compenso al compilatore. Ma, in genere, non era così difficile “sgamare” chi cercava scorciatoie per consegnare tomi sproporzionati, non solo per le incoerenze testuali e soprattutto bibliografiche (solo i più raffinati sapevano ben mescolare vecchi titoli con nuovi, estraendo qualche traccia significativa poi anche dal testo citato: ci mettevano testa e lavoro e, non per altro, almeno per questo andavano apprezzati), ma per una certa afasia complessiva dello scritto. Comunque il relatore diceva la sua, il correlatore, se gli aggradava ( in genere non troppo) anche lui, la commissione si riuniva e dava il suo voto in cento-decimi dopo discussioni colte ed animate.
Quali erano gli oggetti dell’attenzione è presto detto: la parte più importante presa in considerazione era il curriculum, la media dei voti nel corso degli studi e le eventuali lodi ricevute. Il peso della tesi? In genere dai quattro ai sette punti. Quindi un candidato/a che si fosse visto attribuire il centodieci e lode era una giovane o un giovane che nel corso degli studi aveva raggiunto la media almeno del centotre’, ber ornata da qualche lode. Come si comprende, il cursus honorum, i voti raccolti nel quinquennio di studi aveva la meglio sul resto. E non poteva che essere così: i miracoli di tesi di laurea da premio nobel forse esistono pure, ma si agganciano quasi sempre ad un percorso di studi dello stesso livello. Come funziona oggi? Continua ad andare sempre così. Solo che è apparso un convitato di pietra alla mensa universitaria e si chiama Intelligenza Artificiale.
È uno che si invita da solo, che s’insinua subdolamente e ribalta la realtà effettuale imponendo la sua che è figlia di ritagli plagiari. Ed è questo il prodotto che circola con grande successo nelle nostre Università. Si tratta di tesi passabili, scritte in un italiano stranamente lineare, con bibliografie coerenti e persino con note a piè di pagina pertinenti. Cos è che non va allora? Due cose: la prima è la mancanza di un’anima, di un guizzo, di un’idea forza, capace di riempire di senso il manufatto. Una volta si diceva: tesi compilativa. Solo che con l’AI ogni tanto si apre un varco rivelatore, come un piccolo prolasso logico, un’infinitesimale inesattezza, una cosa come quella che si leggeva in questi giorni sui giornali, con la scrittura di una novella alla maniera di Camilleri fatta benissimo dall’AI, che però a un certo punto si scopre perché Mimì, il vice di Montalbano e suo intimo amico, lo chiama dottore e gli dà del lei.
Cercare queste storture non è facile, devi stare attento ma le trovi. La seconda è l’incoerenza con il curriculum dello studente: chi arriva con un ottimo consolidato non armeggia con l’AI, ma, in genere, continua a lavorare con la sua intelligenza naturale. La scorciatoia la prendono quelli che hanno una media meno splendente. Ma teniamo conto del fatto che le applicazioni dell’Intelligenza autogenerativa si perfezionano giorno dopo giorno e presto talune rozzezze e “afasie” potrebbero essere corrette. E non ci saranno programmi antiplagio che vi potranno mai far fronte.
Allora vorrei porre alla collega docente nonché ministra Annamaria Bernini una piccola domanda: se non valuti anche lei che sia arrivato il tempo di modificare la procedura che porta al conferimento della laurea abolendo le tesi scritte e magari facendo svolgere al candidato/a una tesi orale in un contesto di dialogo con la commissione. Basterebbe questo, magari restringendo ancora di più il peso della tesi a favore dell’andamento degli studi, che restano comunque, da sempre, la parte sostanziale dell’impegno studentesco. Sarebbe un piccolo gesto d’onestà intellettuale compiuto dallo Stato. Urlare contro l’AI è cosa sciocca perché inutile: sarebbe fare come facevano i luddisti contro la prima rivoluzione industriale inglese, che pensavano di fermare le macchine distruggendole. E infatti le macchine sono ancora lì. Gli operai un po’ meno. Non vogliamo distruggere niente, anzi. Ma nemmeno alimentare generazioni di produttori di fake.
Autore
Formiche

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