Perché il ddl Delrio sull’antisemitismo sposterà il focus dal contrasto dell’odio al controllo del dissenso

  • Postato il 19 dicembre 2025
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di Luca Grandicelli

Nel dibattito italiano delle ultime settimane è spesso sembrato che la proposta di legge del Senatore Graziano Delrio sia piovuta dal cielo in un cortile ben recintato da un folto gruppo di riformisti del Partito Democratico. Molti infatti hanno sostenuto la tesi per la quale tale ddl sia mezzo propedeutico a predisporre un piano di convergenza concettuale tra antisemitismo e antisionismo, sebbene il punto non sia assolutamente accademico, quanto piuttosto politico: nessuno sembra infatti voler constatare il rischio concreto che la nostra democrazia si doti di uno strumento capace di comprimere le libertà fondamentali nel nome della lotta all’antisemitismo. Un rischio, peraltro, già verificatosi altrove, documentato e misurabile, che oggi torna a bussare alla porta del Parlamento forte della necessità, agitata da molti settori politici e mediatici, di porre un rimedio al sempre più crescente sentimento anti-israeliano che sta attraversando l’Italia.

In questo quadro, l’idea alla base del ddl è semplice quanto pericolosa: recepire integralmente nel sistema normativo italiano la definizione di antisemitismo dell’Ihra, delegando il governo a varare uno o più decreti legislativi per conferire alle autorità, in particolare all’Agcom, poteri straordinari di censura preventiva, rimuovendo i contenuti online incriminati entro 48 ore, istituendo forme di monitoraggio nelle scuole e nelle università e introducendo meccanismi di controllo che incidono direttamente sul diritto di espressione. Una definizione presentata come tecnica e condivisa, ma in realtà ampiamente contestata da giuristi, studiosi, organizzazioni per i diritti umani e istituzioni internazionali.

A dimostrarlo è il lavoro del Centro Europeo di Sostegno Legale (Elsc), che già il 6 giugno 2023 pubblicò un rapporto basato su 53 casi documentati, tra il 2017 e il 2022, in Germania, Austria e Regno Unito, in cui individui e organizzazioni vennero accusati di antisemitismo per aver sostenuto i diritti dei palestinesi, criticato l’occupazione israeliana o il sionismo come ideologia politica. Pur essendo formalmente non vincolante, la definizione Ihra venne già allora utilizzata come base para-legislativa, costringendo gli accusati a lunghe difese legali poi concluse, nella maggior parte dei casi, con l’archiviazione delle accuse.

I timori espressi nel rapporto trovano ancora oggi fondamento nella fallace stabilità interpretativa del concetto di antisemitismo, che delinea un perimetro incerto entro il quale rischiano di finire tutte le critiche rivolte allo Stato di Israele. E le conseguenze sociali di questo approccio sono già state ampiamente osservate: molti tra gli accusati hanno di fatto affrontato la perdita del lavoro o subito gravi danni reputazionali. Per non parlare delle limitazioni alla libertà accademica fino alla repressione delle manifestazioni pubbliche. Emblematico il caso di Berlino, dove nel maggio 2022 furono vietate le commemorazioni della Nakba e della giornalista Shireen Abu Akleh, ritenute suscettibili di creare un “clima anti-Israele e antisemita”. Un passaggio che mostrò come si possa scivolare rapidamente dalla lotta all’odio alla criminalizzazione della memoria e del dissenso politico.

In questo quadro, il ddl Delrio non appare come un incidente isolato, ma come l’innesto di un dispositivo già sperimentato altrove, che sposta progressivamente il baricentro dal contrasto dell’odio al controllo del dissenso, definendo il perimetro del dicibile su Israele e Palestina. Ed è significativo come questa proposta provenga dall’opposizione, allineandosi di fatto all’impostazione repressiva già adottata dal governo sul tema, come dimostra il caso dell’imam di Torino Mohamed Shahin.

Se l’Italia sceglierà la scorciatoia della definizione Ihra elevata a legge, dovrà assumersi la responsabilità di un futuro in cui manifestare per Gaza o criticare il sionismo potrà essere considerato un atto sospetto, financo una minaccia all’ordine pubblico.

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