Perché è scoppiato il caos sugli autovelox? La riforma zoppa e la pioggia di ricorsi

  • Postato il 28 luglio 2025
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Da oltre trent’anni la questione degli autovelox si trascina tra formalità irrisolte, interpretazioni ministeriali e contenziosi sempre più numerosi. La norma, contenuta nel comma 6 dell’articolo 142 del Codice della Strada, risale al 1992 e stabilisce un principio: affinché una multa per eccesso di velocità sia valida, il dispositivo che rileva l’infrazione deve essere approvato e “debitamente omologato” dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ma dietro quella dicitura burocratica si cela un vuoto giuridico che ha finito per travolgere il sistema sanzionatorio italiano e far esplodere un caos istituzionale.

Nessun governo, dal 1992 a oggi, ha mai emanato il decreto attuativo necessario a disciplinare in modo definitivo le modalità di omologazione tecnica degli strumenti di rilevazione automatica. Il risultato è che a tutt’oggi nessun autovelox in circolazione è formalmente omologato, sebbene molti siano stati approvati con decreto ministeriale. Questa distinzione non è una sottigliezza linguistica, bensì la pietra angolare su cui si regge la legittimità delle sanzioni. L’approvazione ministeriale autorizza l’uso del dispositivo, ma non certifica che il singolo esemplare abbia superato controlli metrologici, prove tecniche o verifiche indipendenti. L’omologazione comporta invece l’attestazione ufficiale della conformità a standard tecnici precisi.

A oggi ogni autovelox deve essere sottoposto almeno una volta all’anno a una verifica di taratura, eseguita da un laboratorio accreditato da Accredia, l’unico ente riconosciuto dallo Stato per garantire l’affidabilità delle misurazioni e dei controlli tecnici effettuati.

La riforma del 2024 e lo schema ritirato da Bruxelles

Nel 2024, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha tentato di affrontare la questione con uno schema di decreto inviato alla Commissione europea. In quel testo, dodici modelli di autovelox già approvati tra il 2017 e il 2024 venivano sanati retroattivamente attraverso una sorta di riconoscimento d’ufficio della loro conformità tecnica. Secondo lo stesso schema, tutti gli altri dispositivi avrebbero dovuto essere spenti in attesa di una regolare omologazione. Un provvedimento che, se fosse stato applicato, avrebbe avuto conseguenze disastrose per i Comuni, per la Polizia Stradale e per le concessionarie autostradali che utilizzano i sistemi tutor.

La reazione non si è fatta attendere. La previsione di dover disattivare centinaia di dispositivi in tutta Italia ha sollevato proteste accese e nel giro di poche settimane il decreto è stato ritirato. Il Ministero ha spiegato che sono necessari ulteriori chiarimenti tecnici, di fatto lasciando in vita il vuoto normativo e riportando tutto allo stato di incertezza preesistente. Nessuna nuova omologazione, nessun criterio condiviso, nessuna sanatoria ufficiale. Il governo ha preferito congelare la questione, lasciando gli enti locali senza indicazioni chiare su come procedere.

L’intervento della Cassazione e la valanga di ricorsi

A dare una svolta alla vicenda non è stato il legislatore, ma la magistratura. Nell’aprile 2024, la Corte di Cassazione ha accolto un ricorso presentato da un automobilista multato con un dispositivo privo di omologazione. Con l’ordinanza 10505, gli Ermellini hanno affermato il principio che l’omologazione e l’approvazione non sono la stessa cosa, e la seconda non può surrogare la prima. Se manca l’omologazione, la sanzione è illegittima, anche se il dispositivo è stato autorizzato all’uso dal Ministero. La sentenza ha aperto la strada a decine di ricorsi, diventati centinaia e poi migliaia, con cittadini che hanno iniziato a contestare verbali vecchi e nuovi su base formale.

A maggio e luglio 2024, la stessa Suprema Corte ha ribadito il principio in nuove decisioni, tra cui la numero 20913, che hanno tracciato una linea giurisprudenziale netta: non si può multare con strumenti non omologati e l’approvazione da sola non basta a rendere legittima la rilevazione. In questo contesto, si è creata una spaccatura tra giurisprudenza e governo, con il Ministero dell’Interno che ha cercato di correre ai ripari.

A gennaio 2025 ha diffuso una circolare indirizzata ai prefetti, in cui si afferma che esiste piena omogeneità tra le due procedure e lo ha fatto appoggiandosi a un parere dell’Avvocatura dello Stato. Il documento invita le amministrazioni a difendere in giudizio la legittimità delle multe ovvero l’affidabilità dei dispositivi per il rilevamento della velocità dei veicoli.

Il sistema amministrativo in difficoltà

L’ondata di ricorsi ha messo sotto pressione il sistema amministrativo. I giudici di pace si sono trovati a gestire fascicoli multipli su verbali emessi da autovelox spesso identici ma formalmente non omologati. Alcuni Comuni hanno preferito spegnere i dispositivi per evitare contenziosi mentre altri si sono affidati agli uffici legali per sostenere la legittimità delle multe. La situazione è complicata dalla differente interpretazione delle norme a livello territoriale: in alcune province i verbali vengono annullati automaticamente in presenza di autovelox non omologati, altrove si richiede la querela di falso per dimostrare che nel verbale l’attestazione di omologazione è mendace.

Nel frattempo, l’Autorità garante per la protezione dei dati personali ha aperto un’istruttoria per verificare se alcuni dispositivi operativi senza omologazione possano violare i diritti dei cittadini in materia di trattamento dei dati. Anche alcune associazioni dei consumatori si sono mosse per organizzare azioni collettive e fornire consulenza a chi vuole contestare le sanzioni.

Il cortocircuito normativo e la crisi di legittimità

Per trent’anni si è permesso che venissero comminate multe con strumenti tecnici privi dei requisiti previsti dalla legge stessa. Si tratta di una vera e propria crisi di legittimità con il cittadino che si “sente autorizzato” a disattendere le regole. La riforma del 2024, nata per correggere questo squilibrio, si è rivelata zoppa perché ha lasciato irrisolta l’assenza del decreto di omologazione. Da qui l’incertezza, la confusione e la valanga di opposizioni che minacciano di bloccare il sistema.

A luglio 2025, il Parlamento lancia un nuovo censimento degli autovelox con l’obiettivo di mappare tutti i dispositivi attivi e verificare che rispondano a finalità di sicurezza e non solo di cassa. Si tratta di un primo passo che non sana evidentemente il vuoto legislativo.

Tutti i dispositivi utilizzati per il controllo della velocità dovranno essere registrati in una piattaforma informatica gestita dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ogni apparecchio dovrà essere identificato con tipologia, marca, modello e conformità all’omologazione o all’approvazione ministeriale. In assenza di questa registrazione, obbligatoria in base a quanto previsto dal decreto Infrastrutture 2025, l’utilizzo del dispositivo è considerato illegittimo e le sanzioni elevate possono essere contestate con successo da parte degli automobilisti.

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