Operare il cuore , senza aprire il torace, oggi si può. Anche per sostituire valvole aortiche
- Postato il 20 novembre 2025
- Di Panorama
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La TAVI — Transcatheter Aortic Valve Implantation — è oggi la frontiera più avanzata nella cura della stenosi aortica, una patologia che colpisce fino al 4% degli over 70. Questa procedura consente di sostituire la valvola aortica malata senza aprire il torace, attraverso un catetere inserito per via femorale o con accessi alternativi.
Un approccio semplice nella teoria, ma rivoluzionario nella pratica: la valvola artificiale, compressa all’interno di un catetere, viene portata fino a quella malata e lì si espande, ripristinando il corretto flusso del sangue. Tutto questo senza circolazione extracorporea, in anestesia locale, e con una degenza di pochi giorni. Ad agosto 2025, sul European Heart Journal, sono state pubblicate le nuove linee guida ESC/EACTS per il trattamento delle malattie valvolari, presentate al congresso ESC di Madrid. La novità più rilevante? L’abbassamento dell’età minima per l’indicazione alla TAVI da 75 a 70 anni, ampliando così la platea dei pazienti che possono beneficiarne.
«All’inizio dell’era TAVI — spiega il professor Corrado Tamburino, ordinario di Cardiologia all’Università di Catania e pioniere di questa tecnica in Italia — i pazienti con stenosi aortica degenerativa erano considerati troppo fragili per la cardiochirurgia tradizionale. Oggi possiamo offrire loro una cura efficace, sicura e mini-invasiva. È una vera rivoluzione: pazienti che fino a pochi anni fa non avevano speranza, oggi tornano a casa dopo due giorni e riprendono a vivere normalmente». Fino a pochi anni fa, la chirurgia a cuore aperto era lo standard. Ma la TAVI ha ribaltato le regole. «Gli studi clinici — sottolinea Tamburino — hanno dimostrato che i risultati della TAVI sono uguali o migliori rispetto alla cardiochirurgia nei pazienti anziani. La differenza è nel trauma: un intervento a cuore aperto su un ottantacinquenne può essere devastante, mentre la TAVI si fa in anestesia locale, dura circa un’ora e consente una ripresa rapidissima. È un cambio epocale». E i numeri parlano chiaro. «Quando abbiamo iniziato, nel 2007, la mortalità operatoria era del 5%. Oggi è sotto l’1%. Merito del progresso tecnologico, dell’esperienza dei centri e della formazione multidisciplinare. La procedura è diventata estremamente sicura, anche per pazienti fragili e con molte comorbidità».
Una questione economica e organizzativa
La TAVI è una procedura sofisticata, ma anche costosa: la sola protesi può variare tra 15 e 18 mila euro. Tuttavia, il risparmio complessivo per il sistema sanitario è notevole. «Un paziente cardiochirurgico resta ricoverato settimane e necessita di riabilitazione. Con la TAVI, invece, il 75% dei pazienti viene dimesso in giornata, senza bisogno di riabilitazione. Ciò riduce drasticamente i costi indiretti e permette un ritorno immediato alla vita quotidiana». Tamburino sottolinea però che non basta aprire nuovi centri: «La TAVI non può essere eseguita ovunque. Servono strutture altamente specializzate, con cardiochirurgia attiva nello stesso plesso e un’unità di terapia intensiva pronta a intervenire in caso di complicanze. Non si tratta di limitare l’accesso, ma di garantire la sicurezza».
Il futuro: personalizzazione e Heart Team
Le nuove linee guida insistono su un concetto chiave: la decisione terapeutica deve essere personalizzata. «La durata delle valvole percutanee non è ancora confermata nel lungo termine, mentre quella delle valvole chirurgiche sì», precisa Tamburino. «Per questo ogni caso deve essere valutato da un Heart Team, formato da cardiologi, cardiochirurghi, geriatri ed esperti di imaging. L’obiettivo è condividere con il paziente la scelta più adatta alla sua situazione, spiegando pro e contro di ogni opzione». Per il professor Tamburino, la sfida dei prossimi anni sarà organizzativa oltre che tecnologica. «La TAVI è una rivoluzione, ma come ogni rivoluzione va governata con intelligenza, competenza e responsabilità. Dobbiamo concentrare gli interventi nei grandi centri, accumulare esperienza e garantire la massima sicurezza. Solo così daremo ai pazienti le migliori possibilità di sopravvivenza e qualità di vita».