Perché i momenti migliori per trasformare le aziende sono quelli di crisi
- Postato il 26 giugno 2025
- Business
- Di Forbes Italia
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Trasformare un’azienda è difficile: solo in un terzo dei casi ripensare la propria attività porta a un’accelerazione della crescita e alla creazione di valore. Il paradosso è che i momenti migliori per farlo sembrano essere quelli più duri per l’economia. Durante la crisi finanziaria del 2008 e del 2009, per esempio, ha avuto successo il 33% delle trasformazioni, contro una media del 28% negli anni di crescita. E la differenza è ancora maggiore se si considera la crisi dell’Eurozona del 2012 (39%) o il 2020, anno dello scoppio della pandemia da Covid-19 (43%).
Lo rivela uno studio condotto dagli esperti di Boston Consulting Group (Bcg) su 1.700 trasformazioni aziendali avvenute in tutto il mondo negli ultimi 20 anni. “La paura può paralizzare, ma, paradossalmente, i periodi di crisi rappresentano spesso le migliori opportunità per avviare una trasformazione orientata alla crescita”, dice Lamberto Biscarini, managing director & senior partner di Bcg. “Ayrton Senna diceva che non puoi sorpassare 15 auto quando c’è il sole, ma lo puoi fare quando piove. È fondamentale che la leadership sappia interpretare questi momenti difficili come occasioni di cambiamento”.
Una spiegazione, secondo gli autori, è che di norma i periodi di crisi portano a una netta separazione tra vincitori e vinti in un certo settore. Di conseguenza, chi ottiene buoni risultati in periodi di recessione ha grossi vantaggi nel lungo periodo. Un secondo fattore è che le crisi portano le aziende a tirare fuori le loro doti di resilienza, capacità fondamentale anche per trasformare il proprio modello di business e crescere.
Creatività e disciplina
I ricercatori hanno individuato tre elementi che ricorrono nei casi di migliore riuscita e che hanno definito come i tre paradossi delle trasformazioni di successo.
Il primo è che occorre coniugare due aspetti in apparenza opposti, come creatività e disciplina.
Le aziende con una cultura creativa, si legge, hanno percentuali di successo più alte del 3% rispetto alla media. Gli autori sottolineano come lavorare in modo creativo non significhi aspettare il colpo di genio, ma coltivare doti come l’immaginazione, ad esempio guardando al di fuori della propria azienda e considerando questioni legate al resto del settore, alla geopolitica, alla macroeconomia e alla sostenibilità.
Lo studio cita il caso di Brooks Automation, azienda nata come produttrice di apparecchiature per semiconduttori e robotica, entrata in crisi nei primi anni 2000. Iniziò allora a guardare al di fuori del proprio business e a studiare tutti i brevetti che citavano i suoi, anche in altre industrie. L’analisi rivelò opportunità di business nel campo delle scienze della vita: le stesse tecnologie usate per manipolare i semiconduttori venivano impiegate con i campioni biologici. Brooks entrò in quell’industria e divenne uno dei leader del mercato del biobanking, ovvero delle attività di raccolta, conservazione e gestione dei campioni.
Accanto alla creatività, occorre però anche un controllo sui processi aziendali, per coordinare gli sforzi e tenere traccia dei progressi. È utile, in questo senso, introdurre la figura del chief transformation officer, incaricato di garantire che tutte le attività di trasformazione seguano una precisa strategia. “Nominare un cto con il mandato di guidare il cambiamento proattivamente può aumentare le probabilità di riuscita di 22 punti percentuali”, dice Biscarini.
Lungo termine e breve termine
Un secondo risultato dello studio è che una trasformazione di successo richiede di coniugare una visione di lungo periodo e misure immediate per metterla in pratica.
Da un lato, chi adotta una mentalità di lungo periodo aumenta le probabilità di successo del 3%, e chi investe più della media in ricerca e sviluppo ha un tasso di riuscita maggiore del 6% rispetto agli altri.
Dall’altro lato, però, le probabilità di successo sono legate anche alla capacità di agire subito per mettere in pratica la visione. È importante, per esempio, raccontare in modo convincente quella stessa visione, per ridurre la pressione sui risultati immediati, e ottimizzare la base costi nel giro del primo anno di cambiamento (la probabilità di successo cresce del 3%).
Esperienza e capacità di adattamento
Un’altra chiave per aumentare le possibilità di successo è coniugare esperienza e capacità di adattamento. Le probabilità di riuscita aumentano dell’11% quando un’azienda ha già alle spalle una trasformazione, perché cambiare spesso permette di accumulare un bagaglio di tattiche e strumenti utili nelle situazioni di mutamento. Allo stesso tempo, però, le aziende devono stare attente alla cosiddetta ‘success trap’, la trappola del successo, cioè la tendenza ad affidarsi troppo ai metodi che hanno funzionato in passato, senza considerare il nuovo contesto.
In altre parole, dicono gli autori, un’azienda deve “creare una cultura in cui il cambiamento sia visto come la norma”. Una mentalità che in Italia può essere più difficile coltivare, vista l’abbondanza di aziende familiari ancorate alla tradizione. “In contesti aziendali dove prevale il ‘si è sempre fatto così’, come spesso accade nelle imprese familiari italiane, le trasformazioni possono incontrare maggiori resistenze”, osserva Biscarini. “Da un lato, la visione a lungo termine, tipica di queste realtà, è un asset strategico. Dall’altro, la concentrazione della proprietà e la governance generazionale possono portare a processi decisionali più conservativi, rendendo più difficile innescare il cambiamento”.
Per superare queste inerzie, secondo Biscarini, “è fondamentale sviluppare una cultura della self-disruption, ossia la capacità di innovare dall’interno, prima che lo facciano i competitor o le condizioni esterne. E le evidenze dimostrano che le trasformazioni hanno maggiori probabilità di successo se avviate prima che le performance inizino a calare: in questi casi, le probabilità di riuscita aumentano di cinque punti percentuali. Intervenire con anticipo consente di agire da una posizione di forza, piuttosto che sotto pressione”.
Successi e insuccessi
Tra i casi di scuola più celebri c’è quello di Amazon, che perse più del 90% del suo valore di mercato con lo scoppio della bolla delle dotcom. Decise allora di trasformarsi da store a marketplace, cioè di aprire la sua piattaforma a rivenditori terzi, che ora costituiscono il 60% delle vendite.
D’altro canto, al di là di ogni accorgimento e strategia, “mantenere la leadership è più difficile che in passato”, dice Biscarini. “Se negli anni ’80 le aziende leader restavano al vertice per 6-8 anni, oggi tornano alla media in appena un anno, a causa della crescente volatilità politica, tecnologica e di mercato”. Molte imprese “hanno perso la loro posizione perché non hanno saputo trasformarsi da una posizione di forza, restando legate a modelli superati. Al contrario, le aziende che prosperano oggi sono quelle capaci di reinventarsi costantemente. La capacità di anticipare il cambiamento è ciò che distingue chi guida da chi rincorre”.
L’articolo Perché i momenti migliori per trasformare le aziende sono quelli di crisi è tratto da Forbes Italia.