Perché c’è chi odia Sinner? La psicologa: “Si cerca l’eroe o il capro espiatorio. Lui pare inattaccabile e gli si ritorce contro, ma è pure la sua più grande fortuna”

  • Postato il 14 luglio 2025
  • Tennis
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Se vinci sei un eroe di massa, se perdi allora diventi automaticamente scarso e sopravvalutato. Il tifoso medio italiano non ha vie di mezzo. E sul web ogni giudizio (positivo o negativo che sia) genera odio gratuito. Soprattutto nei confronti di Jannik Sinner. In campo vince, sui social e nelle discussioni tra amici divide. E anche il trionfo di Wimbledon potrebbe non cambiare totalmente le cose. Ma perché tutto questo accanimento? Cosa scatta nella mente di un fan per ribaltare ogni settimana la narrativa nei confronti dello sportivo italiano più famoso del mondo? A spiegarlo – a ilfattoquotidiano.it – è la dottoressa Greta Gschwentner, psicologa dello Sport e professoressa di “Sociologia e psicologia dei processi culturali e comunicativi dello sport” all’università Statale di Milano.

Idolatrato e odiato: nelle ultime settimane tutti hanno detto la loro su Sinner. Quanto la vittoria di Wimbledon può influire il giudizio mediatico?
Non è automatico tornare un Sinner-fan. Ormai, a prescindere da quelli che sono i risultati sportivi, questo personaggio sta stufando il tifoso medio: se dividiamo la sua prestazione sportiva da quella empatica, Sinner ha allontanato tanti nell’ultimo periodo. C’è prima un discorso di affiliazione allo sportivo come “giocatore che vince o perde le partite”: in quel caso il tifoso si sposta con la massa. Poi c’è il discorso di Sinner come “persona” e “l’italiano medio non lo riconosce neanche come italiano vero”: qui, l’opinione pubblica si trasforma in invidia e, da un punto di vista antropologico, la popolazione si distanzia da quel personaggio. Indubbiamente, con la vittoria di Sinner ci saranno molti volta bandiera perché – come detto – l’italiano medio segue la massa e viene quotidianamente influenzato dalla comunicazione. Noi italiano cerchiamo la continuità dell’eroe: quando questa viene meno tendiamo a darlo per spacciato. Il problema sono i media e le masse che si aggregano.

Dalla Sinner-Mania all’odio gratuito: come e perché è cambiata la narrativa intorno a lui?
Se dobbiamo fare un’analisi antropologica e sociologica, la questione Sinner è un fenomeno di massa. Quindi, come capita spesso con le masse in qualsiasi tipo di fenomeno (e soprattutto in Italia), c’è sempre la ricerca del leader e del campione rappresentativo: attorno a lui, poi, si va a creare uno storytelling legato a meriti sportivi. Da lì si formano due strade: una parte di popolazione lo segue per i suoi risultati, l’altra – che magari non segue quello sport nello specifico e, in questo caso, il tennis – si avvicina perché si va a formare un impatto mediatico. Diventa un’equazione energetica direttamente proporzionale: più io sono esposto mediaticamente, più divento eroe in quello che faccio. Contrariamente, con lo stesso impatto proporzionale, accade lo stesso quando le cose vanno male e non mantengo determinate aspettative. Trasformando l’idolo in capro espiatorio. L’odio e l’amore che si genera nei confronti di un atleta va proporzionalmente in questo senso. Chiaramente può succedere a qualsiasi sportivo: il suo essere esposto – per motivi sportivi – si sovraccarica di quello che la gente pensa. Ed è poi quella parte che gioca un ruolo fondamentale non solo nell’ansia da prestazione, ma anche nel momento in cui lui deve rispondere a quello che gli altri si aspettano da lui.

“Abbiamo il tennista italiano più forte di sempre ma si continua a criticarlo…siamo italiani”, è un commento trovato sui social che sintetizza benissimo quanto sta accadendo. Ecco, perché c’è proprio in Italia questa tendenza?
Noi sociologicamente come popolazione, e con noi anche l’America, ricerchiamo spesso l’eroe o il capro espiatorio in tutto quello che accade. Nello sport, e soprattutto in Italia, tutto questo viene maggiormente amplificato: tutto quello che asserisce alla sfera personale viene messo a disposizione dell’effetto media. Questa predisposizione a mettere lo sport sotto i riflettori va a creare un forte odio: se parlassimo di una professione come un’altra non si generebbe. Laddove ci sono prestazioni che diventano mediatiche (e che diventano appunto di massa), la popolazione si schiera.

In un certo senso, il tennis sta diventando come il calcio…
Fino a poco tempo fa, questo tipo di fenomeno lo avevamo nel calcio: anche il fattore economico gioca un ruolo importante in quello che è il giudizio. Negli sport in cui c’è grande disponibilità economica, anche lo stesso atleta si ritrova con più facilità sotto i riflettori. Negli ultimi anni l’aumento dell’esposizione del tennis – a livello economico ma anche, e soprattutto, mediatico/comunicativo – ha cambiato il modo di vedere chi compone quel mondo. Sinner, per temporalità, è entrato proprio in quel momento storico. Lo stesso potremmo dire di Berrettini: ma perché il suo impatto si è fermato e ora ce ne siamo quasi dimenticati? Semplicemente perché il tifoso medio – che è alla ricerca del suo eroe – si fa condizionare da quello che legge e dal tipo di comunicazione che viene fatta. Quindi se la comunicazione su quell’atleta è fatta bene, il fan si può documentare per potersi fare una propria opinione.

