Operazione Ramelli: la pacificazione che piace a La Russa

  • Postato il 2 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La pacificazione tra fascismo e antifascismo è impossibile. Ma non è questo il problema. Non è la pacificazione che vogliono, quelli che ora la chiedono. Vogliono l’equiparazione di fascismo e antifascismo, pari e patta e palla al centro.

Nei giorni scorsi, Giorgia Meloni ha detto che “la vicenda di Sergio Ramelli, la sua vita e la sua morte, sono un pezzo di storia d’Italia con cui tutti quanti, a destra e a sinistra, dobbiamo imparare a fare i conti”. A questa ovvia constatazione, Ignazio Benito La Russa, a 50 anni dalla morte del ragazzo di destra ucciso nel 1975 da un gruppo di studenti di sinistra, ha aggiunto l’organizzazione di una kermesse, celebrata nella sede della Regione Lombardia, che ha dato il via a una vera e propria “operazione Ramelli”.

Proposta di “pacificazione”? Sembra piuttosto che la vita stroncata di un ragazzo di 18 anni, frutto malato di un antifascismo che pensava di fare politica con le chiavi inglesi, 50 anni dopo diventi occasione e pretesto per infangare l’antifascismo e riabilitare i fascisti, onorare i “cuori neri” che negli anni Settanta hanno ucciso, solo a Milano, altri ragazzi come Claudio Varalli, Alberto Brasili, Gaetano Amoroso, Fausto Tinelli, Iaio Iannucci. E in altri parti d’Italia, Valerio Verbano, Mario Lupo, Alceste Campanile, Walter Rossi, Roberto Scialabba…

Certo: è inutile e insano fermarsi alle contabilità contrapposte dei martiri. Forse più utile però è mantenere memoria di una storia complessa, che si sviluppò in anni in cui il terrorismo di sinistra non c’era ancora e le organizzazioni extraparlamentari facevano argine, fin che hanno potuto, affinché la lotta di massa, anche violenta, non diventasse lotta armata, non fosse privatizzata dai professionisti della P38 e delle mitragliette Skorpion, come avverrà di lì a poco con le Br.

C’era, invece, il terrorismo di destra, uno stillicidio di attentati, aggressioni, assalti armati, un piano programmato di bombe contro cittadini incolpevoli per seminare terrore, in una banca di piazza Fontana a Milano, in una stazione a Gioia Tauro, in una piazza di Brescia, in un treno in galleria a San Benedetto Val di Sambro… Con la complicità di apparati dello Stato, nel quadro geopolitico della “guerra non ortodossa” contro il blocco comunista.

I conflitti degli anni Settanta non furono uno scontro di “opposti estremismi”, come tentava di teorizzare la Dc. Non furono una “guerra civile simulata”, o “immaginaria”, roba da ragazzi, come qualcuno ripete ancora oggi. Furono una guerra vera, uno scontro asimmetrico con da una parte organizzazioni che, a dispetto di parole d’ordine violente e spesso assurde, e di atti a volte terribili e criminali, difendevano pur con mille errori la democrazia costituzionale: contro il partito del golpe, il fronte delle stragi, le logge della destabilizzazione, l’internazionale nera dell’eversione.

“Pacificazione”? Questa si può fare tra fronti simmetrici e comparabili, e dopo che la verità è stata accertata, ammessa, chiarita. Sono invece ancora senza nome molti autori delle stragi e soprattutto molti dei loro referenti istituzionali. La “pacificazione” di La Russa sarebbe accettare di considerare sullo stesso piano, da una parte, i ragazzi e i movimenti che, pur tra tanti errori, difendevano la democrazia costituzionale, i diritti dei lavoratori, la tensione all’uguaglianza e, dall’altra, i gruppi che sfondavano i picchetti operai, attaccavano i diritti civili, accoltellavano gli antifascisti, sognavano il golpe innescato da stragi nere da far passare per rosse.

Sarebbe mettere sullo stesso piano chi si sentiva – magari con qualche enfasi di troppo, ma nella Storia non c’è misura – erede dei partigiani che avevano restituito all’Italia l’onore e la libertà, e chi invece era fiero delle camicie nere che volevano la vittoria di Hitler. Gli stessi che oggi, 50 anni dopo, celebrano il rito fascista del “presente” per il “camerata Ramelli”.

No, non si può equiparare fascismo e antifascismo, riducendoli entrambi a tragica burletta, sostenendo che negli anni Settanta non esistevano o erano, da una parte e dall’altra, solo una ridicola caricatura dei modelli drammatici e gloriosi degli anni Trenta e Quaranta. L’approdo politico non può essere l’inaugurazione di un regime né fascista né antifascista, di una strana democrazia “afascista”, fuori dall’orizzonte della Costituzione. L’“operazione Ramelli” offende anche il povero Ramelli, ragazzo usato per una manovra politica che punta, infine, a sostenere che il fascismo è storia finita nel 1945. Quella storia è invece continuata, almeno fino agli anni Ottanta.

E oggi? Bisogna tenere memoria del passato. Il governo Meloni non è il fascismo al potere e va combattuto con le armi della politica, non con lo stigma del passato. Ma l’attacco alla Costituzione, alla divisione dei poteri, al controllo di legalità da parte della magistratura, ai diritti dei lavoratori, all’uguaglianza di tutti gli uomini: tutto ciò è ancora in corso, in Italia e nel mondo.

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Il Fatto Quotidiano

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