Pedagogia dell’antimafia, da Scampia a Crotone il cambiamento è possibile
- Postato il 19 febbraio 2025
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Il Quotidiano del Sud
Pedagogia dell’antimafia, da Scampia a Crotone il cambiamento è possibile
A confronto due modelli virtuosi a Scampia e Crotone nell’ambito di un nuovo ciclo di Pedagogia dell’antimafia
CROTONE – «Sono nato e cresciuto a Scampia. In un’epoca in cui la camorra dettava legge. La strada era quella della rassegnazione. Due le possibilità. O ti schieravi con la camorra o andavi via e ti salvavi. Io ho preferito una terza possibilità. Restare e resistere». Lo ha detto Ciro Corona, presidente dell’associazione (R)esistenza Anticamorra, parlando agli studenti del liceo classico Pitagora nell’ambito del primo incontro del ciclo seminariale avviato dall’istituto crotonese insieme al corso di Pedagogia dell’Antimafia dell’UniCal. L’esperienza di Corona si intreccia con quella di un quartiere difficile, disagiato, occupato per anni dalla camorra e considerato il mercato della droga più grande d’Europa, ma oggi esempio di rinascita. Scampia, soprattutto in passato, faceva paura. Era la parte di Napoli che i napoletani volevano nascondere e che invece tutto il mondo stava iniziando a conoscere.
PEDAGOGIA DELL’ANTIMAFIA, MODELLO SCAMPIA
Scampia ora è diversa grazie alla voglia di riscatto e all’impegno dal basso di una rete di cooperative e volontari. Oggi a Scampia ci sono 120 associazioni che operano tra 80 mila abitanti. Ciro Corona ne rappresenta la vera anima, che non ha nulla a che fare con la “Gomorra” della serie tv. Quelle che racconta sono storie di giovani recuperati, che hanno avuto una seconda opportunità, che hanno potuto scegliere di restare a Scampia. Certo, la lotta è quotidiana, il confronto duro, e spesso questo percorso è stato costellato da intimidazioni e danneggiamenti. Ma la sua Officina delle Culture intitolata a “Gelsomina Verde”, torturata e assassinata dalla camorra a 22 anni, rappresenta un punto di riferimento a Scampia perché una scuola abbandonata divenuta piazza di spaccio è oggi un luogo di inclusione sociale e di cultura. Lì transitano 400 persone al giorno e 140 detenuti all’anno sottoposti a misure alternative al carcere. Tra le realtà che animano la struttura ed il quartiere ci sono anche palestre, comunità alloggio, centri antiviolenza, strutture multimediali, biblioteche.
PEDAGOGIA DELL’ANTIMAFIA, L’OFFICINA DELLE CULTURE
Un caso unico. Come la storia di Angela, una bambina che si è ripresa la sua vita all’Officina delle Culture. «Non conosceva l’italiano ma oggi parla anche l’inglese – ha spiegato Corona – A quattro anni viveva con la nonna che vendeva droga in casa, la madre era in carcere. Angela si è salvata e quando penso a lei dico che ne è valsa la pena. Angela ha il sapore del futuro perché la sua scelta ha salvato anche i suoi figli che cresceranno con valori diversi dal mondo in cui è nata lei. Se questa è terra mia, se questa è terra vostra qualunque sacrificio vale la pena».
Ecco cosa si insegna all’Officina delle culture. «Abbiamo portato a scuola i figli dei camorristi, che a scuola non erano mai andati. Sulle Vele c’è una scritta: “non siamo noi il problema”. Ma se non siamo noi il problema dobbiamo imparare, insieme, a costruire una nuova strada. Quando è successo questo, quando i genitori hanno colto l’autenticità di questo percorso, dal carcere hanno chiesto che i figli non facessero la loro stessa fine. Li hanno affidati a noi. Questo era il segno di un cambiamento possibile».
La lotta alla mafia Corona non la fa a parole ma offrendo lavoro e dando un’alternativa a ex detenuti. «Le mafie si combattono col portafoglio – ha detto ancora – Servono alternative di lavoro. Creare un modello di sviluppo su un territorio che viveva di economia sporca, questa era la scommessa. Perché il lavoro ti dà una vita, la camorra no».