Dunque, l’italiano medio che cosa cerca davvero quando critica gratuitamente sui social?
Cerchiamo, noi come italiani, il consenso: è il motivo per cui si tende a diventare tuttologi in ogni campo. Questa voglia di esporsi è una ricerca di affermazione identitaria personale: se il mio commento genera interesse io mi sento appagato. Indubbiamente si va poi a creare un circolo vizioso. Tendiamo a creare fazioni che si schierano contro qualcosa (o qualcuno) solo per il semplice sfizio di affermarmi nel mio piccolo.

Un’atleta come vive questa continua esposizione pubblica? Il suo essere “semplice” può infastidire?
Partiamo innanzitutto da una divisione. Abbiamo due tipologie di atleta: uno più narcisista nella sua affermazione personale, e che quindi riesce totalmente a distaccarsi da quello che pensa la gente e da quello che circonda la sua performance (ed è il tipo di atleta che funziona meglio), l’altro che – al contrario – abbiamo visto cadere perché inserito nell’occhio del ciclone mediatico.
Pensiamo al caso doping e prendiamo in causa proprio Sinner e Alex Schwazer. Analizziamo proprio l’inizio delle due vicende: con il marciatore ci siamo subito schierati contro, mediaticamente è stato affossato. Era un po’ l’esemplare di atleta che volevamo, ed è quello che abbiamo poi ritrovato anche in Sinner: un ragazzo pulito, riservato ed estremamente educato. A quel punto si possono innescare due situazioni per l’atleta: puoi essere quello integro e impeccabile, ma non appena sbagli qualcosa la massa si domanda “perché si è comportato in quel modo?”.

Da un punto di vista psicologico, Sinner come vive tutto questo secondo lei? E perché l’italiano rimane più freddo nei suoi confronti?
L’italiano cerca la storia, quell’atleta che entra in contatto con la gente: Sinner questa cosa non ce l’ha. Il suo è un tratto di personalità che lo protegge perché sulla carta è inattaccabile e di fatto non consente la minima sbavatura di opinione. Allo stesso tempo gli si può ritorcere contro questa cosa perché, non entrando in empatia, rimani quel soprammobile di cristallo che nel momento in cui si spezza non è più pregiato. Ricorda quello che è Cristiano Ronaldo: è l’atleta per eccellenza, ma non è un personaggio empatico con il pubblico. Per Sinner, da una parte penso che questa sia la più grande fortuna perché riesce probabilmente ad essere estremamente centrato. Indipendentemente dai risultati ottenuti, ha dimostrato di esserci con la testa.

Il dualismo con Alcaraz quanto può aiutare Sinner ad affermarsi anche in quello che è il consenso della massa?
È sicuramente curioso come questi dualismi – che si creano nello sport – arrivino proprio nel momento più alto per entrambi. Chi è l’atleta migliore tra i due? Quello perfezionista, impeccabile estremamente comandato (in primis da sé stesso) o l’atleta invece fortissimo a livello tecnico ma che paradossalmente magari riesce a lasciarsi un pochino più andare? Non c’è una ricetta perfetta. Dipende da quanto questo tipo di personalità inficia poi sull’individuo. È un po’ come l’ansia: io posso essere più ansiosa di te, ma se io quell’ansia lì riesco a gestirla e mi serve come invece punto di forza – perché che mi fa salire quell’adrenalina con la quale riesco a performare ancora meglio – è giusto o sbagliato che io sia ansiosa e tu no?

La sua freddezza in campo come viene giudicata?
Ci sono sport che ti danno possibilità di vedere di più quella parte impulsiva dell’atleta. Prendiamo l’esempio di Nadal: per me, da un punto di vista psicologico, era un personaggio da studiare psicologicamente perché tutti i tic che aveva fanno ben capire che c’erano delle pulsioni da sfogare in qualche modo. Tic che poi sono diventate routine e un modo di tenere tutto sotto controllo. Ognuno, poi, sceglie la sua ricetta per cercare di vincere. Se quel tipo di impulso non influenza il risultato, allora ha ragione lui.

Il coinvolgimento di Sinner in attività non propriamente sportive (pubblicità, videoclip…) possono influenzare il giudizio nei suoi confronti?
Se pensiamo alla comunicazione che viene sviluppata in Italia, si fa molto leva sul concetto di famiglia ideale. E lì torna il concetto di atleta ideale: se Sinner mangia quella cosa allora vuol dire che è un prodotto ottimo. Perché, come popolazione, abbiamo bisogno di questi campioni rappresentativi? Perché, come detto, abbiamo bisogno di una storia che ci fa appassionare.

L'articolo Perché c’è chi odia Sinner? La psicologa: “Si cerca l’eroe o il capro espiatorio. Lui pare inattaccabile e gli si ritorce contro, ma è pure la sua più grande fortuna” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti