“Ora gli attori vanno ai talk show e dicono frasi come: ‘Ho provato tutte le droghe’. Oppure: ‘Ho le emorroidi’. Pure io ho combinato molte cose, ma sono sempre stati affari miei”: l’autobiografia di Ornella Muti

  • Postato il 30 ottobre 2025
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“Appartengo ad un passato in cui gli attori venivano paparazzati, spiati, pedinati, e il nostro obiettivo era nasconderci. Ora gli attori vanno ai talk show e dicono frasi come: ‘Ho provato tutte le droghe’. Oppure: ‘Ho abortito sei volte’. Oppure: ‘Ho le emorroidi’. Pure io ho combinato molte cose, ma sono sempre stati affari miei. Anche quando so cosa dire, ho paura che a caldo mi sfugga qualche cazzata”. Ci saremo caduti come pivelli, ma a noi la biografia di Ornella Muti, dall’esemplare titolo magrittiano “Questa non è Ornella Muti” (La Nave di Teseo), pare un capolavoro immenso. Sarà per gli intercalare/parolaccia, per il romanesco che affiora qua e là come glitter ornamentale, per quel flusso di coscienza che passa di palo in frasca con apparente , solo apparente, dissennatezza tra aneddotica e confidenzialità.

Questa non è Ornella Muti è un testo che sembra non aver avuto grossi filtri e ritocchi editoriali (ve l’abbiamo detto, ci siamo cascati). La lingua di Ornella/Francesca sprizza gioviale profonda autentica tra anafore oniriche (“mi piacerebbe parlare con gli animali. Mi piacerebbe recitare nel ruolo di una strega. Però buona, non voglio fare la cattiva. Voglio dei poteri magici. Il volo, l’invisibilità. Forse la telepatia non riuscirei a sopportarla. Vorrei essere protagonista di un fantasy”) e preziosi incontrollati deragliamenti a catena: “mi seguiva un medico fantastico, omeopatico, mi faceva il massaggio cranio-sacrale. Sono diventata subito macrobiotica. Un nutrizionista disse che Naike consumava troppi coloranti e conservanti, cominciai a prepararle le caramelle in casa. È da quando ho sedici anni che sono omeopatica. A Los Angeles avevo deciso che in casa non si sarebbe più mangiato sale. Naike se lo nascondeva nelle tasche. O forse era zucchero”.

Il ritmo sincopato spiazza, punge, obbliga quella stilla di attenzione in più rispetto alle educate soporifere elencazioni cronologiche e tematiche tipiche delle star del compitino. L’ingenua franchezza (“i contratti americani fanno paura, son alti così, delle bibbie”) riverbera i tratti del mito dell’attrice bambina (e per caso), di quella maturità d’altri tempi anagraficamente anticipata che diventa codice fragile del sentimento amoroso (“io invece non ho mai vissuto un’energia sessuale forsennata. Per me l’amore non è sesso”) e di nuovo parola aggressiva, impellente, necessaria per mostrare profondità del proprio sé (“Un bambino che nasce si porta via un pezzo di pancia, uno di tetta, uno di te”). Davanti a Questa non è Ornella Muti si rimane spiazzati. Il guizzo letterario sovrasta le curiosità da gossip o è al contrario il succo prelibato del ricordo nascosto elude una sintassi sfrenata? Prendiamo la paginetta su Gerard Depardieu (con cui Muti lavorò diverse volte, in primis nell’Ultima donna). Provate a seguire come l’autrice fa entrare in scena una presenza ingombrante e come quello spostamento di energia passi attraverso la parola. “Gerard ha una grande energia. Arriva lui e si muove tutta l’aria. Nel bene e nel male. È caotico, mangia, scherza, corre, ride, scorreggia, piglia. È ovvio che si sente un po’ intoccabile. Ha anche un modo novecentesco di fare avances, diciamo così. Dipende sempre con chi lo fai: un’attrice affermata ti manda affanculo, può permetterselo, altre figure con meno potere possono sentirsi umiliate”.

Potremmo andare avanti altre righe, ma tra copyright e tempo di lettura esagereremmo un po’. Imperdibile però come la Muti prosegua ricordando un regalo esagerato che Depardieu le fece e poi altro salto imprevedibile, in mezza riga, come reciti in scena: “Non studia mai le battute, si tiene i fogli lì per terra, vicini, e, non so come fa, recita da Dio”. Poi certo, ogni biografia nel mondo dei social ha bisogno di lanci eclatanti e sciocche frivolezze. Per queste basterebbero quattro frasi in croce, buttate lì. Invece Ornella fa di più. Molto di più. La forma con cui racconta è parte del racconto biografico stesso. La descrittività dell’altro esiste solo attraverso la propria composita lingua. Prendiamo Monicelli, con cui girò da giovanissima Romanzo popolare interpretando una sorta di emancipatorio ruolo di operaia. “Mario credette che quella faccia fosse la mia. Lui era pazzesco, molto diretto, presente, secco. Mi diceva che io vivevo nel mio sogno di zucchero”. Poi prosegue con una capacità descrittiva che percepisci sulla pelle: “Comunistissimo, ma comunista davvero, parlava da comunista e pensava da comunista e viveva da comunista, in una casetta con branda e stufa. Respirava da comunista”. Questa debordante franchezza si rispecchia oltretutto in una brillante lucidità di sguardo. Prendete il cinema italiano, quello del periodo d’oro, dove Ornella c’era, in cima, sopra a tanti e tante. Spazzato via da tv e maxischermi casalinghi. “In Italia tutto è alla “volemose bene”. C’è sempre un giro di creste, commissioni, favori, improvvisazioni, conventicole. Per chi ci sta ancora in mezzo al cinema, oggi è molto complicato. Ma bisogna lasciarsi andare con le onde, non resistere alle onde. È molto difficile, ma ci si può lavorare. Prima o poi te ne rendi conto. Non ha senso combattere le cose. Meglio andarci d’accordo con le cose. Meglio dire: sticazzi”.

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Il Fatto Quotidiano

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