PEDAGOGIA DELL’ANTIMAFIA, IL MUSEO PITAGORA
Qualcosa di simile cerca di fare a Crotone Santo Vazzano, il presidente del consorzio Jobel, che da oltre dieci anni gestisce il Museo e Giardini di Pitagora. Tra i 17 exhibit che richiamano il pensiero pitagorico, cultura e inclusione sociale si intrecciano. Il parco tematico sorto in luogo degradato oggi è divenuto un propulsore di cultura e bellezza, ma anche un punto d’incontro per bambini e famiglie e un aggregatore di socialità. Il consorzio di cooperative nato nel 2006, che persegue un nuovo modello di impresa sociale, è al centro di una rete composta da una quarantina di associazioni che condivide un patto educativo di comunità ruotante attorno alla valorizzazione e alla fruizione del patrimonio culturale. Questo e altro è il modello Jobel, grazie anche a collaborazioni con varie istituzioni universitarie, in primis l’UniCal. All’ingresso del parco, c’è un pannello su cui campeggia la scritta “Pitagora Docet”, tra esposizioni permanenti d’arte contemporanea che arricchiscono la struttura museale. Qui persone svantaggiate, ex detenuti, diversamente abili hanno un ruolo di assoluta centralità grazie a consolidati percorsi d’integrazione sociale.
PEDAGOGIA DELL’ANTIMAFIA, PERCHÈ JOBEL
Perché Jobel? «Le nostre cooperative derivano dal mondo cattolico – ha raccontato Vazzano – Jobel è una parola ebraica, era il corno di montone con cui gli Ebrei annunciavano la Pasqua. Per noi la liberazione era non essere vassalli della mafia e di una politica clientelare. Indicava, poi, una scelta precisa: lavorare per la sostenibilità. Non volevamo sussidi. Come si evince dai nostri bilanci. Nel nostro simbolo c’è la testa del montone, perchè siamo ostinati e vogliamo continuare». Anche questo è un percorso che a qualcuno dà fastidio. «Questa estate abbiamo avuto sette incendi – ha ricordato Vazzano – Non è facile andare avanti ma sappiamo che non siamo da soli». I ragazzi avevano gli occhi lucidi quando, nell’ambito del monitoraggio civico in cui sono impegnati, hanno raccolto la storia del custode del parco, un ex detenuto coinvolto in un percorso di formazione e integrazione che lo ha portato dalla marginalità assoluta a un cambiamento vero. Anche il percorso di Jobel nasce tra i banchi di scuola. «Alle superiori ho incontrato un docente che mi ha insegnato il senso del collettivo, che mi ha insegnato a sognare – ha raccontato Vazzano – Ho imparato che bisogna agire. Eravamo ragazzi di Fondo Gesù e San Francesco, quartieri difficili. Si spacciava, le famiglie mafiose comandavano e a loro le persone si rivolgevano. La scelta era restare o partire. Decidemmo di restare costruendo la nostra alternativa. La prima cooperativa nasce nell’84 e inizia a dare lavoro ai diversamente abili. Era importante sognare, progettare. Oggi il consorzio dà lavoro a 300 persone. Il reinserimento dei detenuti rientra in quest’ottica».
PEDAGOGIA DELL’ANTIMAFIA, BRAND PITAGORA
E poi c’è il brand Pitagora. Nonostante il grande Bertrand Russell sostenesse che nessun uomo più di Pitagora ha avuto tanta influenza sulla storia del pensiero, nella città in cui il filosofo e matematico di Samo fondò la sua Scuola non c’è una statua o un busto che lo ritragga. Dopo 2500 anni, la città il cui nome è stato proiettato in un circuito culturale internazionale grazie a Pitagora, finalmente sembra ricordarsene. «Dedicare a Crotone un’area a Pitagora e poi abbandonarla non poteva essere accettato. Era una delle tante, troppe, occasioni in cui si sprecano i soldi pubblici. Noi abbiamo provato a cambiare le cose.
PEDAGOGIA DELL’ANTIMAFIA, IL CAMMINO
Iniziato, dunque, un «cammino testimoniale», come ha annunciato il professor Giancarlo Costabile, docente di Pedagogia dell’Antimafia dell’UniCal. Un percorso che intende la pedagogia antimafia come «pratica di libertà umanizzatrice», ha spiegato la professoressa Rossella Frandina, docente del liceo classico Pitagora che ha seguito i ragazzi in questo percorso che valorizza l’educazione nella sua «funzione trasformativa della realtà». Perché il cambiamento, quello vero, è possibile. A Scampia e a Crotone ci provano.
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